Capitolo 6

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Mia madre non è qui per aiutarmi ma per giudicarmi. È una triste realtà ma come altro potrei interpretare il suo comportamento?

Nella foga di partire ha evitato di allacciare la cintura lasciando che l'allarme suonasse interrottamente per due minuti con lo scopo evidente di perforarmi i timpani.

«Cretino!» urla alla macchina che ci precede mentre la supera in piena curva, con una visuale della carreggiata pari a zero. «Guarda dove vai!».

È la decima volta che urla contro gli automobilisti che o sono incapaci o dei pazzi spericolati. Evidentemente oggi tutto il mondo si trova sulla strada con il solo scopo di intralciarla o di farla infuriare ancora di più.

Le tempie continuano a pulsarmi ferocemente e lo stomaco mi si rivolta contro ogni volta che lei affronta una curva, ma ho evitato accuratamente di protestare poiché mia madre sembra una pazza appena uscita dal manicomio. Inoltre è come se fossimo due estranee. Da quando siamo salite in macchina, non mi ha rivolto la parola neanche una volta, neanche per chiedermi se stavo bene.

«Alex? Dove diavolo sei? » La guardo a bocca aperta. Parla al cellulare mentre guida? Non gliel'ho mai visto fare prima d'ora. Mai. Sta chiamando papà ovviamente.

«Sto accompagnando TUA figlia alla centrale di polizia.» La nausea diventa più forte. Se sono diventata anche "tua figlia" vuol dire che la situazione è peggiore di quanto credevo. Ed io che pensavo che lo scontro con il poliziotto fosse la parte più difficile da affrontare!

«Sì. Hai capito bene. Alla centrale. Vieni immediatamente. Ti spiego tutto lì. Adesso non ho tempo. » riattacca sbuffando ed è costretta a inchiodare di colpo per evitate di tamponare il fuoristrada davanti a noi. «Stupido! Chi ti ha dato la patente?» Sorpassa immediatamente l'incapace in questione per poi sterzare bruscamente a destra. Inizio a temere che non arriveremo mai vive a destinazione.

«Da quanto tempo frequenti quel brutto ceffo?» Gracchia stridula. Sta parlando con me? Ha deciso che sono degna della sua attenzione? Che novità!

«Allora? » insiste. Sì. Sta decisamente parlando con me e non credo di poter fingere di non averla sentita. Cosa si aspetta che le dica? Provo con la verità magari con lei avrò maggiore fortuna.

«Non lo frequento.»

«Va bene. Rettifico. Da quando hai una cotta per lui?» Sospiro. Quante volte ancora dovrò ripetere la stessa storia?

«Non ho una cotta per lui. » sussurro non avendo la forza di fare altro.

«Sì ed io sono Madama Butterfly.» Che lingua parla? Chi sarà questa Madama Butterfly?Non lo so. Capisco soltanto che in questo momento anche l'ultima speranza di essere creduta è naufragata miserevolmente.

In silenzio appoggio la testa al finestrino fissando la strada senza vederla. Mi passano davanti agli occhi tutte le persone che durante la giornata ho cercato di convincere: la preside, l'agente Nels, il professor Bizzini e in ultimo, mia madre. Tutto fiato sprecato. Finché un'immagine sostituisce le altre. Rivedo Sanders che sorride sfrontato e, solo per un attimo, la sensazione di aver fatto la cosa giusta riesce a strapparmi un mezzo sorriso.

«Perché poi mandano a scuola i criminali?» Le proteste di mia madre mi riportano bruscamente al tunnel buio e senza fine della realtà. «La rappresentante d'istituto mi sentirà. Scriverò una protesta sul gruppo di WhatsApp.» Continua a borbottare imperterrita. «Andrò a fondo a questa storia.» Quando è troppo è troppo. Mi tappo le orecchie con le mani e appena la macchina si ferma davanti alla centrale mi catapulto fuori senza darle il tempo di parcheggiare. Basta paranoie, basta proteste, basta qualsiasi cosa. Inizio a camminare a passo svelto sentendomi già persa in questo posto ostile che non conosco, in cui non so da che parte andare, così la aspetto.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora