Le grida del dolore

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Dovremmo urlare di più. Fa bene alla salute risvegliare l'anima.
(Charles Bukowski)

RYAN'S POV

Mamma.

Non può essere, la mia paura più grande si è avverata.

Rivederla dopo tutti questi anni e quei occhi così identici ai miei. I suoi capelli biondi a contornarle il viso più maturo.

Ma sempre bellissimo.

Rimango immobile, non avendo il coraggio di muovere un muscolo. È qui davanti a me e questo non è un'allucinazione dovuta al mio disturbo.

Lei è qui, per davvero.

Solo ora mi rendo conto di quanto faccia male, di quanto mi sia mancata.

La mia mamma.

La donna che restava sveglia la sera quando tornava da lavoro stanca morta, solo per ascoltarmi suonare quello che avevo imparato il giorno stesso.

La speranza di un suo ritorno a cui mi aggrappavo con tutte le mie forze.

Il pensiero di vederla varcare il cancello per portarmi a casa. Quel pensiero che con il passare degli anni e man mano che crescevo si affievoliva sempre di più. Fino a quando un giorno, ho smesso di sperarci.

Avevo capito ormai che non sarebbe tornata. Mi aveva lasciato qui e mi crogiolavo su domande a cui non trovavo risposte, solo perché lei non aveva fatto niente per darmele.

La donna che non credevo di rivedere più, adesso è ad un passo da me.

La fisso come se non fosse reale.
Le emozioni prendono il sopravvento e i miei occhi si riempiono di lacrime.

Stringo i pugni per trattenerle ma, allento subito la presa quando mi rendo conto di star stringendo un'altra mano.

Sposto lo sguardo meccanicamente sulle mani intrecciate l'una all'altra e alzo gli occhi su April.

La mia Miss guance rosse.

Lei è qui, lego i miei occhi ai suoi, cercando la calma che mi trasmettono le sue pozze azzurre.

In cui ogni dannata volta mi ci perdo e vorrei farlo per sempre se la sensazione fosse esattamente la stessa.

April rafforza la presa sulla mia mano e mi si para davanti, per far sì che guardi lei e non le persone dietro di noi.

«Ryan» un sussurro quasi impercettibile arriva alle mie orecchie.

Inclino la testa per osservarla e istintivamente accenno un sorriso. È in grado di far passare tutto in secondo piano, se si tratta di lei.

«decidi tu va bene? Se vuoi vederla o meno, le parlerai quando te la sentirai, non devi per forza adesso» mi rassicura dolcemente.

Ascolto le sue parole ma è come se fossi in uno stato di trans, non riesco a fare niente, solo, rimango in silenzio.

E poi una voce mi fa sussultare. «Piccolo oceano» mormora la donna difronte a me. Alzo di scatto lo sguardo sconvolto, lasciando sfuggire una lacrima al mio controllo.

Dentro di me ci sono mille emozioni che non riesco a controllare, si muovono in simultanea nel mio stomaco, facendomi venire la nausea.

April si sposta al mio lato, lasciandomi un po' di spazio, di riflesso le afferro il polso, supplicandola con gli occhi di non allontanarsi.

Lei, in risposta mi guarda con un sorriso triste sul volto. «sono qui» bisbiglia, stringendo la mia mano nella sua.

E poi lo faccio.

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