70 - La chat

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Quello che dovrei fare in questo momento dovrebbe essere pensare a cosa indossare, che scarpe mettere, magari farmi i capelli o chiedere a Natascia un aiuto con il trucco. Invece me ne sto seduta sul letto della mia camera, a gambe incrociate, a guardare fuori della finestra.
Con il suo solito modo di fare Kyle mi ha inviato un messaggio con scritto luogo e ora dell'appuntamento. Niente cuoricini, niente baci, niente vezzeggiativi. Solo l'informazione essenziale, nuda e cruda, senza fronzoli né merletti tanto da farmi chiedere: stiamo insieme io e lui? È il tarlo cui mi sono alzata questa mattina e che non mi da pace. Da qualche minuto ho il cellulare in mano e lo giro, lo rigiro. Guardo se ci sono nuovi messaggi e mi deprimo. Aspetto cosa? Che la risposta ai miei interrogativi mi cadano dal cielo? Stiamo insieme sì o no? E se glielo chiedessi? Prima non avevo un numero, un indirizzo cui andare a bussare, ma ora ho il suo numero. In tutta probabilità non risponderà e se invece lo facesse?
Digito. Ho una domanda.
Messaggio arrivato. Neanche visualizzato. Proseguo a scrivere: stiamo insieme io e te?
Adesso è meglio lanciare il cellulare lontano e non guardare. Nessun suono, nessun rumore. Tutto tace a parte il cuore che batte come un tamburo nel petto. Non dovrei guardare, dovrei fare altro ne sono consapevole, ma è più forte di me. Controllo. Non ha visualizzato e il mio umore diventa pessimo o forse anche peggio. Lascio andare il telefono e appena tocca il letto rimbomba un bip nella stanza. Mi.allungo verso l'aggeggio malefico, le mani sudaticce lo afferrano ma le dita non lo.trattengono. cade a terra, rimbalza e sguscia sotto il letto.
Si può essere più imbranate? Mi infilo sotto il letto, starnutisco un paio di volte a causa della polvere e apro i messaggi. È Kyle.
Definisci stare insieme.
Forse dovrei uscire da questa posizione assurda per rispondere, ma vado di fretta.
Siamo una coppia? Invio e ricomincia l'attesa. Un minuto, due, tre. Non potrebbe essere un po' più sollecito? Finalmente arriva il messaggio.
Sorrido. Scrive. La vera domanda è: come mai hai di questi dubbi?
Alzo gli occhi al cielo. Non ce l'avrebbe chiunque un dubbio del genere? Pigio sui tasti in maniera frenetica.
Perché non ci vediamo mai, non usciamo mai e prima d'ora io non avevo neanche il tuo numero di cellulare.

Sarò stata chiara? Impiegherà altri dieci anni per rispondere? Di questo passo prima di arrivare al punto avrò tutti i capelli bianchi e la schiena curva.

Ci vediamo tutti i giorni a scuola abbiamo appuntamento domani pomeriggio alle 17 in punto e stiamo chattando.
Non è questo il tuo vero dubbio. Solo non hai il coraggio di chiedere.

Quello che sta dicendo mi sembra ingiusto e anche un modo per evitare un problema che c'è. Non dovremmo condividere tutto, anche l'aria che respiriamo?

Se io non avessi accettato la tua condizione neanche ci sarebbe un appuntamento. Osservo.

Questa volta lui risponde subito.

Vedi che sei arrivata al punto? È la condizione che ti spaventa!

Mi innervosisco subito, perché sta cambiando le carte in tavola come fanno spesso i maschi e perché dentro di me so che ha ragione e mi da fastidio che sia così.

Non è solo questo, lo sai. Rispondo.

Lo so. Vuoi la normalità. Alcune cose sai che non ci saranno mai con me, per altre sto cercando un compromesso di cui al momento neanche io conosco i dettagli. Non pensare che per me sia facile. Non posso abbracciarti in pubblico, come tuo professore sarei licenziato. Non posso dirti cosa faccio, sarebbe metterti in pericolo e non lo farò. Tu mi chiedi di uscire con te e non chiedi l'unica cosa che vuoi davvero sapere.

Rileggo. Sono costretta a farlo per tre volte per capire quello di cui sta parlando, perché non è stato lapidario per una volta, perché sta parlando con me e mi sembra di essere una assetata nel deserto cui viene data qualche goccia d'acqua.
Ho bisogno di questo, delle sue parole, delle sue attenzioni, che non sono per forza presenza fisica, sono il sentirmelo vicino così come lo desidero.

Cos'è che voglio sapere? Cos'è che non chiedo?

Scrivo in un impeto di coraggio.

Vuoi sapere se ancora ti amo e come io possa amare tre tra un milione. Vuoi che io te lo ripeta fino a sfinirti perché per quante volte io passa dirtelo tu non lo credi ancora possibile. Eppure io ti guardo sempre. Ieri avevi i jeans strappati e una maglietta con un cuore stampato, il giorno prima la gonna a fiori. Non hai messo gli orecchini l'altro ieri, forse li hai dimenticati perché hai fatto tardi.

Rimango con il cellulare in mano, immobile, senza fiato, gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo perso nel vuoto. E Kyle sta scrivendo ancora.

Sai che quello di domani è un evento eccezionale perché nessuno può vederci insieme. Sai che non siamo come gli altri. Lo capisci? È egoista da parte mia chiederti di far parte della mia vita, ma io sono egoista e non la voglio una vita senza di te. Non posso darti la normalità, ti darò le cose eccezionali perché possiamo dire che ogni attimo vissuto insieme è valsa la pena dei sacrifici sofferti per averlo quell'attimo.

Non so per quanto tempo rimango così, le spalle appoggiate al letto, il cellulare fra le mani a leggere e rileggere le stesse cose all'infinito. Non sono solo parole, sono la sintesi di quello che siamo io e lui. Diversi, distanti eppure insieme, per caparbietà e desiderio o più probabilmente perché è questa la nostra natura: scontrarci, separarci, allontanarci, ritrovarci per ricominciare tutto da capo.
Non ho risposto nulla al suo messaggio. Non era necessario farlo e non servirebbe. Lui è già a fare qualcos'altro. Come lo so? Lo so e basta.

Alcune cose non potrò dartele mai ha scritto. Questo io l'ho sempre saputo eppure vederlo in quel messaggio, nero su bianco, mi crea un vuoto nello stomaco. Stare insieme a Kyle è così. Significa vivere tra le righe con quel pizzico di follia che sembra possa darti le ali per volare.

Allora piango. Piango perché domani lo vedo e so già che sarà speciale. Piango perché non mi ha detto che mi ama, ma mi ha detto di più, molto di più. Piango perché il sole sta scomparendo dietro l'orizzonte e mi chiedo se arriverà mail il momento in cui potrò condividere la bellezza di un tramonto con lui.

Il mio bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno a seconda dei punti di vista. Non sarà mai completamente né l'uno, né l'altro e io ho una sola alternativa. Apprezzare quello che c'è.

Un altro bip del cellulare mi riporta alla realtà.

Non temere per domani ti farò solo ballare nuda sotto la pioggia.

È uno scherzo vero? Sta scherzando?

Se questo doveva servire a tranquillizzarmi hai miseramente fallito. Digito.

Resto a fissare il cellulare per quello che mi sembra un tempo infinito. Provo ad inviare un altro messaggio ma non ottengo risposta. Non mi resta che aspettare la giornata di domani. Il problema è che il cervello non si spegne.
Cosa potrebbe farmi fare?
Provo a fare una lista delle cose più improbabili.
Fare la spesa scalza.
Perché ha detto nuda? Se c'è una cosa che mi mette pensiero è che mi veda nuda.
Suonare il piano in bikini. Se sapessi suonare il piano.
Dopo due ore di rimuginamenti e un mal di testa atroce decido di prendere un'aspirina e dormire. Dove sono i sonniferi di mia nonna? Ne avrei proprio bisogno.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora