Capitolo 19 (2^parte)

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Abbadon urlò e indietreggiò barcollando e proteggendosi la testa deforme con le mani. Jace si portò una mano alla gola, fissando incredulo il demone che cadeva a terra ululando. Clary si aspettava quasi di vederlo prendere fuoco, mentre invece iniziò a ripiegarsi su se stesso, come aveva fatto il demone Du'sien quando era morto. Le sue gambe si contrassero verso il torso, il cranio si piegò come carta in fiamme e nel giro di un minuto il demone era scomparso completamente, lasciandosi dietro solo qualche piastrella bruciacchiata.

Simon abbassò l'arco. Stava sbattendo le palpebre dietro gli occhiali, la bocca socchiusa. Sembrava sbalordito quanto Clary.
Jace era steso sulla scale nel punto in cui l'aveva lanciato il demone. Stava cercando di mettersi a sedere, quando Clary scivolò in giù di qualche gradino e cadde in ginocchio accanto a lui. «Jace...»
«Sto bene.» Si alzò a sedere asciugandosi via del sangue dalla bocca. Con suo grande sollievo, Clary vide che i tagli alla gola sanguinavano molto ma erano poco profondi.
Jace tossì e sputò rosso. «Alec...»
«Il tuo stilo» lo interruppe lei mentre glielo porgeva. «Prendilo e sistemati.»
Lui la guardò. La luce del sole che si riversava dal lucernario distrutto le colpiva il volto. Jace sembrò sforzarsi molto per impedirsi di dirle qualcosa. «Sto bene» ripeté poi spingendola da parte non troppo delicatamente. Si alzò in piedi, barcollò e fu lì lì per cadere... la prima cosa un po' goffa che gli avesse mai visto fare. «Alec!»
Clary infilò lo stilo in tasca e si alzò. Isabelle aveva strisciato fin dove si trovava suo fratello. Gli teneva la testa in grembo e gli accarezzava i capelli. Il petto di Alec si alzava e abbassava... lentamente, ma respirava. Simon, appoggiato alla parete a guardarli, sembrava totalmente prosciugato. Clary gli prese una mano mentre gli passava davanti. «Grazie» sussurrò.
«È stato incredibile.»
«Non ringraziare me» disse lui. «Ringrazia il corso di tiro con l'arco della colonia estiva.»
«Simon, io non...»
«Clary!» Era Jace che la chiamava. «Portami il mio stilo.»
Simon la lasciò andare con riluttanza. Clary si inginocchiò accanto ai Cacciatori, la Coppa Mortale che le batteva pesante contro il fianco. Il volto di Alec era bianco e tempestato di goccioline di sangue. Strinse il polso di Jace, lasciandovi delle macchie di sangue. «L'ho...» iniziò a dire, poi parve vedere Clary per la prima volta. Nel suo sguardo c'era qualcosa che
lei non si aspettava: un senso di trionfo. «L'ho ucciso?»
Jace fece una smorfia riluttante. «Tu...»
«Sì» disse Clary. «È morto.»
Alec la guardò e scoppiò a ridere. Il sangue gli gorgogliò in bocca. Jace si liberò il polso e con le dita toccò i iati del volto di Alec. «No. Stai fermo» disse. «Non muoverti.»
Alec chiuse gli occhi. «Fai quello che devi» sussurrò.
Isabelle porse il suo stilo a Jace. «Tieni.»
Lui annuì e avvicinò la punta dello stilo alla maglietta di Alec. La stoffa si separò come se l'avesse tagliata con un coltello. Isabelle lo guardò irrequieta mentre apriva la maglietta, scoprendo il petto nudo di Alec. La sua pelle era bianchissima, segnata qua e là da vecchie cicatrici traslucide. C'erano anche altre ferite, comprese delle mezzelune più scure, segni di artigli, rosse e suppuranti. Jace, la mandibola rigida, avvicinò lo stilo alla pelle di Alec, muovendolo avanti e indietro con la scioltezza data da una lunga pratica. Ma c'era qualcosa che non andava. Ogni volta che disegnava un marchio guaritore, questo scompariva subito come se fosse stato tracciato sull'acqua.
Jace gettò da parte lo stilo. «Maledizione...»
Isabelle sembrava sull'orlo di una crisi isterica. «Cosa c'è?»
«Lo ha morso» disse Jace. «Ha del veleno di demone in circolo. I marchi non funzionano.» Toccò di nuovo il volto di Alec, delicatamente. «Alec» disse. «Riesci a sentirmi?»
Alec non si mosse. Le ombre sotto i suoi occhi erano blu come lividi. Se non fosse stato perché lo vedeva respirare, Clary avrebbe pensato che era già morto.
Isabelle chinò il capo, i capelli che ricadevano davanti al suo volto e a quello di Alec. Lo abbracciò. Era la prima volta che Clary si sentiva dispiaciuta per lei. «Forse» sussurrò «potremmo...»
«Portarlo all'ospedale» disse Simon, in piedi sopra di loro con l'arco ancora in mano. «Vi aiuto a trasportarlo fino al furgone. Sulla 7th Avenue c'è l'ospedale metodista...»
«Niente ospedali» disse Isabelle. «Dobbiamo portarlo all'Istituto.»
«Ma...»
«In ospedale non saprebbero come curarlo» disse Jace. «È stato morso da un Demone Superiore. Nessun dottore mondano saprebbe guarire quelle ferite.»
«È già successo» disse Isabelle.
Simon annuì. «Va bene. Portiamolo al furgone.»
Furono fortunati: il furgone era ancora lì. Isabelle stese sul sedile posteriore una coperta sporca presa dal baule e vi fecero sdraiare sopra Alec, la testa nel grembo della sorella. Jace si accucciò sul fondo dell'auto accanto all'amico. La sua maglietta era scurita dal sangue lungo le maniche e sul petto, sangue demoniaco e sangue umano. Quando Jace guardò Simon, Clary vide che tutto l'oro sembrava essere stato rubato dai suoi occhi e sostituito da qualcosa che non vi aveva mai visto prima: il panico.
«Vai veloce, mondano» disse. «Corri come se avessi l'Inferno alle calcagna.»
Simon partì.

Schizzarono giù per Flatbush e salirono a razzo sul ponte, tenendo il passo della linea Q della metropolitana che ruggiva sopra l'acqua blu. Il sole abbagliava gli occhi di Clary, sollevando scintille roventi dal fiume. La ragazza si attaccò al sedile quando Simon affrontò la rampa di discesa del ponte a ottanta chilometri all'ora.
Clary pensò alle cose orribili che aveva detto ad Alec, al modo in cui lui si era lanciato contro Abbadon, allo sguardo di trionfo sul suo volto. Quando voltò la testa, vide Jace inginocchiato accanto al suo amico mentre il sangue colava attraverso la coperta. Clary pensò al bambino con il suo falco morto. Amare vuol dire distruggere. Jace sarebbe morto se avesse saputo perché Alec aveva fatto ciò che aveva fatto.
Clary tornò a voltarsi. Aveva un groppo alla gola. Vide nello specchietto retrovisore Isabelle che avvolgeva la coperta attorno alla gola di Alec. La ragazza sollevò lo sguardo e incontrò quello di Clary. «Quanto manca?»
«Una decina di minuti. Simon sta andando il più in fretta possibile.»
«Lo so» disse Isabelle. «Simon... quello che hai fatto... è stato incredibile. Ti sei mosso così in fretta. Non pensavo che a un mondano potesse venire in mente un'idea del genere.»
Simon non sembrò particolarmente colpito dal fatto che gli giungessero delle lodi da una direzione tanto inattesa. Aveva gli occhi fissi sulla strada. «Vuoi dire di avere tirato al lucernario? Ci ho pensato dopo che eravate entrati. Stavo pensando al lucernario e al fatto che avevate detto che i demoni non possono stare alla luce diretta del sole. Quindi ci ho messo un po' a mettermi in azione. Ma non sentirti da meno» aggiunse. «Quel lucernario se non sai che c'è non lo vedi nemmeno.»
Io sapevo che c'era, pensò Clary. Avrei dovuto pensarci anch'io. Anche se non avevo l'arco e le frecce come Simon, avrei potuto lanciargli contro qualcosa o dire a Jace di farlo. Si sentì stupida, inutile e lenta, come se avesse la testa piena di bambagia. La verità era che aveva avuto paura. Troppa paura per pensare. Sentì un'ondata di senso di colpa esploderle dietro le palpebre come un piccolo sole.
Fu Jace a parlare. «Ben fatto» disse.
Gli occhi di Simon si socchiusero. «Allora, se non vi dispiace dirmelo... quella cosa, quel demone... da dove è arrivato?»
«Era Madame Dorothea» disse Clary. «Cioè, almeno in un certo senso, ecco.»
«Non è mai stata una fotomodella, ma non mi ricordavo che avesse quell'aspetto.»
«Credo fosse posseduta» disse Clary lentamente, cercando di mettere insieme i pezzi nella propria testa. «Voleva che le dessi la Coppa. Poi ha aperto il Portale...»
«È stata una mossa intelligente» disse Jace. «Il demone l'ha posseduta e poi ha nascosto la maggior parte della propria forma eterea poco fuori dal Portale, dove il sensore non poteva rilevarlo. Così siamo entrati aspettandoci di dover affrontare qualche Dimenticato e invece ci siamo trovati di fronte un Demone Superiore. Abbadon... uno degli Antichi. Il Signore dei Caduti.»
«Be', pare proprio che i Caduti dovranno imparare a cavarsela senza di lui» disse Simon mentre affrontava una curva.
«Non è morto» disse Isabelle. «Credo che nessuno abbia mai ucciso un Demone Superiore. Li devi uccidere nella loro forma fisica ed eterea perché muoiano. Lo abbiamo solo fatto scappare.»
«Ah» disse Simon deluso. «E Madame Dorothea? Starà bene adesso che...»
Si interruppe perché Alec aveva iniziato a soffocare, il respiro che produceva uno strano rumore nel petto. Jace imprecò sottovoce. «Perché non siamo ancora arrivati?»
«Ci siamo. È solo che non voglio andare a sbattere contro un muro.» Mentre Simon accostava con cautela all'angolo, Clary vide che la porta dell'Istituto era aperta e Hodge era in piedi sotto l'arco. Il furgone si fermò e Jace saltò fuori e si infilò sul sedile posteriore per sollevare Alec come se pesasse come un bambino. Isabelle lo seguì lungo il marciapiede con in mano la picca insanguinata del fratello. La porta dell'Istituto si chiuse alle loro spalle.
Clary guardò Simon esausta. «Mi dispiace. Non so come farai a spiegare a Eric tutto quel sangue.»
«Chi se ne frega di Eric» disse lui senza convinzione. «Tu stai bene?»
«Neanche un graffio. Si sono feriti tutti tranne me.»
«È il loro lavoro, Clary» disse lui gentilmente. «Combattere i demoni... è quello che fanno loro. Non è quello che fai tu.»
«E io cosa faccio, Simon?» chiese lei cercando una risposta sul volto del ragazzo. «Cosa faccio io?»
«Be'... hai recuperato la Coppa» disse lui. «O no?»
Lei annuì e aprì la giacca per fargli vedere la Coppa che spuntava dalla tasca interna. L'utilità delle tasche interne, pensò, era qualcosa che aveva imparato da Jace. «Sì» annuì.
Simon sembrò sollevato. «Avevo quasi paura a chiederlo» disse. «Ma lo speravo. È una buona cosa, vero?»
«Sì» ripeté Clary. Pensò a sua madre, e la mano le si strinse attorno alla
Coppa. «È una buona cosa.»

Church la aspettava in cima alle scale miagolando come una sirena da nebbia. La accompagnò in infermeria. Le doppie porte erano aperte e attraverso di esse Clary vide la figura immobile di Alec su uno dei letti bianchi. Hodge era chino su di lui. Isabelle, accanto a Hodge, reggeva un vassoio d'argento.
Jace non era con loro. Non era con loro perché era fuori dall'infermeria, appoggiato al muro, le mani insanguinate sui fianchi. Quando Clary gli si fermò di fronte, le sue palpebre si aprirono di colpo e Clary notò che le sue pupille erano dilatate, tutto l'oro affogato nel nero.
«Come sta?» gli chiese con tutta la delicatezza possibile.
«Ha perso molto sangue. E il morso del demone gli ha messo in circolo un veleno, e dato che era un Demone Superiore, Hodge non è sicuro che gli antidoti che usa di solito funzioneranno.»
Clary gli toccò un braccio. «Jace...»
Lui si ritrasse. «No.»
Lei trattenne il fiato. «Non avrei mai voluto che succedesse qualcosa ad
Alec. Mi dispiace.»
Lui la guardò come se la vedesse lì per la prima volta. «Non è colpa tua» disse. «È colpa mia.»
«Tua? Jace, no...»
«E invece sì» disse Jace con una voce fragile come una scheggia di ghiaccio. «Mea culpa. Mea maxima culpa.»
«Cosa vuol dire?»
«Mia colpa» disse lui. «Mia grandissima colpa. In latino.» Le spostò una ciocca di capelli dalla fronte con aria assente, come se non si accorgesse neppure di farlo. «Fa parte della liturgia della messa.»
«Pensavo che non credessi nella religione.»
«Forse non credo nel peccato» disse. «Ma mi sento in colpa lo stesso. Noi Shadowhunters viviamo in base a un codice e quel codice non è flessibile. Onore, colpa, pena, sono tutte cose reali per noi, e non hanno nulla a che vedere con la religione, ma solo con chi siamo. Questo è quello che sono, Clary» disse disperatamente. «Sono un membro del Conclave. È nel mio sangue e nelle mie ossa. E allora dimmi, se sei così sicura che non è stata colpa mia, perché il primo pensiero che ho avuto quando ho visto Abbadon non è stato per i miei compagni ma per te?» Sollevò l'altra mano e si nascose il volto tra i palmi. «Sapevo... sapevo... Alec si stava comportando in modo strano. Sapevo che c'era qualcosa che non andava. Ma riuscivo a pensare soltanto a te...»
Chinò il capo in avanti e le loro fronti si toccarono. Clary sentì il suo alito incresparle le ciglia. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua vicinanza la inondasse come una marea delirante. «Se muore, sarà come se lo avessi ucciso io» disse lui. «Ho lasciato morire mio padre e ora ho ucciso l'unico fratello che abbia mai avuto.»
«Non è vero» sussurrò Clary.
«Sì.» Erano abbastanza vicini per baciarsi. «Clary» continuò Jace. Lei non aveva mai sentito il suo nome pronunciato con un tale misto di amore e angoscia. «Cosa mi sta succedendo?»
Dietro di loro qualcuno si schiarì la gola. Clary aprì gli occhi. Hodge era sulla porta dell'infermeria, l'abito macchiato da chiazze di ruggine. «Ho fatto il possibile. Ora è sedato, non soffre, però...» Scosse il capo. «Devo contattare i Fratelli Silenti. Questo va al di là delle mie capacità.»
Jace si staccò lentamente da Clary. «Quanto ci metteranno ad arrivare qui?»
«Non lo so.» Hodge si avviò lungo il corridoio scuotendo il capo. «Manderò subito Hugo, ma i Fratelli si spostano come e quando vogliono.»

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