Diversi lampioni erano spenti, mentre quello più vicino all'albergo gettava un fioco bagliore giallo sul vialetto che portava a quella che un tempo era la porta d'ingresso.
«Stai lontana dalla luce» Jace la tirò verso di sé per una manica del giubbotto. «Potrebbero fare la guardia dalle finestre. E non guardare in su» aggiunse, ma era troppo tardi. Clary aveva già sollevato lo sguardo verso le finestre rotte dei piani superiori. Per un istante pensò di avervi visto un accenno di movimento, un lampo bianco che avrebbe potuto essere un volto o una mano che apriva una tenda pesante...
«Vieni» disse Jace, e la trascinò a fondersi nelle ombre proiettate dai muri dell'albergo. Clary sentì i nervi tesi del Cacciatore nella spina dorsale, nel pulsare dei suoi polsi, nel martellare del sangue nelle sue orecchie. Il flebile ronzio delle auto sembrava lontanissimo e l'unico suono che contasse era quello delle sue scarpe che scricchiolavano sull'asfalto cosparso d'immondizia. Avrebbe voluto essere capace di camminare senza produrre alcun rumore, come un Cacciatore. Forse un giorno avrebbe chiesto a Jace di insegnarglielo.
Sgattaiolarono oltre l'angolo dell'albergo, in un vicolo che probabilmente in passato veniva usato per la consegna delle merci. Era stretto e stipato di immondizia: scatoloni marci, bottiglie vuote, pezzi di plastica, oggetti sparsi che a Clary parvero dapprima stuzzicadenti, ma che più da vicino sembravano...
«Ossa» disse Jace inespressivo. «Ossa di cani e gatti. Non avvicinarti troppo: guardare la spazzatura dei vampiri di solito non è un bello spettacolo.»
Clary cercò di trattenere la nausea. «Va bene» disse. «Almeno sappiamo che siamo nel posto giusto» e fu ricompensata dal lampo di rispetto che comparve brevemente nello sguardo di Jace.
«Oh, ci puoi scommettere che siamo nel posto giusto» disse. «Adesso dobbiamo solo capire come fare a entrare.»
In quel punto un tempo c'erano state delle finestre, che ora erano murate. Non c'erano porte né tracce di uscite di sicurezza. «Quando questo era un albergo» disse lentamente Jace «le consegne dovevano arrivare qui. Voglio dire, non potevano far passare i fornitori dalla porta principale e non ci sono altri posti per parcheggiare un furgone. Per cui ci deve essere un modo per entrare...»
Clary pensò ai negozietti e alle bodegas dalle parti di casa sua, a Brooklyn. Li vedeva ricevere le consegne, la mattina presto, mentre andava a scuola. Aveva visto i proprietari del negozio di alimentari coreano aprire le porte basse di metallo, di fianco all'ingresso, affinché potessero portare in cantina le scatole di tovaglioli di carta e di cibo per gatti. «Scommetto che ci sono delle porte basse. Probabilmente sono sepolte sotto questa spazzatura.»
Jace annuì immediatamente. «È quello che stavo pensando anche io» sussurrò. «Mi sa che ci toccherà spostare queste schifezze. Possiamo iniziare con il cassonetto.» Lo indicò con un'espressione decisamente poco entusiasta.
«Preferiresti affrontare un'orda di demoni affamati, vero?» gli chiese Clary.
«Almeno non sarebbero pieni di vermi. Be'» aggiunse dopo averci pensato sopra «non tutti almeno. Una volta ho incontrato un demone nelle fogne sotto la Gran Central...»
«Lascia perdere.» Clary sollevò una mano per fermarlo. «Non sono dell'umore giusto.»
«Dev'essere la prima volta che una ragazza mi dice una cosa del genere» la prese in giro Jace.
«Stammi vicino e non sarà l'ultima.»
Jace sorrise con un angolo della bocca. «Questo non è certo il momento giusto per le scaramucce. Abbiamo dell'immondizia da spostare.» Si avvicinò al cassonetto e lo prese da un lato. «Tu prendilo dall'altra parte. Lo ribaltiamo.»
«Così faremmo troppo rumore» ribatté Clary mentre prendeva posto dall'altro lato del cassonetto. Era un cassonetto standard della nettezza urbana, verde scuro e pieno di macchie indefinibili. Puzzava ancora di più di quanto puzzino normalmente i cassonetti, puzzava di spazzatura e di qualcos'altro, qualcosa di denso e dolce che le invase la gola e le fece venire da vomitare. «Dovremmo spingerlo.»
