Capitolo 46

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ZAC POV

Il buio mi avvolge, caldo accogliente, protettivo, fitto. Vorrei rimanere qui per sempre invece una fitta mi trapassa il costato quando un debole raggio di luce spezza la mia pace. Non voglio tornare. Non ne ricordo il motivo, so solo che non posso.

«Zac».

La voce di mia madre è un po' incrinata, commossa.

Ti prego, lasciami annegare nell'oblio, la supplico nei miei pensieri ma lei non si arrende. «Zac » mormora ancora.

Non è quella voce a trascinarmi alla realtà ma il mio corpo. Vuole respirare, vuole vivere anche contro i miei desideri. Respira e ad ogni movimento fitte di dolore sempre più acuto mi costringono ad uscire dal torpore.

«Non avere fretta Marta.» Le parole di mio padre arrivano distorte, distanti ma inesorabili. Apro gli occhi con fatica e la verità mi piomba addosso come un macigno: sono ancora vivo.

«Zac. » Sento ripetere ancora una volta da mia madre. «Zac. » La vedo. Di fronte a me. Sembra invecchiata di dieci anni in un giorno. Perdonami.

Provo a dire ma non ci riesco perché ad ogni secondo che passa il dolore si fa più straziante.

«Non sforzarti. » mi dice lei accarezzandomi sulla guancia come quando ero bambino.

Mi irrigidisco d'istinto. Sento di non meritare il suo amore. È sprecato per me.

«Scusami. » sussurra tra le lacrime. «Ti ho fatto male? »

Scuoto la testa e una fitta atroce mi attraversa da parte a parte. Sì. Il dolore, è questo quello di cui ho bisogno. Soffrire, scontare la mia pena. Quanto ne servirà? Non so, ma posso aggrapparmi al dolore mentre cerco di puntare i gomiti per tirarmi a sedere. È inutile, il mio corpo è completamente fuori uso, prigioniero di una sonnolenza innaturale. Non posso muovere né gambe né braccia come se fossi un pezzo di carne inerte.

«Zac. Sei ancora troppo debole. » Protesta mia madre.

«Dalle ascolto una volta tanto. » Gli fa eco mio padre ma si avvicina, forse per aiutarmi. Spero che non lo faccia. Non  voglio la sua compassione. «Non vorrai togliere a tua madre la possibilità di coccolarti fino allo strenuo vero?» Cerca di scherzare lui. Non sa. Se sapesse... ma io non posso dirglielo.

Tento ancora di alzarmi, tremando per lo sforzo e per il dolore, ma non mi arrendo, continuo a fare leva, come se la mia vita dipendesse da questo, invece le braccia forti di mio padre mi afferrano e mi sollevano privandomi del mio castigo. Merda!

«Non c'è bisogno di fare il macho davanti a noi, Zac. » Mio padre, sempre con la battuta pronta, sempre a sdrammatizzare. Si aspetta un sorriso da me, un cenno ma io non ci riesco e quando sollevo lo sguardo verso di lui vedo il dubbio attraversargli il volto. Capisce che qualcosa non va. Mi squadra con attenzione formulando una muta domanda. Distolgo lo sguardo e mi accascio sul materasso che mia madre ha opportunamente sollevato. Chiudo gli occhi, ma anche così sento i loro sguardi perforarmi.

«Zac. » Mormora mia madre con un filo di disperazione nella voce. Cosa vogliono da me? Che stia bene? Che tutto vada avanti come se niente fosse? Non posso. Alcune cose non si cancellano.

«Lasciatemi in pace. » Gemo infastidito, accogliendo ad ogni parola la sublime sofferenza che la accompagna.

L'ho fatta piangere adesso, mia madre. Tira su con il naso e mio padre le è subito accanto, la consola mentre una muta accusa gli accende lo sguardo. Il senso di colpa mi travolge ancora, mette radici nel mio stomaco e germoglia.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora