capitolo 2 (2^parte)

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Tutti dicevano sempre a Clary che assomigliava a sua madre, ma lei quella somiglianza non la vedeva proprio. L'unica cosa simile che avevano era la struttura fisica: erano tutt'e due magre, con il petto poco pronunciato e i fianchi stretti. Clary sapeva di non essere bella come sua madre. Per essere bella dovevi essere alta e flessuosa. Se eri bassa come Clary, che superava di poco il metro e cinquanta, al massimo potevi essere carina. Non bella, e nemmeno affascinante: carina. Se poi ci si mettevano anche i capelli color carota e una faccia piena di lentiggini, lei e sua madre erano simili come una bambola di pezza con i capelli rossi e Barbie.
Jocelyn aveva un modo aggraziato di camminare che faceva voltare la gente per strada. Clary, al contrario, non faceva altro che inciampare dappertutto e la gente si voltava a guardarla soltanto quando finiva dritta distesa per terra.
«Grazie per avere portato su gli scatoloni» disse la madre di Clary a Luke con un sorriso. Ma Luke non rispose al suo sorriso. Lo stomaco di Clary fece una giravolta. Evidentemente stava succedendo qualcosa. «Mi dispiace di averci messo tanto, a trovare un parcheggio... oggi ci saranno un milione di persone al parco...»
«Mamma?» la interruppe Clary. «A cosa servono quegli scatoloni?»
Jocelyn si mordicchiò un labbro. Luke lanciò una rapida occhiata in direzione di Clary per spingere silenziosamente Jocelyn a farsi avanti. La donna si spinse una ciocca ribelle di capelli dietro l'orecchio e si sedette sul divano accanto alla figlia.
Ora che l'aveva vicina, Clary vide quanto sua madre era stanca. Aveva gli occhi cerchiati e le palpebre gonfie per la mancanza di sonno.
«È per ieri sera?» chiese Clary.
«No» disse subito sua madre, poi ebbe un'esitazione. «Forse un po'. Non avresti dovuto fare quello che hai fatto questa notte, lo sai benissimo...» «Mi sono già scusata. Cos'è questa storia? Se mi devi mettere in castigo, fallo e basta.»
«Non ho intenzione» si alterò sua madre «di metterti in castigo.» La sua voce era tesa come una corda di violino. Guardò Luke, che scosse il capo.
«Diglielo e basta, Jocelyn» disse lui.
«Vi dispiacerebbe non parlare di me come se non ci fossi?» scattò Clary.
«E cos'è che dovresti dirmi?»
Jocelyn sospirò. «Andiamo in vacanza» disse.
Il volto di Luke divenne inespressivo come una tela da cui fosse stato cancellato il colore.
Clary scosse il capo. «Tutto qui? Andate in vacanza?» Si lasciò andare contro lo schienale del divano. «Non capisco. Perché la state facendo tanto lunga?»
«Forse non hai capito.» Jocelyn giocherellava nervosamente con la frangia del suo scialle. «Volevo dire che ci andiamo tutti, in vacanza. Tutti e tre... io, te e Luke. Andiamo alla fattoria.»
«Ah.» Clary diede un'occhiata a Luke, che aveva le braccia conserte e guardava fuori dalla finestra, la mandibola contratta. La ragazza si chiese cosa lo turbasse. A lui piaceva la vecchia fattoria nell'entroterra... L'aveva comprata e restaurata personalmente dieci anni prima e ci andava ogni volta che poteva. «Per quanto tempo?»
«Per il resto dell'estate» disse Jocelyn. «Ho preso degli scatoloni nel caso tu voglia portare dei libri o del materiale per dipingere...»
«Per il resto dell'estate?» Clary scattò in piedi indignata. «Non posso farlo, mamma. Ho dei programmi... io e Simon dobbiamo organizzare una festa per l'inizio della scuola e ho gli incontri al laboratorio d'arte e altre dieci lezioni dalla Tisch...»
«Mi dispiace per la Tisch. Ma le altre cose possono essere annullate.
Simon capirà, e anche i ragazzi del laboratorio.»
Clary sentì l'implacabilità nella voce della madre e capì che stava parlando seriamente. «Ma le ho già pagate, quelle lezioni! Ho risparmiato tutto l'anno! Mi avevi promesso...» Si voltò verso Luke. «Diglielo! Dille che non è giusto!»
Luke continuò a guardare fuori dalla finestra, ma un muscolo della sua guancia ebbe un guizzo nervoso. «Lei è tua madre. È una decisione che spetta a lei.»
«Non capisco.» Clary tornò a voltarsi verso la madre. «Perché?»
«Me ne devo andare, Clary» spiegò Jocelyn. Le tremavano gli angoli della bocca. «Ho bisogno di pace e di silenzio per dipingere. E al momento siamo a corto di soldi.»
«E allora vendi un po' delle azioni di papà» replicò Clary arrabbiata. «È quello che fai di solito, no?»
Jocelyn si ritrasse. «Non essere ingiusta...»
«Senti, se tu vuoi andare, vai, non mi interessa. Io resterò qui senza di te. Posso lavorare. Mi posso trovare un lavoro da Starbucks o qualcosa del genere. Simon mi ha detto che cercano sempre qualcuno. Sono grande abbastanza per badare a me stessa.»
«No!» La voce affilata di Jocelyn fece fare un salto a Clary. «Ti ridarò i soldi delle lezioni, Clary. Ma tu vieni con noi. È fuori discussione. Sei troppo giovane per restare qui da sola. Potrebbe succedere qualcosa...» «Ma cosa? Cosa potrebbe succedere?» la incalzò Clary.
Vi fu un rumore secco. Clary si voltò e vide con stupore che Luke aveva fatto cadere una delle fotografie incorniciate che con tanta fatica aveva portato su per le scale. Aveva un'aria decisamente turbata. Riappoggiò la cornice al muro e, quando si risollevò in piedi, le sue labbra erano tese in una linea sottilissima. «Io vado.»
Jocelyn si mordicchiò le labbra. «Aspetta...» Lo rincorse nell'ingresso, raggiungendolo nell'istante preciso in cui toccava la maniglia della porta. Clary si voltò senza lasciare il divano e riuscì a sentire soltanto il sussurro affrettato di sua madre. «... Bane» disse Jocelyn. «Nelle ultime tre settimane ho continuato a chiamarlo. La sua segreteria telefonica dice che è in
Tanzania. Che devo fare?»
«Jocelyn...» Luke scosse il capo. «Non puoi continuare ad andare sempre da lui.»
«Ma Clary...»
«Non è Jonathan» sibilò Luke. «Tu non sei più la stessa, da quando è successo, ma Clary non è Jonathan.»
Cosa c'entra mio padre con questa storia?, pensò Clary sbalordita.
«Non posso tenerla chiusa in casa... non accetterà mai una cosa del genere...»
«Certo che no!» Luke sembrava davvero arrabbiato. «Non è un cucciolo di cane, è un'adolescente. Quasi un'adulta.»
«Se fossimo lontani dalla città...»
«Parlale, Jocelyn.» La voce di Luke era ferma. «E sai cosa voglio dire.» Allungò una mano verso la maniglia.
La porta si spalancò all'improvviso e Jocelyn lanciò un urletto.
«Gesù!» esclamò Luke.
«Ehm, no, sono soltanto io» disse Simon «anche se mi hanno detto che ci assomigliamo parecchio.» Fece un cenno a Clary. «Sei pronta?» Jocelyn si tolse la mano dalla bocca. «Simon, stavi origliando?»
Simon sbatté gli occhi. «No, sono appena arrivato.» Spostò lo sguardo dal volto pallido di Jocelyn a quello furente di Luke. «C'è qualcosa che non va? Volete che me ne vada?»
«Non preoccuparti» disse Luke. «Credo che abbiamo finito, qui.» Oltrepassò Simon e scese le scale di gran carriera. Quando sentì la porta del piano terra che sbatteva, Jocelyn ebbe un sobbalzo.
Simon era rimasto sulla porta con un'aria indecisa. «Posso tornare tra un po'» propose. «Davvero, non è un problema.»
«Forse sarebbe...» fece per dire Jocelyn, ma Clary si era già alzata in piedi.
«Lascia stare, Simon. Usciamo» disse prendendo la borsa da un gancio accanto alla porta. Se la infilò a tracolla e lanciò un'occhiata alla madre.
«Ci vediamo dopo, mamma.»
Jocelyn si morse un labbro. «Clary, non pensi che dovremmo parlarne?»
«Avremo un sacco di tempo per parlare, quando saremo in vacanza» rispose Clary inviperita, ed ebbe la soddisfazione di vedere un'espressione ferita sul volto di sua madre. «Non aspettarmi alzata» aggiunse, dopodiché prese Simon per un braccio e lo trascinò fuori dalla porta.
Il ragazzo oppose un po' di resistenza, guardando con aria di scuse la madre di Clary, come rimpicciolita e abbandonata sulla soglia di casa, le mani intrecciate fra loro. «Arrivederci, signora Fray!» disse Simon. «Buona serata!»
«Oh, stai zitto, Simon» ringhiò Clary, mentre sbatteva la porta alle spalle senza aspettare la risposta di sua madre.

«Ehi, ragazza, guarda che questo braccio mi serve ancora» protestò Simon mentre Clary lo strattonava giù per le scale, le Skechers verdi che pestavano a ogni passo sui gradini di legno. Clary guardò in alto, quasi aspettandosi di vedere sua madre che la guardava dal pianerottolo, ma la porta dell'appartamento restò chiusa.
«Scusa» borbottò, mentre lasciava il polso dell'amico. Si fermò ai piedi delle scale, con la borsa che le batteva contro il fianco.
La casa di Clary, come la maggior parte delle abitazioni di Park Slope, un tempo era stata la residenza di una famiglia ricca. L'eco degli splendori del passato era ancora presente nelle scale arrotondate, nel pavimento di marmo sbeccato dell'ingresso, nel lucernario. Ora la casa era divisa in due appartamenti separati, e Clary e sua madre condividevano quel palazzo con l'inquilina del piano di sotto, una donna anziana che non usciva quasi mai di casa e forniva consulti esoterici, per quanto le visite dei clienti fossero piuttosto rare. Una placca dorata attaccata alla porta diceva: MADAME DOROTHEA, DIVINATRICE E PROFETESSA.

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