«Senti un po'...» iniziò a dire Jace, quando una voce parlò all'improvviso dalle ombre alle loro spalle distruggendo la loro precaria tranquillità.
«Siete proprio convinti di volerlo fare?» chiese la voce.
Clary si immobilizzò, fissando le ombre all'imboccatura del vicolo. Per un terribile istante si chiese se non si fosse immaginata quella voce, ma anche Jace si era bloccato con un'espressione sbalordita. Era raro che qualcosa lo stupisse e ancora più raro che qualcuno riuscisse ad avvicinarsi a lui senza farsi sentire. Jace si allontanò dal cassonetto, la mano che scivolava verso la cintura, la voce calma. «C'è qualcuno laggiù?»
«Dios mio.» La voce era maschile e aveva un tono divertito e un liquido accento spagnolo. «Voi non siete di questo quartiere, vero?»
Fece un passo avanti, uscendo dalle ombre più buie. Il suo contorno si definì lentamente: un ragazzo, non molto più anziano di Jace e di circa quindici centimetri più basso. Aveva un'ossatura esile, grandi occhi scuri e la pelle color miele che sembrava uscita da un dipinto di Diego Rivera. Indossava dei pantaloni neri, una camicia bianca con il colletto aperto e una collana d'oro al collo che scintillò un po' mentre si avvicinava alla luce.
«Direi di no» disse cauto Jace.
«Non dovreste essere qui.» Il ragazzo si fece scorrere una mano tra i folti riccioli neri che gli ricadevano sulla fronte. «Questo posto è pericoloso.»
Vuol dire che è un brutto quartiere. Clary ebbe quasi l'impulso di scoppiare a ridere, anche se la situazione non era affatto divertente. «Lo sappiamo» disse. «È solo che ci siamo un po' persi, tutto qui.»
Il ragazzo indicò il cassonetto. «Cosa stavate facendo con quello?»
Non sono molto brava a inventare balle al volo, pensò Clary, dopodiché guardò Jace che invece se la sarebbe cavata benissimo, o almeno così sperava.
Jace la deluse immediatamente. «Stavamo cercando di entrare nell'hotel. Pensavamo che ci potesse essere una porta nascosta, dietro il cassonetto.»
Gli occhi del ragazzo si spalancarono increduli. «Puta madre... e perché dovreste fare una cosa del genere?»
Jace scrollò le spalle. «Per scherzo, sai, tanto per divertirci un po'.»
«Tu non capisci. Questo posto è infestato, è maledetto. Malocchio.» Scosse vigorosamente il capo e disse alcune cose in spagnolo. Clary ebbe il sospetto che avessero a che fare con la stupidità dei ragazzini bianchi viziati e con la loro in particolare. «Venite con me. Vi accompagno alla metropolitana.»
«Lo sappiamo, dov'è la metropolitana» disse Jace tranquillamente.
Il ragazzo sfoggiò una risata morbida e vibrante. «Claro che lo sapete, ma se vi ci porto io, nessuno vi darà fastidio. E voi non siete in cerca di guai, vero?»
«Dipende» disse Jace muovendosi in modo che la sua giacca si aprisse leggermente mostrando il luccichio delle armi che portava alla cintura.
«Quanto ti pagano per tenere la gente lontana dall'albergo?»
Il ragazzo si guardò alle spalle, e i nervi di Clary si tesero mentre immaginava l'imboccatura del vicolo che si riempiva di figure scure coi volti bianchi e le bocche rosse, il luccichio delle zanne improvviso come quando il metallo fa scintille sfregando contro l'asfalto. Quando tornò a guardare Jace, la bocca del ragazzo era una linea sottile: «Quanto mi pagherebbe chi, chico?»
«I vampiri. Quanto ti pagano? O c'è qualcos'altro? Ti hanno detto che ti faranno diventare come loro, ti hanno offerto la vita eterna, nessun dolore, niente malattie eccetera? Perché guarda che non ne vale la pena. La vita diventa una noia quando non vedi mai la luce del sole, chico» disse Jace. Il ragazzo era privo d'espressione. «Mi chiamo Raphael, non chico.» «Però sai di cosa stiamo parlando. Tu sai dei vampiri?» chiese Clary.
Raphael si voltò di lato e sputò. Quando tornò a guardarli, i suoi occhi erano pieni di faville d'odio. «Los vampiros, sì, quegli animali succhiasangue. Ancora prima che l'hotel venisse murato giravano delle storie... risate a notte fonda, piccoli animali che scomparivano, rumori di risucchi...» Si fermò e scosse il capo. «Tutti in questo quartiere sanno che è meglio stare alla larga, ma cosa possiamo fare? Non si può chiamare la policia per dire che il tuo problema sono i vampiri.»
«Li hai mai visti?» chiese Jace. «O conosci qualcuno che li ha visti?»
Raphael parlò lentamente. «C'erano dei ragazzi, una volta, un gruppo di amici. Pensavano di avere avuto una buona idea: entrare nell'albergo e uccidere i mostri. Hanno preso delle pistole e dei coltelli, tutti benedetti da un prete. Non sono mai usciti. Mia zia, qualche tempo dopo, ha trovato i loro vestiti di fronte a casa.»
«Di fronte a casa di tua zia?» chiese Jace.
«Sì. Uno dei ragazzi era mio fratello» rispose secco Raphael. «Così adesso sapete perché a volte vengo qui in piena notte, mentre torno dalla casa di mia zia, e perché vi ho detto di andarvene. Se entrate là dentro, non uscirete più.»
«C'è un mio amico, dentro» disse Clary. «Siamo venuti a prenderlo.»
«Ah, allora forse non riuscirò a convincervi ad andarvene.»
«No» disse Jace. «Ma non preoccuparti. Non ci succederà quello che è successo ai tuoi amici.» Sfilò dalla cintura una delle spade angeliche e la sollevò. La luce fioca che emanava dalla spada gli illuminò gli zigomi, mettendo in ombra gli occhi. «Ho già ucciso un sacco di vampiri. Il loro cuore non batte, ma possono morire lo stesso.»
Raphael inspirò di colpo e disse qualcosa in spagnolo a voce troppo bassa e veloce perché Clary potesse capire. Avanzò verso di loro, quasi inciampando in una pila di confezioni di plastica accartocciate. «Io so cosa siete... ho sentito parlare di quelli come voi dal vecchio prete della chiesa di Santa Cecilia. Siete los Cazadores. Credevo che fosse solo una storia.»
«Tutte le storie sono vere» disse Clary a voce tanto bassa che Raphael parve non sentirla. Il ragazzo stava guardando Jace, i pugni stretti, le spalle irrigidite dalla tensione.
«Voglio venire con voi» disse.
Jace scosse il capo. «No. Assolutamente no.»
«Posso farvi vedere come entrare» propose Raphael.
Jace esitò. La tentazione sul suo volto era evidente. «Non possiamo portarti con noi.»
«Va bene.» Il ragazzo gli si affiancò e scalciò via un mucchio di spazzatura impilata contro un muro. Sotto la spazzatura c'era una grata di ferro, le sbarre sottili coperte da uno strato di ruggine. Si inginocchiò, afferrò le sbarre e spostò la grata. «Mio fratello e i suoi amici sono entrati da qui. Porta giù nelle cantine, credo.» Sollevò lo sguardo, mentre Jace e Clary lo raggiungevano. Clary respirava appena: l'odore della spazzatura era fortissimo e anche al buio si vedevano le sagome frenetiche degli scarafaggi che si spostavano tra i cumuli di avanzi.
Un sorriso sottile si era formato agli angoli della bocca di Jace. Aveva ancora in mano la spada angelica. La stregaluce che si diffondeva dalla spada dava al suo volto un carattere spettrale e le ricordò quando Simon si metteva la torcia elettrica sotto il mento per raccontarle le storie dell'orrore, quando avevano entrambi undici anni. «Grazie» disse Jace a Raphael.
«Andrà benissimo.»
Il volto dell'altro ragazzo era pallido. «Andate là dentro e fate per il vostro amico quello che io non ho potuto fare per mio fratello.»
Jace si infilò nella cintura la spada angelica e diede un'occhiata a Clary. «Seguimi» le disse prima di infilarsi nell'apertura con una mossa felina. Clary trattenne il respiro in attesa di sentire un urlo di dolore o di stupore, ma sentì solo un rumore sordo di piedi che atterravano su qualcosa di soli-
do. «Tutto bene» la incoraggiò Jace. «Salta giù, ti prendo io.»
Clary guardò Raphael. «Grazie.»
Raphael non disse nulla e si limitò a porgerle la mano. Clary la usò per tenersi in equilibrio mentre si metteva in posizione. Le dita del ragazzo erano fredde. La lasciò andare e Clary cadde attraverso l'apertura. Fu questione di un secondo, poi Jace la prese al volo, l'abito che le risaliva sulle cosce e la mano del giovane Cacciatore che le accarezzava le gambe mentre lei gli scivolava tra le braccia.
Jace la rimise giù quasi immediatamente. «Tutto bene?»
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Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasyavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