Capitolo 26

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Sono in gabbia. Un unico pensiero rimbalza nel mio cervello come una pallina da ping-pong. Zac- Kile. Kile- Zac. Non ho via di scampo. Le pareti della classe mi si chiudono addosso. Mi manca l'aria e ho caldo, troppo caldo. Una sottile goccia di sudore mi scende dalla fronte, percorre la tempia per perdersi nel profilo del viso. Tutto inizia a girare e le parole della professoressa diventano sempre più distanti mentre le immagini annebbiate si deformano diventando figure grottesche.

Afferro con tutte le forze i bordi del banco nello strenuo tentativo di mantenere un punto fisso ma è inutile. Tutto è inutile. Possibile che io stia avendo un attacco di panico? Non ne sono certa, non ne ho mai avuti ma ne ho sentito parlare e i sintomi ci sono tutti. Quando diversi puntini neri iniziano ad annebbiarmi la vista i dubbi diventano certezze. Ho toccato il fondo. Ora ho davvero toccato il fondo. Basta questo pensiero a mandarmi in bestia, sparando nel mio corpo una dose di adrenalina così forte da costringermi a fare un faticoso respiro. Il secondo richiede ancora più energie del primo perché la sensazione che non ci sia aria a sufficienza è ancora annidata nel mio subconscio ma anche questa volta riesco nell'impresa. Dopo alcuni interminabili secondi la vista torna lentamente alla normalità e io mi riapproprio con fatica, del il mio corpo tremante, stremato più di quanto sarebbe per aver partecipato a una maratona.

Stacco lentamente le mani sudate dal banco e me le asciugo sui jeans con un gesto nervoso. E' passata. Qualunque cosa fosse sono riuscita a superarla ma cosa mi stava succedendo? Mi stavo facendo prendere dal panico? No. Questo no. Non lo permetterò. Non mi rintanerò in un cantuccio a piangere sulle mie ferite. Zac è troppo cocciuto per accettare un no come risposta? Imparerà. In quanto a Kile, se pensa di conoscermi ha sbagliato di grosso. Il meglio deve ancora venire.

Alla fine delle lezioni sono io ad aspettare Zac fuori dell'aula, furente, pronta alla battaglia. Un luccichio di sorpresa gli balena negli occhi quando mi vede appollaiata a braccia conserte di forte a lui. Un luccichio che troppo presto si trasforma in un lampo di soddisfazione. Convinto di avermi già battuta, sfodera uno dei suoi sorrisi da mille e una notte.«Sam...» mormora.

Anche se con uno sforzo sovraumano riesco a resistere alla tentazione di prenderlo a schiaffi.

«Che ne dici di parlare seriamente?» esordisco a voce ben alta. E' sufficiente il mio tono di voce a congelargli il sorriso che ha in bocca. Si guarda intorno improvvisamente serio mentre i suoi compagni di classe gli sfilano a fianco osservandolo curiosi. Solo Claudio trova il coraggio di fermarsi accanto a lui per domandare spavaldo:

«Vuoi parlare? Di cosa?» Fa passare un braccio sulle spalle di Zac e aggiunge:«Lo sai che noi due siamo inseparabili, quasi gemelli... inseparabili.» aggiunge scherzoso. 

Lo fulmino con lo sguardo.

«Ho detto forse di voler parlare con te? Non mi sembra.» Lo squadro da capo a piedi: «Sparisci!»

Claudio rimane a bocca aperta per qualche secondo, stupido dalla mia aggressività e incerto sul dal farsi, ma quando Zac fa cenno di lasciarci soli, diventa più remissivo.

Scuote la testa e si allontana mormorando: «E' tutta tua amico mio. Ci vediamo più tardi.»

Io e Zac ci fronteggiamo occhi negli occhi per qualche secondo come due pistoleri sotto il sole di mezzogiorno consapevoli entrambi che non è una chiacchierata di cortesia quella che ci apprestiamo a fare.

«Voglio che ritiri le voci che hai sparso in giro.» Dico con voce ferma.

Lui schiva abilmente. Forse.

«Non so di cosa stai parlando.»

«Hai messo in giro la voce che stiamo insieme. Se non vuoi che ti prenda a schiaffi davanti tutta la scuola, ritirala.» Questa volta ho più fortuna. Colpisco nel punto giusto: il suo orgoglio.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora