Capitolo 10

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«Non posso, Natascia.» Appoggio lo zaino in un angolo della camera con il cellulare incastrato tra la spalla e l'orecchio.

«Solo un'oretta! Ti riporteremmo a casa prima che i tuoi rientrino! È Halloween!» Vado subito in iperventilazione.

«Non se ne parla! La mia punizione finisce donami e non ho intenzione di ricominciare tutto da capo per una stupida festa.» Sono una fifona lo so ma mi sta bene così.

«Quanto sei testarda! Va bene, allora io e John veniamo a passare la serata a casa tua.» Non potrebbe andare peggio. Ultimamente la mia punizione si è trasformata in una punizione di gruppo per cui sia John che Nat, invece di passare le loro serate fuori, mi fanno compagnia a scaldare il divano. Ormai è un mese che va avanti questa storia! Non posso più permetterglielo anche perché da domani sarò libera come l'aria!

«Assolutamente no. Andate alla festa e divertitevi. Tanto se venite qui non vi apro.» La sento borbottare al telefono ma questa volta non ho intenzione di cedere. «Prenditi cura di John, piuttosto.»

«Come se avesse bisogno che qualcuno si prenda cura di lui!» Sta cedendo, lo sento dal tono della sua voce e prima che ci ripensi taglio corto.

«Ciao, Nat. Saluta John da parte mia.» Riaggancio, lanciando il cellulare sulla scrivania con un sospiro di sconforto. Non è per la festa. Il vero problema è che sono inquieta.

Le ultime settimane sono state surreali. Bizzini non mi ha più rivolto neanche una battutina malevola, i miei genitori si sono convinti a mettere una scadenza alla mia punizione, e Zac si è appena lasciato con la sua ultima fidanzatina super sexy. Le cose non potrebbero andare meglio di così eppure sono sempre più nervosa, irascibile. Mi sento osservata, anche adesso che sono sola nella mia stanza.

All'improvviso mentre mi volto un'ombra alle mie spalle mi agguanta coprendomi la bocca con una mano.

«Se non urli, ti libero.»

Annuisco debolmente e appena lui inizia ad allentare la presa gli sferro una gomitata al busto divincolandomi con tutte le forze. Mi agito scomposta, tirando calci dove capita ma ogni tentativo di fuga viene neutralizzato e finisco intrappolata con le spalle al muro da un corpo che sembra scolpito nella pietra. «Smettila, ragazzina. » mi ordina perentorio. «Sono più forte di te e se avessi voluto farti del male lo avrei già fatto.» Mi blocco immediatamente quando nella penombra riconosco un profilo familiare. Ma è ... Sanders. É Kile Sanders. In camera mia. Altro che lasciarmi in pace!

«Come hai fatto ad entrare?» ringhio tirando le braccia che lui tiene bloccate contro il muro per i polsi ai lati della testa. Continuo a dibattermi finché non sono costretta a fermarmi perché non mi resta più un briciolo di energia in corpo mentre lui mi tiene ferma con la stessa facilità con cui schiaccerebbe un moscerino.

«Vedo che inizi a capire.» Il suo ghigno di vittoria innesca in me una nuova ondata di proteste che si spegne rapidamente. Sono senza forze.

«Che cosa vuoi?» dico guardandolo dritto negli occhi ma mi rendo subito conto che non è una buona idea. Ha gli occhi di un felino: neri come la pece ma con delle pagliuzze dorate e verdi che li fanno brillare nella penombra della stanza.

«É da tanto tempo che aspetto di fare questa chiacchierata con te e adesso me la voglio godere fino in fondo.» Godere? Fino in fondo? Persino io questa volta riesco a cogliere l'esplicita allusione sessuale. Come se non bastasse lui si avvicina lasciandomi senza fiato.

«Non voglio chiacchierare con te.» ribatto con il poco fiato che mi è rimasto.

«Non ha importanza lo farai.» La sua voce è vellutata, carezzevole e per un motivo che non mi so spiegare mi fa arrossire. Faccio un altro tentativo di fuga che naufraga miserevolmente nel vuoto.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora