Capitolo 8 (1^parte)

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capitolo 8
L'ARMA PREFERITA

Era troppo sbalordita per urlare. La cosa peggiore era la sensazione di cadere: il cuore le volò in gola e lo stomaco le si trasformò in acqua. Allungò le mani nel tentativo di afferrarsi a qualcosa, qualsiasi cosa potesse rallentare la sua caduta.
Strinse le mani su dei rami. Le foglie si strapparono sotto la sua presa.
Cadde pesantemente a terra su un fianco e sulle spalle. Rotolò su se stessa. Respirava ancora. Stava per mettersi a sedere, quando qualcuno le atterrò sopra.
La forza dell'impatto la fece cadere all'indietro. Una fronte andò a sbattere contro la sua, le sue ginocchia cozzarono contro quelle di qualcun altro. In un intrico di braccia e gambe, Clary sputacchiò una ciocca di capelli (non suoi) e cercò di liberarsi del peso che sembrava stesse per spiaccicarla come un cartone animato.
«Ahi» le disse Jace all'orecchio con tono indignato. «Mi hai tirato una gomitata.»
«Be', tu mi sei atterrato sopra.»
Jace si sollevò sulle braccia e la guardò tranquillamente. Clary vide il cielo blu sopra la testa del ragazzo, un pezzo di ramo e l'angolo di una casa di legno grigia. «Be', non mi hai lasciato molta scelta, ti pare?» chiese lui. «Non dopo che hai deciso di saltare allegramente dentro un Portale come se stessi prendendo al volo la metropolitana. Sei fortunata che non ci abbia portati in una qualche dimensione demoniaca con un'atmosfera a base di cianuro.»
«Non eri obbligato a seguirmi.»
«Sì, invece» disse lui. «Sei troppo inesperta per cavartela da sola in una situazione ostile.»
«Che carino! Può essere che ti perdoni.»
«Perdonarmi? Per cosa?»
«Per avermi detto di stare zitta.»
Jace serrò gli occhi. «Io non ho... be', sì, l'ho fatto, però tu stavi...»
«Lascia perdere.» Il braccio di Clary, incastrato sotto la schiena, stava iniziando a farle male. Rotolò di lato per liberarlo e vide l'erba marrone di un prato morto, una staccionata di catenelle di ferro e un altro pezzo della casa di legno grigia, che ora le risultò dolorosamente familiare.
Si bloccò. «So dove siamo.»
Jace smise di farfugliare. «Cosa?»
«Questa è la casa di Luke.» Si mise a sedere, facendo scivolare Jace di lato. Il ragazzo si alzò con un movimento aggraziato e le porse una mano.
Clary la ignorò e si sollevò scrollando il braccio informicolato.
Erano di fronte alla casetta grigia, annidata tra altre abitazioni che costellavano il fronte del porto di Williamsburg. Una brezza decisa soffiava dall'East River, facendo ondeggiare l'insegna appesa sopra l'ingresso. Clary guardò Jace leggere ad alta voce queste parole: Garroway Books.
Belli, usati, nuovi e fuori catalogo. Chiuso il sabato. Il ragazzo guardò la porta buia, la maniglia chiusa da un pesante lucchetto. La posta di alcuni giorni era posata sullo zerbino, intonsa. Jace guardò Clary. «Vive in una libreria?»
«Vive nel retro del negozio.» Clary si guardò attorno nella strada deserta: da un lato c'era un'arcata del Williamsburg Bridge, dall'altra uno zuccherificio abbandonato. Al di là del fiume, che si muoveva lentissimo, il sole stava tramontando dietro i grattacieli della parte sud di Manhattan, profilandoli d'oro. «Jace, come siamo arrivati qui?»
«Grazie al Portale» disse Jace mentre esaminava il lucchetto. «Ti porta in qualsiasi posto tu stia pensando.»
«Ma io non stavo pensando a questo posto» obiettò Clary. «Non stavo pensando a nessun posto.»
«Non può essere.» Jace lasciò cadere l'argomento, che sembrava non interessargli. «Dunque, visto che siamo qui...»
«Sì?»
«Cosa vuoi fare?»
«Andarmene, direi» disse Clary amareggiata. «Luke mi ha detto di non venire qui.»
Jace scosse il capo. «E tu lo accetti e basta?»
Clary strinse le spalle. Nonostante il tepore della giornata che volgeva al termine, aveva freddo. «Ho la possibilità di scegliere?»
«Abbiamo sempre la possibilità di scegliere» disse Jace. «Se fossi in te, avrei parecchie curiosità su Luke, al momento. Hai le chiavi di casa?»
Clary scosse il capo. «No, ma a volte lascia aperta la porta sul retro.» Indicò un vicoletto tra la casa di Luke e quella accanto. C'erano dei bidoni della spazzatura sistemati in perfetto ordine accanto a pile di giornali ripiegati e bottiglie vuote. Almeno Luke era ancora un buon cittadino rispettabile.
Jace scese le scale due gradini alla volta e atterrò accanto a lei con un lieve scricchiolio di ghiaia. «Sei sicura che non sia a casa?»
Clary guardò il marciapiede deserto. «Be', il suo furgone non c'è, il negozio è chiuso e le luci sono spente... direi proprio di sì.»
«Allora fai strada.»
Il vicoletto tra le due case terminava davanti a un'alta recinzione di rete metallica che circondava il giardino di Luke, dove le sole piante che se la passavano bene erano le erbacce che erano spuntate tra le lastre di porfido e le avevano riempite di crepe. La base della recinzione era coperta di cespugli dall'aria selvatica. Il cancelletto era chiuso con una catena.
«Scavalchiamo» disse Jace infilando la punta del piede in un buco della rete. Iniziò ad arrampicarsi. La rete faceva così rumore che Clary si guardò in giro nervosa, ma non c'erano luci accese nelle case dei vicini. Jace raggiunse la cima della rete e saltò giù dall'altro lato, atterrando nei cespugli con l'accompagnamento di un orribile guaito.
Per un istante Clary pensò che fosse atterrato su un gatto randagio. Sentì Jace urlare dalla sorpresa mentre cadeva sulla schiena. Un'ombra scura ai suoi piedi schizzò fuori dai rovi e sfrecciò attraverso il cortile, tenendosi rasoterra. Jace balzò in piedi e partì all'inseguimento dell'ombra con un'espressione tutt'altro che rassicurante.
Clary iniziò ad arrampicarsi. Mentre faceva passare la gamba sopra la staccionata, i jeans di Isabelle si impigliarono in un filo della rete metallica e il fianco dei pantaloni si strappò. Clary saltò a terra con le scarpe da ginnastica che scalpicciarono sulla terra morbida, proprio nell'istante in cui Jace lanciava un urlo di trionfo. «Preso!» Clary si voltò e lo vide seduto sopra l'intruso steso a terra con le braccia sollevate sopra la testa. Jace gli stringeva un polso. «Forza, fatti guardare in faccia.»
«Mollami subito, cretino presuntuoso» ringhiò l'intruso dando uno spintone a Jace. Riuscì a mettersi a sedere, gli occhiali mezzi rotti di traverso sul naso.
Clary restò di sasso. «Simon?»
«Oddio» disse Jace con un'aria rassegnata. «E io che speravo di avere catturato qualcuno di interessante.»

«Ma cosa ci facevi nascosto nel giardino di Luke?» chiese Clary togliendo delle foglie secche dai capelli di Simon. Il ragazzo sopportava controvoglia le sue attenzioni. Quando lei si era immaginata il suo incontro con Simon, alla fine di tutta quella storia, lui aveva un umore decisamente migliore. «È questa la parte che proprio non capisco.»
«Va bene, adesso basta Fray, me li sistemo da solo, i capelli» disse Simon allontanandosi di scatto dalla sua mano. Erano seduti sui gradini del portichetto posteriore. Jace era seduto sulla balaustra e stava fingendo con grande impegno di ignorarli limandosi le unghie con lo stilo. Clary si chiese se il Conclave avrebbe approvato.
«Voglio dire, Luke lo sapeva che eri lì?» chiese lei.
«Certo che no» disse Simon stizzito. «Non gliel'ho chiesto, ma sono certo che abbia delle politiche abbastanza restrittive sulla gente nascosta in giardino.»
«Tu non sei gente, ti conosce.» Avrebbe voluto allungare una mano e accarezzargli una guancia, che sanguinava ancora un po' nel punto in cui un ramo l'aveva graffiato. «Ma la cosa più importante è che tu stia bene.»
«Che io stia bene?» Simon scoppiò a ridere, ma non c'era niente di allegro nella sua risata. «Clary, hai la più vaga idea di quello che ho passato in questi ultimi due giorni? L'ultima volta che ti ho vista stavi correndo via come una pazza dal Java Jones e poi sei... scomparsa. Non rispondevi al cellulare... poi il tuo numero di casa risultava scollegato... poi Luke mi ha detto che eri andata a stare da alcuni parenti nell'interno, quando io so perfettamente che non hai nessun parente. Pensavo di aver fatto qualcosa che ti aveva fatto incavolare...»
«Ma cosa potevi aver fatto?» Clary fece per prendergli una mano, ma lui la ritrasse senza guardarla.
«Non lo so» disse lui. «Qualcosa.»

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