Capitolo 40

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La giornata di lavoro era finita e Dario, come promesso, era già fuori l’entrata principale ad aspettarmi.
Presi le mie cose, le infilai nello zaino, imbracciai quelle maledette stampelle e mi avviai verso l’ascensore. Appena le porte si aprirono nella hall vidi John conversare con una delle segretarie, naturalmente una delle più seducenti. Lui sempre molto distaccato parlava e leggeva un foglio che teneva in mano nonostante lei faceva di tutto per mettersi in mostra.
Una delle ragazze mi salutò, avrei potuto ricambiare con un sorriso ma non riuscii a resistere, la salutai con un caloroso e sonoro arriverderci così che le sue attenzioni passassero da quella formosa receptionista a me. Vederlo vicino ad altre donne mi infastidiva, era una gelosia che non riuscivo a controllare benché ce l'avessi tanto con lui.
Naturalmente riconobbe subito la mia voce e appena mi vide on esitò a venirmi incontro.
“Non serve signor Masi sono arrivata!” Gli urlai da lontano per fermarlo.
“Arrivata dove? Ci sono ancora per uscire da qui! Lasciati aiutare!” Mi raggiunse in un attimo.
“Sono solo quattro scalini, grazie!”
“Dai ti porto a casa.”
“Non serve.”
“Giusto, viene tuo cognato”
“No, oggi no.”
“E allora con chi vai scusa? Leila è ancora in ufficio!”
“Sono stata chiara, la mia vita privata non la riguarda più, avevamo detto solo lavoro. Lo ricorda sig. Masi?”
“Senti Isi a me questa storia che mi dai del lei, che mi chiami signore, capo, mi sta scocciando!”
Non risposi, mi morsi un labbro per non dire cose di cui poi mi sarei pentita.
“Lo sai che potrei prenderti di forza e portarti in macchina, così saresti costretta a sentirmi!”
“Scapperei!”
“Non puoi!” Guardò divertito le stampelle.
“Non credo sarà questo il giorno dei rapimenti, anche perché urlerei talmente forte che mi sentirebbero fino a Roma!”
Non so perché ma quella che era nata come una discussione seria e nervosa si era trasformata in qualcosa di ridicolo e anche divertente, non riuscivo più ad essere seria e ad arrabbiarmi con lui. Mi veniva da sorridere ma non glielo feci notare, lui invece mi sfoderò il più dolce sorriso che mi avesse mai fatto.
Non mi seguì, almeno non fino a quando arrivai alle scale dove Dario stava aspettando per aiutarmi. Quando uscì e lo vide mi resi conto che la cosa lo fece soffrire molto e mi sentii anche in colpa. Non disse nulla, guardò lui e poi guardo me, uno sguardo vuoto e triste, pieno di rammarico. Avrei voluto giustificarmi, dire che era solo un amico che mi stava solo facendo un favore ma non dovevo, non dovevo per me e per tutte le lacrime che mi aveva fatto versare.

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