Capitolo 3

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In un paio di settimane la scuola è già entrata nel suo tram tram quotidiano. Lezioni, compiti, interrogazioni. Se non fosse sabato potrei rischiare di avere un esaurimento nervoso.

La Professoressa Bianchi, che insegna inglese, arriva sorridente come sempre, con il suo profumo Chanel, la sua aria da eterna ragazzina, innamorata del mondo ma soprattutto del suo lavoro. Ha sempre qualcosa di nuovo da cui trae spunto per le sue lezioni che sono le uniche veramente interessanti. Per lei l'insegnamento è una passione, non un semplice mestiere e questo è sufficiente per fare la differenza. «Signorina Rush sarebbe così gentile da farmi queste fotocopie?» mi chiede appoggiando un tomo sul mio banco.

Io scatto in piedi come una molla mentre lei apre il registro e inizia a scorrere l'elenco dei nomi. Ahi! Interrogazioni in vista. Questa volta però posso giocare il jolly. Fotocopie. Mi chiudo la porta alle spalle prima di sentire i nomi dei malcapitati.

Non è la prima volta che mi affida questo ingrato compito. Sono diventata la sua fotocopiatrice ufficiale nonché un'esperta nell'uso di quella macchina malefica che ruggisce come un leone ogni volta che deve sputare qualcosa. Non so perché ma ho la sensazione che si fidi di me più che di chiunque altro nella classe. Sorrido. Almeno a qualche professore devo pur essere simpatica, no?

Quando arrivo nella stanza delle fotocopie apro il libro alla prima pagina e faccio un tentativo posizionandolo suo vetro. Devo fare qualche prova prima di trovare la giusta luminosità e dimensione. L'occhio mi cade fuori della finestra che dà sul retro della scuola e lo riconosco subito. Il ragazzo nuovo, Karl, Kevin o come diavolo si chiama, passeggia nel piazzale  con il cellulare attaccato all'orecchio. Che ci fa fuori della scuola? Dovrebbe essere in aula a quest'ora. Figuriamoci se non è il tipo da marinare la scuola. Faccio un'alzata di spalle. Non sono affari miei. Mi dedico con fervore al mio noiosissimo compito ma la macchina fotocopiatrice si inceppa. Sono costretta ad armeggiare con il carrello superiore, ma la carta è incastrata per bene e si strappa a metà quando faccio il tentativo di estrarla.

Grugnisco incavolata appallottolando il foglio sgualcito e lo sguardo mi cade accidentalmente ancora una volta sul ragazzo fuori della finestra. Ha smesso di parlare al telefono e continua a passeggiare nervosamente sotto e sopra, dando calci a qualsiasi cosa osi ostacolargli il cammino. Gli volto risolutamente le spalle e torno alle mie fotocopie. Non mi interessa. Dopo dieci minuti di armeggiamenti sto ancora combattendo con la macchina malefica.

«Sam sei ancora qui? La Prof mi ha mandata a vedere se sei ancora viva.» Aurora, la mia compagna di classe, arriva proprio quando sono riuscita a disinceppare un altro foglio incastrato. Richiudo il carrello e alzo la testa verso di lei. «La fotocopiatrice si è inceppata. Arrivo subito.»

Con un sorriso di trionfo pigio il pulsante start e faccio ripartire l'arnese. «Siii.» esulto. «Adesso sembra che vada. Arrivo appena ho finito.» Lei fa una smorfia scettica e si richiude la porta alle spalle. «Ok, riferisco.»

Mentre la fotocopiatrice continua con i suoi flash ho solo due alternative: fissare la parete grigia o guardare fuori della finestra il tipo che è nuovamente al telefono. No. Rettifico. Ha appena lanciato il telefonino contro il muro frantumandolo in mille pezzi. Teppista! E adesso cosa fa? Non soddisfatto della sua opera di distruzione scaglia un pugno contro il muro di cemento con un grugnito feroce che riesco a sentire nonostante la distanza. Un pugno, un altro, un altro ancora. Mi porto entrambe le mani ai capelli. Qualcuno dovrebbe fermarlo, questo tipo è completamente fuori di testa. Con lo stomaco in subbuglio distolgo lo sguardo cercando di concentrare l'attenzione su altro. Faccio training autogeno immaginando una bella spiaggia caraibica con palme di cocco e tutto il resto ma lo sguardo continua a tornare immancabilmente sull'uomo nero che ha smesso di tirare pugni ma sbuffa respirando affannosamente quasi stesse cercando di controllare la rabbia. Invece no. Con un urlo furioso tira un altro pugno alla parete che è diventata color porpora. E la fotocopiatrice si inceppa di nuovo. Chissà cosa gli sarà successo di così grave da farlo infuriare tanto, mi domando prima di rimproverarmi mentalmente. Per quel poco che lo conosco potrebbe essere la sua naturale reazione al fatto che gli è scappato il gatto di casa.

