Presa dalle mie elucubrazioni non mi accorgo che ci siamo fermati e che mi sta sganciando la cintura di sicurezza.
«Vuoi camminare con le tue gambe o preferisci che ti porti in braccio?» Gli lancio uno sguardo inceneritore e mi rendo conto dal suo sorriso che si sta divertendo alle mie spalle.
«Cammino.» dico scendendo dall'auto per guardarmi intorno. Ho perso il senso dell'orientamento. Non conosco questa parte della città con questi casermoni enormi e anonimi e lui non mi da neanche il tempo di leggere il nome della strada perché si è già allontanato verso l'interno.
Il tragitto in ascensore è interminabile, il silenzio pesante. Sono tesa. Mi aspetto che faccia qualcosa da un momento all'altro, invece lui resta solo appoggiato alla parete continuando a scrutarmi con cipiglio sulle labbra.
«Cosa c'è che non va?» Chiedo indispettita.
Non risponde. Le porte dell'ascensore finalmente si aprono e lui mi fa cenno di uscire. «Non hai paura a restare sola con me nella mia tana?» Mi stringo le spalle e faccio scorrere lo sguardo sul suo corpo imponente che mi sovrasta almeno un palmo. So che è un tipo pericoloso, ogni cellula del suo corpo non fa che ricordarmelo, ma non riesco ad aver paura di lui. Il mio istinto mi dice che non mi farebbe mai del male.
«Ti fidi troppo della gente. Non mi piace» osserva facendosi da parte per lasciarmi oltrepassare una porta a doppio battente.
Finché ci troviamo nell'atrio avvolto nella penombra mi è difficile cogliere i dettagli, ma quando mi fa strada per arrivare alla sala rimango decisamente sorpresa.
I muri sono tappezzati di quadri e arazzi di ogni forma e dimensione, un divano soffice dalla linea sobria ed elegante a forma di elle occupa due pareti mentre sulla parte opposta, vicino alla finestra sono disposti una libreria e un tavolo da pranzo di quercia lucido. L'ambiente è raffinato, elegante e non c'è niente fuori posto. Non una carta, non un filo di polvere, non una fotografia, niente che dia la sensazione che la casa sia abitata. Sembra la foto di una rivista di moda: perfetta ma priva di anima.
«Tu vivi qui?» chiedo perplessa.
«Di tanto in tanto.» risponde evasivo. Faccio scivolare un dito sull'elaborato intarsio del tavolo pensierosa. E se questo fosse il posto dove porta le sue donne? Ha detto che sono la sua ragazza, no? Il mio cuore prende il volo al solo pensiero. «Nessuna donna ha mai messo piede qui.» Alzo la testa di scatto. Come fa a leggermi nel pensiero? Non lo so, ma la sua espressione soddisfatta non mi piace neanche un po'.
«Non era quello a cui stavo pensando.» lo sfido. Lui scuote la testa, derisorio.
«Quante volte ti avrò detto di non mentirmi? Un giorno di questi ti presenterò il conto.»
Come una pantera, si libera del giubbotto di pelle e sprofonda nel divano del salotto portando le braccia dietro la testa. La maglietta si tende dandomi una panoramica dei suoi muscoli d'acciaio creati per generare desideri scabrosi. Sbatto le palpebre per riacquistare lucidità e mi rendo conto che non gli è sfuggito assolutamente niente del mio attento esame e ne è anzi compiaciuto. Non mi meraviglio. Ha una specie d'istinto per queste cose sempre all'opera.
«Siediti.» aggiunge lui. Non ci sono poltrone e in questo momento non ho molta voglia di raggiungerlo ma non posso neanche rimanere in piedi così scelgo il posto all'estremità opposta rispetto a lui.
«Comoda?» chiede con un sorriso strafottente. Non mi degno di dargli una risposta. Gli faccio solo una smorfia.
«Parliamone...» Dice semplicemente senza aggiungere altro parafrasando la mia laconica risposta. Infatti lo vedo prendere un foglio da una tasca e non ho bisogno di essere una veggente per sapere di quale si tratta.
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Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)
Literatura FemininaAvevo sempre odiato i cattivi ragazzi e lui era il peggiore: spocchioso, arrogante, tenebroso, arrivato a scuola scortato dalla polizia. Avrei dovuto sotterrare il mio senso di giustizia e lasciarlo a marcire nella melma da cui era arrivato, invece...