Casa finalmente, dovrei sentirmi al sicuro invece le pareti mi stringono in una morsa, mi soffocano. Bagno. Ho bisogno del bagno. Arranco lungo le scale, gira tutto, è difficile mantenere l'equilibrio e lo stomaco continua a contorcersi facendomi gemere di dolore. Arrivo per un soffio al lavandino, mi aggrappo ai bordi e vomito ancora una volta. Il mio stomaco vorrebbe espellere anche se stesso ma sembra che non sia possibile così continua ad accanirsi, non mi da tregua.
Quando i conati si placano per più di dieci secondi mi tiro a sedere contro la parete e affondo il viso nella conca delle ginocchia strette tra le braccia. Esausta, tremante e i singhiozzi mi scuotono ancora. Sporca, mi sento così sporca. La doccia. E' una buona idea. Devo solo riuscire a spogliarmi. Una risata isterica mi sale alle labbra. Non posso spogliarmi, non voglio vedermi. Lo odio il mio corpo. Così rimango a terra, a piangere mentre i secondi diventano lunghi quanto un'ora ed ogni respiro è più faticoso di quello che lo precede.
Freddo. Ho così tanto freddo.
La doccia. Sì. Non è necessario spogliarsi. Devo solo far scorrere l'acqua calda, ma è inutile, non mi scalda, il gelo ce l'ho dentro. I vestiti fradici mi si appiccicano alla pelle, sono come le sue mani su di me, ancora ovunque e un nuovo conato di vomito mi piega in due. Vomito solo bile. Non c'è più niente da tirar fuori.
Mi strappo i vestiti di dosso. Mi danno fastidio. Tutto mi irrita. Barcollante esco dal bagno, prendo un pigiama e mi infilo sotto le coperte, rannicchiata su me stessa in posizione fetale. Chiudo gli occhi nella speranza che il buio mi avvolga, ma non c'è scampo. Nello sfondo scuro le immagini si susseguono frenetiche così forti e vivide da sembrare scolpite nella pietra. Sbarro gli occhi e spalanco la bocca per urlare ma non un suono esce. L'urlo è solo dentro di me, silenzioso e implacabile.
Influenza intestinale. Così l'ha battezzata mia madre. I sintomi ci sono tutti: nausea, vomito, brividi, febbre alta. Vorrei poter dire di aver avuto la tentazione di raccontarle tutto ma non è così. Voglio solo dimenticare, fingere che non sia mai successo niente. Mi raggomitolo nel letto con le coperte fin sopra la testa e aspetto. Cosa aspetto non saprei dirlo.
Il sole sorge. E' un nuovo giorno. Prendo il cuscino e lo lancio contro la finestra, contro il mondo che, incurante del mio dolore, continua a girare come se niente fosse accaduto. Piango ancora. Almeno nel mio bozzolo non sono costretta a vedere nessuno, a parlare con nessuno. Ogni tanto mi sembra di sentire una mano fresca sulla mia fronte fradicia di sudore ma la scaccio con forza. Nessuno mi deve toccare, ma poi mi sveglio. Era solo un sogno o un incubo più probabilmente.
Tra la nebbia che mi ottenebra il cervello sento mia madre che bisbiglia:
« Sono tre giorni che è in questo stato. Non riesce a mandare giù neanche l'acqua. Se non migliora, chiamo il dottore. »
No. Urlo ma esce solo un bisbiglio perché non ho le forze per aprire bocca, so solo che non mi farò visitare da nessuno. Non c'è alcuna possibilità.
Il giorno seguente la febbre è miracolosamente scomparsa. Riesco anche a mangiare un pugno di riso in bianco e per la felicità di tutti niente dottore. Posso continuare a stare a letto però, perché non ho la forza neanche di sollevare la testa dal cuscino.
«Sam.» Qualcuno mi scuote delicatamente. E' mia madre.
«Ci sono Natascia e John. »
«No. » Mugulo rimettendo la testa sotto le coperte ma loro sono già entrati.
«Sam. » questa volta riconosco la voce di Natascia.
«Vattene. Sono orribile. » ribatto da sotto le coperte cercando di combattere ancora una volta contro le lacrime.
«E chi se ne frega. »
«Potrei essere contagiosa. » Protesto ma Natascia è un mastino. Sta tirando le coperte per scoprirmi.
«Abbiamo condiviso la varicella, e anche la mononucleosi vuoi che mi metta paura di un'influenza?»
Questo preferirei non condividerlo, penso scoraggiata. Ma lei è implacabile. Quando esco dal mio giaciglio di pelliccia però rimane senza parole.
«Che cavolo di virus ti sei beccata? » chiede scrutando ogni dettaglio senza pietà. «Sei più che orrenda. » Scherza, ovviamente, o forse neanche tanto ma io sono ancora in modalità lacrima facile e non riesco a trattenermi.
«Sam, scherzavo. » Si avvicina per abbracciarmi ma io mi ritraggo istintivamente.
«Sono contagiosa. » mi giustifico addossandomi alla parete. Lei continua a guardarmi e io mi copro il volto con le mani. Non guardarmi. Ti prego. Non vedere. Posso nascondermi per sempre?
«Sam? » domanda adesso allarmata. «Che cavolo ti è successo? »
«Niente. » mormoro cercando di ricompormi. Fingere. Devo fingere. Mi passo una mano tra i capelli , tremo un po'. Cerco di sorridere, come posso. «Sono solo un po' stanca. La febbre, sai, e lo stomaco ancora mi fa male per i crampi che ho avuto in questi giorni. »
«Tua madre dice che non hai voluto farti visitare dal dottore.»
John. Devo fare uno sforzo sovraumano per non gemere di terrore. E' rimasto in disparte, silenzioso, appoggiato alla parete. Gli lancio solo uno sguardo di soppiatto. Per una volta nella tua vita, John, chiudi gli occhi.
«Non mi piacciono i dottori. » borbotto.
«Ma adesso stai un po' meglio? » chiede Nat un po' preoccupata.
Annuisco vigorosamente. «Sono riuscita anche a mangiare. »
John non dice una parola. Continua solo a guardarmi.
«Quando torni a scuola? »
Una pugnalata forse farebbe meno male. La realtà incombe come un avvoltoio. La scuola, Kyle. Zac. Come faccio ad affrontarli? Rabbrividisco solo al pensiero.
«Non so. » Mi guardo le mani che ho in grembo. Mi sento in bilico su un precipizio. Non posso tornare indietro ma non riesco neanche ad andare avanti. Vorrei solo che la terra mi inghiottisse per sempre.
«Vieni, Nat. Andiamo. Samantha è stanca, deve riposare. » Le parole secche di John mi fanno tremare. Sembrano minacciose solo alle mie orecchie?
Vorrei riuscire a protestare ma sono veramente esausta. Natascia si alza lentamente dal mio letto e prima che io dica una sola parola mi stritola tra le sue braccia.
«Rimettiti. » dice incoraggiante. John è già sulla porta, la aspetta e poi escono insieme.
Conto fino a tre, poi raduno tutte le mie forze e mi nascondo in cima alle scale per origliare senza ritegno.
«E' strana. Non può essere solo l'influenza. » sta dicendo Natascia.
«E' spezzata. » ribatte John.
«Ma cosa le sarà successo? »
«Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo. »
Mi porto le mani alla faccia per soffocare un singhiozzo. Ho fallito miseramente. John non deve sapere. Nessuno deve sapere e io devo imparare a recitare la mia parte altrimenti sarà un disastro.
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Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)
أدب نسائيAvevo sempre odiato i cattivi ragazzi e lui era il peggiore: spocchioso, arrogante, tenebroso, arrivato a scuola scortato dalla polizia. Avrei dovuto sotterrare il mio senso di giustizia e lasciarlo a marcire nella melma da cui era arrivato, invece...