Capitolo 6 (1^parte)

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capitolo 6
I DIMENTICATI

L'armeria corrispondeva esattamente a quello che ci si aspetterebbe da un posto chiamato "l'armeria". Alle pareti di metallo spazzolato era appesa ogni sorta di spada, daga, picca, alabarda, baionetta, frusta, mazza, uncino e arco. Faretre di cuoio piene di frecce pendevano dai ganci, e c'erano anche pile di stivali, schinieri e protezioni per le braccia e i polsi. La sala odorava di metallo e cuoio e lucido per acciaio.
Alec e Jace, non più a piedi nudi, sedevano a una lunga tavola al centro della sala, le teste chine su un oggetto posato davanti a loro. Jace levò lo sguardo, mentre la porta si chiudeva alle spalle di Clary. «Dov'è Hodge?» chiese.
«Sta scrivendo ai Fratelli Silenti.»
Alec represse un brivido. «Ah.»
Clary si avvicinò lentamente al tavolo, consapevole di avere addosso lo sguardo di Alec. «Cosa fate?»
«Diamo gli ultimi ritocchi a queste.» Jace si spostò di lato, in modo che lei potesse vedere il piano del tavolo: c'erano tre bacchette sottili d'argento scintillante. Non sembravano affilate né particolarmente pericolose. «Sanvi, Sansanvi e Semangelaf. Sono spade angeliche.»
«Non sembrano spade. Come le avete fatte? Con la magia?»
Alec assunse un'espressione indignata, come se Clary gli avesse chiesto di indossare un tutù ed eseguire un perfetto en pointe. «La cosa buffa dei mondani» disse Jace senza rivolgersi a nessuno in particolare «è come siano ossessionati dalla magia, considerato che non sanno nemmeno cosa voglia dire, questa parola.»
«Io so cosa vuol dire» ribatté Clary.
«No, non lo sai. Credi di saperlo. La magia è una forza oscura ed elementare, non c'entra niente con bacchette luccicanti, sfere di cristallo e pesci rossi parlanti.»
«Io non ho mai parlato di pesci rossi parlanti.»
Jace tagliò corto con un movimento della mano. «Non basta prendere un'anguilla elettrica e dire che è una paperella di gomma perché diventi davvero una paperella di gomma, ti pare? E tanto peggio per chi decide di farsi il bagno con quella paperella.»
«Stai dicendo sciocchezze» disse Clary.
«Niente affatto» disse Jace con un'espressione altezzosa.
«E invece sì» ribatté abbastanza inaspettatamente Alec. «Senti, noi non facciamo nessuna magia, va bene?» aggiunse senza guardare Clary. «È tutto quello che ti serve sapere al riguardo.»
Clary avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma si trattenne. Dal momento che Alec non aveva una grande simpatia per lei, non aveva senso peggiorare la situazione. Si rivolse a Jace. «Hodge ha detto che posso andare a casa.»
Jace lasciò quasi cadere la spada angelica che aveva in mano. «Cosa ha detto?»
«Per dare un'occhiata alle cose di mia madre» aggiunse lei. «Se tu vieni con me.»
«Jace» sospirò Alec, ma Jace lo ignorò.
«Se vuoi veramente dimostrare che mia mamma o mio papà erano Cacciatori, dovremmo cercare fra le cose di mia madre. O almeno tra quello che è rimasto.»
«Dentro la tana del coniglio» disse Jace con un sorriso. «Ottima idea. Se partiamo subito, avremo altre tre o quattro ore di luce.»
«Vuoi che venga con voi?» chiese Alec, mentre Clary e Jace si avvicinavano alla porta. Clary lo guardò. Si stava alzando dalla poltrona, lo sguardo pieno d'aspettativa.
«No.» Jace non si voltò. «Va bene così. Io e Clary ce la possiamo cavare da soli.»
Lo sguardo che Alec lanciò a Clary era corrosivo come un bicchiere di veleno. La ragazza fu ben contenta quando la porta si chiuse alle sue spalle.
Jace le fece strada lungo il corridoio. Clary dovette trotterellare per tener dietro alle sue falcate. «Hai le chiavi di casa tua?»
Clary si guardò le scarpe. «Sì.»
«Bene. Riusciremmo a entrare comunque, ma avremmo più probabilità di far scattare qualche incantesimo difensivo.»
«Se lo dici tu.» Si fermarono davanti a una grata di metallo nero, alla fine del corridoio. Quando Jace premette un pulsante accanto alla grata Clary si rese conto che era un ascensore, che iniziò a salire scricchiolando e gemendo. «Jace?»
«Sì?»
«Come facevi a sapere che ho del sangue di Shadowhunters? C'era un modo per esserne sicuro?»
L'ascensore arrivò con un ultimo brontolio. Jace aprì la grata. L'interno, tutto metallo nero e decorazioni dorate, ricordò a Clary una gabbia per uccelli. «Ci ho provato» ammise lui chiudendosi la porta alle spalle. «Mi sembrava la spiegazione più plausibile.»
«Ci hai provato? Dovevi esserne abbastanza sicuro, considerato che avresti potuto uccidermi.»
Lui premette un pulsante sulla parete e l'ascensore si mise in azione con un sobbalzo e un grugnito vibrante che Clary si sentì nelle ossa dei piedi.
«Ero sicuro al novanta per cento.» «Capisco» disse Clary.
C'era qualcosa di strano nella sua voce, perché Jace si voltò a guardarla. La mano di Clary lo colpì al volto con uno schiaffo che lo fece sobbalzare. Lui si portò una mano alla guancia, più per la sorpresa che per il dolore. «Perché diavolo l'hai fatto?»
«Per l'altro dieci per cento» disse lei, dopodiché trascorsero il resto della discesa fino al piano terra senza dire una parola.

Sul treno per Brooklyn Jace restò chiuso in un silenzio rabbioso. Clary gli rimase vicina lo stesso: si sentiva un po' in colpa, soprattutto quando guardava il segno che il suo schiaffo gli aveva lasciato sulla guancia.
Il silenzio non le dispiaceva: le dava la possibilità di pensare. Continuava a ripercorrere nella propria mente la conversazione con Luke. Le faceva male pensarci, come quando si mastica qualcosa con un dente cariato, ma non riusciva a smettere di farlo.
Un po' più in giù, nella stessa carrozza, due ragazzine sedute su un sedile arancione ridacchiavano tra loro. Era il genere di ragazze che a Clary non era mai piaciuto, alla St. Xavier's, tutte infradito di plastica rosa e abbronzature artificiali. Clary si chiese per un momento se stessero ridendo di lei, poi si rese conto che stavano guardando Jace.
Ripensò alla ragazza del bar, quella che continuava a fissare Simon. Le ragazze hanno sempre quell'espressione, quando pensano che un tizio è carino. Con tutto quel che era successo, si era quasi dimenticata che Jace era davvero carino. Non aveva i tratti delicati da cammeo di Alec, ma il suo viso era più interessante. Alla luce del giorno, i suoi occhi avevano il colore dello sciroppo d'acero e... la fissavano. Jace sollevò un sopracciglio. «Posso fare qualcosa per te?»
Clary si trasformò immediatamente in una traditrice del proprio stesso sesso: «Quelle ragazze laggiù ti stanno fissando.»
Jace assunse un'espressione vagamente gratificata. «Ma certo» gongolò. «Sono incredibilmente attraente.»
«Non hai mai sentito dire che la qualità più attraente in una persona è la modestia?»
«Vale solo per le persone brutte» rispose Jace. «Forse un giorno gli ultimi saranno i primi, ma per ora sono i vanitosi a divertirsi di più.» Strizzò l'occhio alle ragazze, che ridacchiarono e si nascosero dietro i capelli.
Clary sospirò. «Com'è che ti possono vedere?»
«Gli incantesimi sono una rottura di scatole. A volte li lasciamo perdere.»
La faccenda delle ragazze sul treno sembrava averlo messo di umore un po' migliore. Quando uscirono dalla stazione e iniziarono a risalire la collina che portava verso la casa di Clary, trasse di tasca una spada angelica e iniziò a rigirarsela tra le dita, canticchiando tra sé.
«Devi proprio farlo?» chiese Clary. «Mi dà fastidio.»
Jace si mise a canticchiare più forte. Era una specie di via di mezzo tra Tanti auguri a te e una marcetta militare.
«Scusami per lo schiaffo» aggiunse poi.
Lui smise di canticchiare. «Sei stata fortunata a fare una cosa del genere con me e non con Alec. Lui avrebbe reagito.»
«Direi che non aspetta altro» disse Clary tirando un calcio a una lattina vuota. «Che termine ha usato Alec per voi due? Para-qualcosa...» «Parabatai» precisò Jace. «È una parola che indica due guerrieri che combattono in coppia... Siamo più che fratelli. Alec non è soltanto il mio migliore amico. Mio padre e suo padre erano parabatai, da giovani. Suo padre era il mio padrino... è per questo che vivo con loro. Sono la mia famiglia adottiva.»
«Ma di cognome non ti chiami Lightwood.»
«No» disse Jace, e Clary stava per chiedergli come si chiamava, ma ormai erano arrivati a casa sua, e il suo cuore aveva iniziato a battere tanto forte che era convinta che lo si potesse sentire per un raggio di chilometri. Le ronzavano le orecchie, e i palmi delle sue mani erano madidi di sudore. Si fermò davanti alla siepe vicino al garage e sollevò lentamente lo sguardo, aspettandosi di vedere i nastri gialli della polizia che bloccavano la porta d'ingresso, vetri rotti sparsi per tutto il prato, la casa ridotta in macerie.

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