Lunedì mattina arrivo a scuola scortata da mio padre e immediatamente cerco John con lo sguardo convinta che mi stia aspettando nel piazzale d'ingresso. Quando scopro che non c'è vado nel pallone. Avevo data per scontata la sua presenza e ora non so più dove posare gli occhi.
Invece del suo sorriso rassicurante sono costretta a sorbirmi gli sguardi dei miei compagni che, al mio passaggio, si danno gomitate tra di loro e sghignazzano senza ritegno. Il tragitto per arrivare all'entrata principale diventa lunghissimo, interminabile mentre ogni passo mi sembra più faticoso di quello precedente. John, dove cavolo sei? Mi avevi promesso che saresti stato con me fisicamente non in spirito!
Al mio fianco, mio padre procede sicuro incurante di tutto, non si ferma al portone d'ingresso ma continua a starmi vicino finché non arriviamo alla porta della mia classe.
«Vado a parlare con la preside.» dice mettendomi il mio cellulare in mano. «Io e tua madre abbiamo sbagliato a isolarti, mi dispiace.» dice facendomi l'occhiolino e accennando un sorriso divertito. «Non tutto il male viene per nuocere, no?» aggiunge spingendomi in aula prima che io riesca ad aprire bocca.
Che cavolo significa? Si sono accorti della visita di John? Tremo al solo pensiero ma non ho il tempo di rimuginare troppo perché appena attraverso la soglia della classe un silenzio tombale cala nella stanza e le gambe mi diventano di piombo. Sento tutti gli sguardi dei compagni seguire ogni mia mossa mentre scivolo silenziosamente al mio posto tremante come una foglia e John ancora non si vede. Quando arriva lo lincio.
Una sagoma scura si posiziona davanti il mio banco: Natascia.
«Dobbiamo parlare.» dice con voce fredda. Alzo lo sguardo alla ricerca di almeno un'ombra dell'amicizia che ci ha legate per così tanto tempo ma rimango pesantemente delusa: di fronte a me non c'è Natascia ma un automa con una maschera di ferro che, come tutti, mi critica silenziosamente e aspetta solo che io faccia una mossa falsa per ridermi in faccia. Un'altalena di emozioni mi travolge: tristezza, delusione e alla fine anche una furia cieca. Se è lo scontro che vuole, lo avrà.
«Non hai risposto alle mie chiamate.» mi accusa dopo un silenzio agghiacciante.
«Mi hanno sequestrato il cellulare e anche il computer.» ribatto secca.
Lei ha un attimo di esitazione e la voce è un po' incrinata dall'emozione quando la sento chiedere: «Perché non me lo hai detto?»
«Cosa? Cosa dovevo dirti?» urlo scattando in piedi per sfidarla occhi negli occhi. Lei trasale stupita, come se non si aspettasse una reazione così forte da parte mia e si guarda intorno sentendo gli sguardi dei nostri compagni che ci osservano. Furiosa, incenerisco con lo sguardo chiunque osi intercettare il mio. Sì. Sono aggressiva. Mi hanno costretta a diventarlo. Mi correggo. Mi avete costretta a diventarlo.
«Vieni con me.» mi dice Nat e io la seguo.
Quando usciamo la campanella della prima ora suona ma non ce ne curiamo. Imbocchiamo un'uscita di emergenza che non è allarmata e ci fronteggiamo senza dire una parola. Non ce n'è bisogno, sappiamo entrambe perché siamo qui. Kile Sunders. Il suo spettro aleggia su di noi anche senza essere presente, come una specie di maledizione.
«Avresti dovuto dirmi che ti piace, non ci sarebbe stato niente di male!» mi accusa ancora Natascia.
«Non mi piace!» Ripeto per l'ennesima volta esasperata mentre lei si ravvia i capelli con mano tremante. Strano. Avrei detto che fra noi due quella più forte fosse lei, invece ...
«Ma perché continui a mentire? Lo sanno tutti ormai che hai perso completamente la testa per lui!»
«Tutti sanno solo quello che vogliono sapere e non me ne frega niente di loro. Voglio sapere perché tu non mi credi.» Le punto un dito addosso, ferma, decisa. Voglio la verità. Non posso accontentarmi di niente di meno in questo momento. Lei distoglie lo sguardo per un attimo, come se facesse fatica a sostenere il mio e quando torna a guardami, la sua voce trema per l'emozione.
STAI LEGGENDO
Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)
Chick-LitAvevo sempre odiato i cattivi ragazzi e lui era il peggiore: spocchioso, arrogante, tenebroso, arrivato a scuola scortato dalla polizia. Avrei dovuto sotterrare il mio senso di giustizia e lasciarlo a marcire nella melma da cui era arrivato, invece...