Capitolo 26 - III

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Dal momento in cui misi piede fuori dall'ospedale mi ci vollero quasi due mesi per guarire, ad aprile tornai perfettamente in forma.
John non aveva mai smesso di preoccuparsi per me, in maniera ossessiva aveva deciso che qualsiasi mansione sarebbe stata svolta da lui, mi era stato vietato di sforzarmi, per assurdo anche la possibilità di pensare di farlo mi era stata tolta.
Gli unici posti frequentabili erano divano o letto per il resto tutto off limits, soprattutto bagno e cucina se non accompagnata.
All'inizio lo assecondai, non avevo le energie e soprattutto il fatto che lui mi coccolasse a quel modo non mi dispiaceva affatto ma dopo due mesi di letto o divano mi ero decisamente stufata, volevo riprendere la padronanza del mio corpo e della mia vita. Non fu facile farglielo accettare, anzi all'inizio fu un impresa titanica.
Capivo le sue ansie e paure ma doveva rendersi conto che stavo bene, il bambino stava bene e che la nostra vita era tornata alla normalità.
Voleva addirittura posticipare il matrimonio, aveva il timore che lo stress di tale cerimonia potesse provocarmi malori.
Glielo impedii categoricamente, l'unica cosa che concessi a lui e a quella manica del controllo di mia sorella Sara fu di occuparsi loro stessi di tutti i preparativi, per me sarebbe andata bene qualsiasi cosa purché il matrimonio non fosse cancellato.
Anzi, proposi a entrambi di sorprendermi, non volli sapere niente, mi stuzzicava l'idea dell'effetto sorpresa. In fondo ero in buoni mani, il miglior organizzatore d'eventi e una disegnatrice d'abiti, un connubio vincente, non avrei avuto di che preoccuparmi.
Sara si era praticamente trasferita in casa nostra, aveva creato una specie di alleanza con John con l'intento di farmi impazzire.
Una sera a cena scoppiai.
Il giorno mi avevano fatto impazzire a causa del mio appuntamento per l'ecografia, pretendevano che lo rimandassi perché nessuno dei due poteva accompagnarmi a causa del lavoro.
Mi rifiutai, andai sola con un taxi.
Continuarono per tutta la cena a rimproverarmi della mia superficialità, come se andare a fare un'ecografia in taxi fosse da irresponsabili.
Potevo capire se avessi preso il motorino, che avevano pensato bene di nascondere ma accompagnata da un autista proprio no.
Gli unici che provavano a stare dalla mia parte furono Leila e Michele ma alla fine anche loro persero le speranze nel provare a contrastare la cocciutaggine di John a e di mia sorella.
"Ora basta, mi continuate a trattare da malata quando non lo sono. Sono guarita e se continuate a comportarvi così mi farete ammalare voi ma di noia, non se ne può più! Io e questo ragazzo siamo veramente stufi!" Mi toccai la pancia, non riuscii a trattenermi avrei voluto dirglielo diversamente ma mi uscì da sola la notizia.
"Quale ragazzo?" Chiese irritato John che non aveva minimante capito.
Gli presi la mano e la portai sulla mia pancia "È un maschio John!"
Fu allora che dimenticò di trattarmi da malata e mi prese in braccio facendomi girare.
Quella mattina quando la dottoressa mi chiese se volessi conoscere il sesso le risposi subito di si, convinta che fosse femmina. Quando invece mi fece vedere chiaramente che si trattava di un maschio rimasi stupita. Non mi ero immaginata mamma di un bambino, non sò il perché, la mia mente da quando avevo scoperto di essere incinta aveva elaborato l'immagine di una femminuccia.
Capii che ero pronta per lui solo quando riuscimmo a vedere il viso, aveva la stessa bocca di John.
Lo amai subito dimenticando quell'immagine vaga di una piccola neonata.

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