Fu una serata piacevole, nonostante il giorno prima avessi vissuto di nuovo momenti di grande sconforto, non mi sentii particolarmente triste, pensavo spesso a quanto mi aveva detto Michele ma forse quell'atmosfera natalizia e il fatto che il locale fosse pieno di gente mi avevano tirato su il morale.
Fu anche grazie a Mete che aveva portato con sé una macchinetta polaroid istantanea.
Cominciammo a farci molte foto tra di noi e insieme al personale del locale, le attaccammo tutte alla mensola sopra il bancone del bar.
Ce n'era una in particolare, me l'aveva scattata Alice, che io personalmente non avrei appesa, forse perché ero sola nella foto o forse perché mi sembrava di esporre in quello scatto una parte privata di me, ma lei ci teneva e aveva i suoi motivi.
La foto era semplice, io mentre asciugavo un calice di vino e guardavo verso l'albero di natale con un mite sorriso.
L'aveva trovata significativa, diceva che quel piccolo sorriso era un grande traguardo e che l'obbiettivo successivo sarebbe stato farlo diventare sempre più grande.
Diceva che serviva a ricordarmi che ce l'avrei fatta.
Anche io mi convinsi per la prima volta di poter ricominciare da capo, era scattato in maniera involontaria un senso di rivalsa, una voglia di riprendere in mano la mia vita.
Cominciai ad apprezzare tutto quello che di nuovo mi era capitato. Amicizie splendide, un lavoro che nonostante non fosse il mio, mi piaceva, mi distraeva e mi teneva attiva e poi Istanbul. Quando si dice che le città hanno un'anima è realtà, Istanbul ne aveva una enorme e l'aveva condivisa con me. Mi dispiaceva un po' metterla a paragone con le altre, ma forse era la città che mi aveva cambiata di più. Roma mi aveva cresciuta e aveva tirato fuori dal mio carattere l'estro e la spensieratezza tipico di ogni romano. Napoli era stata fondamentale per il mio svezzamento, se così vogliamo chiamarlo, dalla mia famiglia, dalle mie abitudini, mi aveva trasformata in un adulto. Istanbul invece non mi aveva solo aiutata, mi aveva plasmata, con un percorso lento, psicologico e doloroso, mi aveva fatto capire chi fossi realmente, rafforzando la mia identità.
Mi resi conto di quanto avessi lavorato su me stessa un giorno in particolare, girovagando per la città decisi di pranzare in un ristorante. Non lo avevo mai fatto da sola, ma se la mia vita doveva continuare con la consapevolezza che dovevo bastarmi allora dovevo prendere il toro per le corna. Quando il cameriere mi chiese se aspettassi qualcuno risposi orgogliosa che ero sola. Non mi nascosi dietro nessun accessorio in grado di distogliere le attenzioni di chiunque avesse notato una donna sola a un tavolo, non utilizzai libri, telefoni o riviste che potessero camuffarmi, fui solo io, accompagnata da nessuno se non da me stessa e capii che tutto sommato non mi dispiacevo affatto.
La sera stessa che parlai con Michele, convinsi mio cognato a darmi lezioni di turco, la lingua era l'unica cosa che mi limitava in quella città. Presi un quaderno e cominciai ad appuntarmi tutto quello che con grande pazienza provava a insegnarmi. Scoprii di sapere più di quello che mi aspettassi, anche se molte peculiarità della lingua ancora mi sfuggivano. Il mio blocco nel parlare era dovuto sicuro alla paura di fare figuracce o di non essere abbastanza chiara nel farmi capire.
Quando Alex con mia sorella partirono per Roma decisi che ad insegnarmi sarebbero stati Mete e Berk ma non avevano di certo la stessa pazienza di mio cognato. A loro piaceva prendermi in giro, ce l'avevano con quel quadernino che portavo sempre con me, volevano convincermi che non servisse a un granché. Secondo loro l'unico metodo ultile era lasciarmi andare era provare a dialogare con le persone, magari anche con la clientela e la gente che incontravo sul lavoro.
Ma a me quel quaderno sembrava utile, soprattutto perché c'erano appuntate una serie di frasi fatte che volevo memorizzare, lo percepivo un po' come se fosse diventato la mia copertina di Linus.
In un momento di pausa ne approfittai per leggere e ripassare un po' in disparte ma una fragranza decisamente famigliare e riconoscibile mi arrivò sotto il naso in maniera così violenta da farmi sobbalzare, era un'essenza di bergamotto.
Cominciai ad annusare un po' intorno, nessuno portava quel genere di profumo, uno molto simile a quello di John, continuai a guardare nella sala ma niente, lui non c'era.
Non so perché pensai che potesse essere lì, era impossibile, ma ecco di nuovo un'altra scia, di sicuro qualcuno portava un profumo molto simile al suo, ma non riuscivo a capire chi.
Poi mi venne in mente il thè. Tornai al bancone e chiesi ad Alice se qualcuno avesse ordinato un thè al bergamotto ma mi assicurò che noi non avevamo quel prodotto e se comunque qualcuno lo avesse ordinato lo avrei saputo perché sarei stata io a preparalo.
Cominciai a innervosirmi e ad odorare chiunque mi passasse vicino ma non riuscii a scoprire da dove provenisse. La cosa sconcertante era la certezza che non fosse un qualcosa di simile al profumo di John ma che fosse proprio il suo. Fu incredibile cosa provai in quei dieci minuti, persi ogni forma di lucidità, stavo uscendo fuori di testa perché lui non c'era e di conseguenza era solo frutto della mia immaginazione. Mi presi un momento e uscii fuori. Avevo bisogno di respirare aria pulita, fredda per non impazzire.
Ma ecco di nuovo quell'odore bergamotto misto a legno e cuoio, era proprio il suo.
Cercai invano, non c'era nessuno al di fuori del locale se non uomo di spalle coperto da un grande giaccone con cappuccio che saliva su un taxi. Provai a urlare il suo nome ma quell'uomo non si voltò, era distante ma non troppo per non sentire.
Se fosse stato lui si sarebbe voltato a forza di sentire ripetere il suo nome, invece niente, quell'uomo salì sulla macchina come se niente fosse.
Ma cosa mi succedeva, non era possibile che mi stessi immaginando tutto, che anche i miei sensi si stavano prendendo gioco di me.
Fui costretta a mettermi seduta su una sedia e ad aprirmi il giubbetto, nonostante fosse freddo non sentivo nulla.
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Era di Maggio
ChickLitIsabella, per tutti Isi, è una giovane e vivace trentenne che vive e lavora a Napoli, città che adora. Un po' per pigrizia, un po' per le tante attenzioni della sorella Sara, continua a vivere con lei e suo cognato. In una calda giornata di maggio I...