Non. Sono. Affari. Miei. Smettila di perdere tempo pensando a ... Kevin e ai suoi dannatissimi problemi, continuo a rimproverarmi.

Quando suona la campanella della fine dell'ora sto ancora combattendo contro una indesiderata irrequietezza e con il rullo della fotocopiatrice che continua a bloccarsi. Questa volta è direttamente la professoressa a venire a cercarmi e mi trova con la testa infilata nel carrello.

«Samantha, sei ancora qui.» Io combatto con il foglio, tiro con tutta la mia forza ma si accorttoccia uscendo tutto spiegazzato. Con in mano il mio trofeo, guardo la Bianchi sconsolata. Lei mi fa un sorriso dolce e mi batte sulla spalla. «Non ti preoccupare. Andrò dalla preside a fare una bella protesta. Ora torna in classe.»

«Avevo quasi finito.» Sbuffo passandole i fogli fotocopiati.

«Non importa, Samantha.»

«C'è ancora un pezzo di foglio fra i rulli.» Protesto ancora ma  lei non vuole sentire ragione: sono costretta a tornare in classe. Prima di uscire non riesco a trattenere l'istinto di lanciare un'altra occhiata fuori dalla finestra; lui è ancora lì, in piedi, appoggiato con le braccia conserte al muro, un ginocchio tirato su e l'altra gamba poggiata a terra, a fissare nel vuoto. Sembra più calmo ma qualcosa nella sua rigidità mi fa pensare che è solo apparenza. Trasuda violenza repressa da tutti i pori.

In quel preciso momento abbassa lo sguardo e incrocia il mio, catturandomi con quegli occhi neri come la pece e facendomi sobbalzare come una scolaretta colta in fallo. A dirla tutta ... sono una scolaretta colta in fallo. Mi giro di scatto sentendo le guance che mi vanno a fuoco. Adesso che cosa penserà? Scuoto la testa furiosa con me stessa. Non mi importa. Lui, i suoi problemi e i suoi pensieri non sono affari miei.

Ancora scombussolata apro la porta e entro in classe un secondo prima che il professor Bizzini si sieda dietro la cattedra ma il mio cervello sembra un disco rotto inceppato sullo stesso punto. Chissà se anche lui è andato via. È stato fuori della scuola per un'intera un'ora.

«Rush!» sobbalzo sentendo pronunciare il mio nome.

«Rush e Danieli.» ripete Bizzini con un ghigno soddisfatto sul volto.

Una interrogazione? L'ultima ora di sabato? Certo che Bizzini è proprio una carogna. Mi alzo svogliatamente insieme al mio compagno di sventura trascinando i piedi fino alla cattedra.

Alla fine della lezione mi sembra di essere appena passata nel tritacarne.

«Questa volta è stato proprio tosto!» protesta Natascia guardandomi riporre i libri nello zaino. Un'ora di tormento e ho ottenuto il solito sei meno, meno, meno. Mi stringo nelle spalle. Va sempre allo stesso modo. Con il professore di italiano è come sbattere contro un muro di gomma.

John mi porge il diario scolastico, sorridendo comprensivo e io glielo strappo sgarbatamente di mano. Cavolo! L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è la loro compassione.

«Vuoi che chieda a Zac di accompagnarti in macchina?» propone Natascia.

«No!» urlo scioccata. Sono sicura di essere in uno stato pietoso e l'ultima cosa che voglio è la sua pietà. Dalla faccia che ha fatto Nat però capisco di aver esagerato. Guardo l'orologio. «Ho l'autobus tra quindici minuti. Non è necessario, veramente. Siete dall'altra parte della città.» cero di recuperare. Lei mi osserva sospettosa ma alla fine cede. «Se sei sicura.»

Per sfuggire alle sue occhiate indagatrici continuo a radunare le mie cose sovrappensiero. Dovrei essere abituata a questa pseudo forma di maltrattamenti autorizzati eppure, per qualche strano motivo, ogni anno spero che le cose cambino, che il professore cambi, che si decida a trattarmi come un essere umano. Invece si ripete sempre la stessa storia. Meglio andare a casa e seppellire la tristezza in un barattolo di cioccolata.

Mi volto per salutare i miei amici ma mi accorgo che sono concentrati entrambi su altro: c'è un gran trambusto in corridoio. Claudio si affaccia alla porta dell'aula e urla: «Ehi, c'è la polizia nell'ufficio della preside.» Scompare subito dopo per passare a dare l'annuncio all'aula accanto.

 Natascia mi prende per la manica del giubbotto e mi trascina eccitatissima in corridoio. «Andiamo a vedere, forza.»

La seguo svogliatamente lasciandomi trasportare quasi di peso. «Nat.» protesto. 

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora