Capitolo 47

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Natascia POV

Zac di qua, Zac di là, prova a parlare con Zac. Prima dell'aggressione mia madre era un tormento ma adesso è diventata una piaga mortale e il vero problema è che io la assecondo. Lo faccio da sempre. E' da quando sono bambina che le scodinzolo dietro elemosinando anche la più piccola attenzione. Già, ma poiché sono gelosa e quello che penso e che sento non conta, non interessa a nessuno. Eppure eccomi qui al capezzale del mio fratello idiota, semi morente ad cercare di capire cosa c'è che non va.

Del tutto normale non è.

La sua stanza d'ospedale è un parco giochi piena com'è di palloncini e gadget; i suoi compagni e amici hanno fatto a gara per cercare il regalo più divertente, quello più stravagante e lui non ha degnato niente e nessuno neanche di uno sguardo. Se ne sta lì, in quel letto a fissare il vuoto come se gli avessero strappato l'anima di dosso. Che cavolo! Non è mica morto! In una situazione normale Zac avrebbe sfruttato fino all'osso la sua sofferenza per ottenere più favori possibili. Avrebbe urlato il suo dolore al mondo intero pur di farsi compatire e se la sarebbe spassata alla grande. Invece non fiata. Non un lamento, mai. Anche in questo momento. Sono qui. Potrei prenderglielo io il suo fottutissimo bicchiere d'acqua, invece preferisce soffrire come un cane, stringere i denti e diventare pallido come un cencio. Questa storia non mi quadra neanche un po'.

«Faccio io. » Gli dico primo che stramazzi a terra.

«Non mi sembra di avertelo chiesto. » mi ringhia contro.

«E' proprio per questo che lo faccio, no? Sono nata solo per farti dispetto! » Lui sbuffa, ma alla fine mi strappa il bicchiere dalle mani. Mi fa quasi pena.

«Allora si può sapere che diavolo hai combinato? » Getto lì tanto per dire. Da qualche parte dovrò pur cominciare per capire quello che gli passa per la testa,no? Ma lui invece di protestare la sua innocenza si fa cadere il bicchiere addosso. Impreca come uno scaricatore e io inizio a preoccuparmi . Non è uno dei soliti problemi questa volta , c'è sotto qualcosa di grosso.

Prendo un asciugamano e cerco di aiutarlo ma mi scaccia malamente strappandomi la salvietta dalle mani. «Lascia perdere. Vattene e lasciami perdere. » sbotta.

Arretro di un passo e lo osservo in silenzio mentre scosta il copriletto e cerca di riparare il danno freneticamente, in maniera quasi ossessiva. Si sposta il pigiama fradicio dal corpo, vi passa sopra l'asciugamano energicamente, sfregando con foga come se la sua vita dipendesse da questo.

C'è qualcosa di isterico nei suoi movimenti, qualcosa di penoso che ti getta addosso una sottile patina di disperazione.

«Zac » lo fermo afferrandogli una mano. Lui alza lo sguardo e vedo le lacrime rigargli il volto. Sta piangendo? Mio fratello sta piangendo?! La paura mette radici dentro di me mentre lui biascica: «Il danno è fatto, ormai. Non si può più riparare. Non si può recuperare.»

«E' solo un pigiama.» osservo. Lui scuote la testa e se la prende tra le mani.

«Non è il pigiama il problema, vero? »

Lui continua a scuotere la testa poi mi guarda negli occhi, mi fa vedere tutta la sua disperazione, la sua impotenza, il suo desiderio di liberarsi di un fardello troppo penoso che si trascina dietro.

«Dimmi qual è il problema. »

Lo vedo tentennare indeciso. Vuole parlare, forse, ma sembra che non trovi il coraggio per farlo. Apre la bocca ma non esce alcun suono.

«Nat? » L'arrivo intempestivo di John interrompe tutto. Con un sospiro Zac torna ad appoggiarsi al letto e a rivolgere uno sguardo vacuo alla finestra.

Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora