Sabato sera, ore diciannove. Natascia è in ritardo come al solito e io sono puntuale come al solito per cui ho una mezz'oretta da impegnare. Troppo poco per continuare con la lettura di Percy Jackson, però il tomo è lì, solo soletto. Sembra che mi stia chiamando con voce soave.
«A che ora è la festa? » urla mia madre dalla cucina mentre si affaccenda ai fornelli.
«Alle sette.» Borbotto senza neanche alzare la testa.
«A casa di chi è la festa?».
«Anna.»
«Ti viene a prendere Natascia?»
«Sì.»
Imbronciata dalle mie risposte a monosillabi la mamma abbandona la sua postazione e si affaccia alla porta della sala per squadrarmi da capo a piedi. «Sei sicura di voler andare conciata in quel modo?»
Non le rispondo, scuoto semplicemente la testa. Sono perfettamente consapevole di non essere una bellezza, ma continuare a mettere il dito nella piaga ha l'unico effetto di sgretolare rovinosamente il mio io. Lei mi fissa imperterrita aspettando qualcosa che non riesco a identificare.
«Chi vi accompagna?» mi chiede quando il silenzio è ormai diventato insostenibile.
«Zac.» rispondo a mezza bocca. Ho detto la parola magica. Mia madre si illumina come un'insegna a neon. Si fida ciecamente di Zac tanto da farmi sospettare che anche lei sia da annoverarsi tra le sue conquiste. Certamente è il sogno di ogni madre. Bello, gentile, educato. In effetti l'unica pecca secondo gli standard moderni è che non è ricco ma a mio avviso me non è un difetto. I ragazzi ricchi sono tutti snob e lui non lo è. Lui è semplicemente perfetto.
Vedo già in arrivo un altro interrogatorio quando vengo salvata dal suono del campanello. La megera è costretta a lasciarmi in pace per aprire la porta.
«Ciao John.» Saluta facendosi da parte per farlo entrare. «Sam non mi aveva detto che saresti andato anche tu alla festa.» Come se la sua presenza fosse una novità. Alzo gli occhi al cielo quando la sento attaccare con la solita predica. «Non mi dice mai niente. In realtà mi risponde a monosillabi. Anche tu fai così con i tuoi genitori?»
«Certo signora Rush. Siamo piuttosto riservati.» La voce rassicurante di John e il suo sorriso riescono nel miracolo di far tornare mia madre nell'unico posto in cui sono certa che non produce danni: in cucina.
«Non vedo l'ora di non dover più rendere conto a nessuno di quello che faccio.» borbotto osservandola con una smorfia mentre lei si allontana.
John mi si siede accanto e sorride con quello sguardo che dice tutto senza aprire bocca.
«Tutto come al solito vero?»
«Niente cambia a casa Rush.» borbotto a mezza bocca. Non ce l'ho con lui, è l'insieme a fare schifo. Il mio sentirmi inadeguata, sempre fuori posto o come se mi mancasse qualcosa con la differenza che se avessi un arto menomato nessuno si aspetterebbe che facessi l'equilibrista. Invece mia madre continua a farmi pressione, a scuola è lo stesso e a volte io vorrei solo sparire.
La cosa peggiore è che questi pensieri autolesionisti fanno schifo perfino a me. Non sono messa così male in realtà. Guardo John e gli sorrido. Lui è fantastico: c'è e basta, senza giudizi, senza commenti. Anche stare così in silenzio, solo noi due è piacevole. Come se le parole fossero superflue.
Quasi mi dispiace quando qualche minuto dopo il campanello della porta suona ancora e io sono costretta ad aprire a Natascia prima che mia madre intervenga.
«Ciao Sam. Sei pronta?»
Sbatto le palpebre, una, due, dieci volte nel tentativo di mettere a fuoco. Zac è alla mia porta, di fronte a me e mi ha appena rivolto la parola. I due neuroni nella mia testa giocano all'autoscontro. Qui neurone numero uno a neurone numero due. Elaborare passo! Biiiiiip. Nessuna risposta. Ripeto qui neurone numero uno a neurone numero due. Elaborare una risposta! Subito! Una qualsiasi! ... Impossibile stabilire una connessione. Riprovare più tardi. Più tardi è troppo tardi. Sono sicura di essere anche arrossita fino alla radice dei capelli.
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Il mio nome è Samantha Rush (In revisione)
ChickLitAvevo sempre odiato i cattivi ragazzi e lui era il peggiore: spocchioso, arrogante, tenebroso, arrivato a scuola scortato dalla polizia. Avrei dovuto sotterrare il mio senso di giustizia e lasciarlo a marcire nella melma da cui era arrivato, invece...