Capitolo 11 (3^parte)

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«Il bambino iniziò ad apprezzare la bellezza del falco, a vedere che le sue ali erano fatte per volare veloce, che era forte e agile, feroce e delicato. Quando si tuffava in picchiata, si muoveva come la luce. Quando imparò a girare in cerchio e a posarsi sul suo polso, il bambino quasi urlò per la gioia. A volte l'uccello gli saltava sulla spalla e gli infilava il becco in mezzo ai capelli. Il bambino sapeva che il suo falcone lo amava e quando fu certo che non era solo addomesticato, ma perfettamente addomesticato, andò da suo padre e gli mostrò ciò che aveva fatto, aspettandosi che fosse fiero di lui.
«Suo padre invece prese in mano il falco, che ora era addomesticato e fiducioso, e gli spezzò il collo. "Ti avevo detto di insegnargli a obbedire", disse suo padre gettando a terra il corpo senza vita del falco. "Tu invece gli hai insegnato ad amarti. I falchi non devono essere cuccioli affettuosi: sono animali feroci e selvaggi, aggressivi e crudeli. Questo uccello non è stato addestrato, è stato rovinato."
«Più tardi, quando suo padre lo lasciò solo, il bambino pianse sul cadavere del suo animale, finché il padre non mandò un servitore a prendere il corpo dell'uccello per seppellirlo. Il bambino non pianse mai più e non dimenticò mai ciò che aveva imparato: che amare significava distruggere e che essere amati significava essere distrutti.»
Clary, che era rimasta immobile, quasi senza respirare, si voltò sulla schiena e aprì gli occhi. «È una storia terribile» disse indignata.
Jace si era portato le gambe al petto. «Davvero?» chiese pensoso.
«Il padre del bambino era una persona orribile. È una storia di violenza psicologica. Avrei dovuto saperlo che le storie della buonanotte dei Cacciatori non potevano che essere così. Qualsiasi cosa ti faccia fare degli incubi terrificanti...»
«A volte i marchi possono farti fare degli incubi terrificanti» disse Jace. «Se te li fanno quando sei troppo giovane.» La guardò con un'espressione concentrata. La luce del tardo pomeriggio entrava attraverso le tende e dava un carattere contrastato al volto del ragazzo. Chiaroscuro, pensò Clary. L'arte delle luci e delle ombre. «È una bella storia, se ci pensi» disse Jace. «Il padre del bambino sta solo cercando di renderlo più forte. Più inflessibile.»
«Ma bisogna imparare a piegarsi un po'» obiettò Clary sbadigliando. Nonostante il contenuto della storia, il ritmo della voce di Jace le aveva fatto venire sonno. «Se non vuoi spezzarti.»
«No, se sei abbastanza forte» disse sicuro Jace. Allungò una mano, e lei sentì che le carezzava una guancia e si accorse di avere gli occhi chiusi. La stanchezza le rendeva liquide le ossa: si sentiva come se potesse scorrere via e svanire. Mentre si addormentava, risentì l'eco di alcune parole nella propria mente. Mi dava tutto quello che volevo. Cavalli, armi, libri, anche un falco da caccia.
«Jace» cercò di dire. Ma il sonno l'aveva ormai ghermita tra i suoi artigli: la trascinò giù e fu il silenzio.

Clary venne svegliata da una voce incalzante. «Sveglia!»
Aprì lentamente gli occhi. Se li sentiva collosi, appiccicati. Qualcosa le faceva il solletico alla faccia. Erano capelli. Scattò a sedere e colpì con la testa qualcosa di duro.
«Ahi! Mi hai dato una testata!» Era una voce femminile. Isabelle. Accese la luce accanto al letto e guardò Clary risentita, massaggiandosi il cranio. Sembrava brillare alla luce dell'abat-jour: indossava una lunga gonna argentata e un top di Strass e aveva le unghie smaltate come monete scintillanti. Tra i capelli neri erano intrecciate ciocche di filo d'argento. Sembrava una dea lunare. Clary la odiava.
«Be', nessuno ti ha detto di chinarti su di me a quel modo. Mi hai spaventata a morte.» Anche Clary si massaggiò la testa. C'era un punto che le faceva male appena più in alto del sopracciglio. «E comunque cosa vuoi?»
Isabelle indicò il cielo buio. «È quasi mezzanotte. Dobbiamo andare alla festa e tu non ti sei ancora vestita.»
«Pensavo di venire così» disse Clary indicando i suoi jeans e la sua maglietta. «È un problema?»
«Se è un problema?» Isabelle sembrava sul punto di svenire. «Ma certo che è un problema! Nessun Nascosto si vestirebbe mai così. E poi è una festa. Ti farai notare come una zucca in un campo di meloni se ti presenterai così... ehm... sportiva.»
«Non sapevo che ci si dovesse mettere eleganti» disse Clary. «Non ho nessun vestito da festa, qui.»
«Te li presterò io.»
«Oh, no!» Clary pensò alla maglietta e ai jeans troppo grandi. «Voglio dire, non voglio approfittare, davvero...»
Il sorriso di Isabelle scintillava come le sue unghie. «Insisto.»
«Preferirei mettere i miei vestiti» protestò Clary, contorcendosi a disagio mentre Isabelle la piazzava davanti allo specchio a figura intera della camera da letto.
«Be', non puoi» tagliò corto la Cacciatrice. «Sembri una bambina di otto anni, anzi, peggio ancora, sembri una mondana.» «Io sono una mondana» borbottò Clary.
«Ma nessuno deve saperlo» spiegò Isabelle paziente. «Per questo ti devi travestire.»
Clary serrò la mandibola con un'espressione ribelle. «I tuoi vestiti non mi vanno bene.»
«Vediamo.»
Clary osservò Isabelle nello specchio mentre setacciava il suo guardaroba. Nella sua stanza sembrava fosse esplosa una lampada stroboscopica. Le pareti erano nere e sopra di esse scintillavano vortici di vernice dorata. C'erano abiti sparsi ovunque: sul letto nero sfatto, appesi agli schienali delle sedie, mezzi dentro e mezzi fuori dal guardaroba e dall'alto armadio appoggiato al muro. Il tavolino da toilette, il cui specchio era orlato di pelliccia rosa decorata di lustrini, era coperto di glitter, paillettes e vasetti di fard e fondotinta.
«Bella stanza» disse Clary pensando con rimpianto alle pareti arancioni di casa sua.
«Grazie. L'ho dipinta io.» Isabelle emerse dall'armadio con in mano qualcosa di nero e aderente. Lo lanciò a Clary. «Mettiti questo.»
Clary sollevò il vestito e gli diede un'occhiata. «Ma è microscopico!»
«È stretch» disse Isabelle. «E adesso infilatelo.»
Clary si ritirò di corsa nel piccolo bagno dipinto di blu elettrico. Sì infilò il vestito da sopra la testa: era attillato, con delle spalline minuscole. Cercando di non respirare troppo a fondo, tornò in camera, dove Isabelle si era seduta sul letto e stava mettendo degli anelli agli alluci dei piedi, infilati in un paio di sandali. «Sei fortunata ad avere il petto così piatto» disse Isabel-
le. «Io non potrei mai mettermi quel vestito senza reggiseno.»
Clary fece una smorfia. «È troppo corto.»
«Non è corto. Va bene» disse Isabelle mentre cercava qualcosa sotto il letto. Tirò fuori un paio di anfibi. «Ecco, puoi metterti questi. Ti faranno sembrare più alta.»
«Giusto, perché oltre a essere piatta sono anche nana, vero?» Clary si tirò verso il basso l'orlo del vestito, che arrivava appena a coprirle l'inizio delle cosce. Portava di rado le gonne, per non parlare delle mini, per cui vedere tutta quella pelle scoperta era parecchio imbarazzante. «Se è corto su di me, su di te cosa dev'essere?» chiese a Isabelle.
Isabelle sorrise. «Su di me è una maglietta.»
Clary si lasciò cadere sul letto e si infilò gli anfibi. Erano un po' larghi sulle caviglie, ma non le ballavano. Li allacciò fino in cima e si alzò per guardarsi allo specchio. Doveva ammettere che l'abbinamento del vestito corto nero con gli stivali alti non era niente male. L'unica cosa che rovinava l'insieme erano...
«I tuoi capelli» disse Isabelle. «Le tue trecce sono un disastro. Se avessi i capelli del tuo colore, io... be'...» Indicò imperiosamente il tavolino da toilette. Clary si sedette e chiuse gli occhi, mentre Isabelle le disfaceva le trecce - non troppo delicatamente - e la spazzolava e le ficcava tra i capelli quelle che a Clary sembrarono delle mollette. Riaprì gli occhi proprio mentre un piumino da cipria le colpiva la faccia, rilasciando una densa nube di glitter. Clary tossì e guardò Isabelle con aria accusatoria.
La ragazza scoppiò a ridere. «Non guardare me. Guarda te stessa, piuttosto.»
Quando si girò verso lo specchio, Clary vide che Isabelle le aveva raccolto i capelli in un elegante chignon sopra la testa, tenuto fermo da spilloni luccicanti. Clary ripensò improvvisamente al suo sogno, al peso dei capelli sulla sua testa mentre ballava con Simon... e iniziò ad agitarsi.
«Aspetta ad alzarti» disse Isabelle. «Non abbiamo finito.» Prese l'eyeliner. «Apri gli occhi.»
Clary spalancò gli occhi, il che peraltro le impedì di piangere. «Isabelle, posso chiederti una cosa?»
«Certo» disse Isabelle brandendo con aria esperta l'eyeliner.
«Alec è gay?»
Il polso di Isabelle ebbe uno spasmo e l'eyeliner tracciò una lunga riga nera dall'angolo dell'occhio di Clary fino all'attaccatura dei suoi capelli.
«Oh, maledizione» disse Isabelle mettendo giù il pennellino.
«Non c'è problema» iniziò a dire Clary portandosi una mano all'occhio.
«Sì, invece.» Isabelle sembrava sull'orlo delle lacrime mentre rovistava tra le pile di roba accumulata sul suo tavolino da toilette. Alla fine trovò un batuffolo di cotone che porse a Clary. «Tieni. Usa questo.» Si sedette sul bordo del letto con un tintinnio di cavigliere e guardò Clary attraverso una tendina di capelli. «Come l'hai capito?» chiese alla fine.
«Io...»
«Non devi assolutamente dirlo a nessuno» disse Isabelle sgranando gli occhi.
Clary iniziò a sfregare la riga nera, che sbavò. «Neanche a Jace?»
«Soprattutto a Jace!» Il tono di Isabelle era quasi isterico. «Ti prego. Senti, mi dispiace se sono stata scortese con te. Non era niente di personale. Qualsiasi cosa vuoi che faccia...»
«Non lo dirò a Jace.» Clary sentì la rigidità nella propria voce. «Non lo farò. Solo non pensavo che fosse tutta questa gran cosa.»
«Lo sarebbe per i miei genitori» disse Isabelle sottovoce. «Lo diserederebbero e lo butterebbero fuori dal Conclave...»
«Cosa? Un Cacciatore non può essere gay?»
«Non ci sono regole ufficiali in proposito. Ma alla gente non piace. Voglio dire, con quelli della mia età non è un grosso problema... credo» aggiunse insicura, e Clary ricordò quante poche persone della sua età avesse conosciuto Isabelle. «Ma quelli della generazione precedente non la pensano così. Se capita, non devi parlarne.»
«Ah» mormorò Clary. Era sconcertata e avrebbe voluto non aver mai tirato in ballo quella faccenda.
«Io voglio bene a mio fratello» disse Isabelle. «Darei qualsiasi cosa per lui. Ma non c'è niente che io possa fare.»
«Almeno lui ha te» disse Clary un po' goffamente, e pensò per un istante a Jace, che credeva che l'amore fosse una cosa che ti faceva a pezzi. «Credi davvero che per Jace... sarebbe un problema?»
«Non lo so» disse Isabelle con un tono che indicava chiaramente che ne aveva avuto abbastanza di quell'argomento. «Ma non è una scelta che spetta a me.»
«Immagino di no» disse Clary. Si chinò sullo specchio e usò il cotone che Isabelle le aveva dato per eliminare l'eyeliner in eccesso. Quando si rimise a sedere, lasciò quasi cadere il cotone che teneva in mano. Cosa le aveva fatto Isabelle? I suoi zigomi sembravano scolpiti, gli occhi ben definiti, misteriosi, di un verde luminoso.
«Sembro mia mamma» disse sorpresa.
Isabelle sollevò un sopracciglio. «Dici? È un trucco troppo serio? Magari con un po' di glitter...»
«Basta glitter» la fermò subito Clary. «Va benissimo. Mi piace.»
«Ottimo.» Isabelle saltò giù dal letto con le cavigliere che tintinnavano. «Andiamo.»
«Devo passare in camera mia a prendere una cosa» disse Clary mentre si alzava in piedi. «E poi... non mi servono delle armi? E a voi?»
«Ne ho più che a sufficienza.» Isabelle sorrise e mosse i piedi in modo da far tintinnare ancora le cavigliere. «Queste, per esempio. Quella di sinistra è d'oro, che per i demoni è un veleno, e quella di destra è di ferro benedetto, nel caso incontriamo qualche vampiro o qualche fata poco amichevole. Le fate odiano il ferro. E poi sulle cavigliere sono incise delle rune della forza, per cui posso tirare dei calci da paura.»
«Caccia ai demoni e moda» disse Clary. «Non ho mai pensato che potessero andare d'accordo.»
Isabelle scoppiò a ridere. «Non puoi immaginare quanto!»

I ragazzi le stavano aspettando nell'ingresso. Isabelle aveva avuto ragione: erano tutti vestiti di nero, anche Simon, che aveva addosso un paio di pantaloni neri un po' troppo grandi e la sua maglietta girata al contrario per nascondere il logo della band. Se ne stava un po' in disparte, a disagio, mentre Jace e Alec erano appoggiati al muro con un'aria annoiata. Simon sollevò lo sguardo quando Isabelle entrò nell'atrio, la frusta d'oro avvolta attorno al polso, le cavigliere che tintinnavano come campanelle. Clary si aspettava che restasse a bocca aperta, Isabelle era davvero fantastica. Ma gli occhi di Simon la oltrepassarono per fermarsi su Clary, dove restarono con un'espressione sbalordita. «Cos'è quella cosa?» chiese. «Quella che hai addosso, voglio dire.»
Clary si diede un'occhiata. Aveva messo una giacca leggera per sentirsi meno nuda e aveva preso anche lo zainetto. Lo aveva messo a tracolla su una spalla, il peso familiare che le rimbalzava sulle scapole. Ma Simon non stava guardando lo zainetto: stava guardando le sue gambe come se non le avesse mai viste prima. «È un vestito, Simon» disse Clary. «Lo so che non mi vesto spesso così, però dai...»
«È corto» disse lui confuso. Anche mezzo agghindato da cacciatore di demoni, pensò Clary, Simon aveva l'aria del bravo ragazzo che ti viene a prendere a casa ed è educato coi tuoi genitori e fa le coccole al tuo cane.
Jace, invece, sembrava il tipo di ragazzo che viene a casa tua e le dà fuoco. «Mi piace quel vestito» disse scollandosi dal muro. Il suo sguardo la percorse tutta, pigro come la carezza di un gatto. «Anche se gli ci vorrebbe qualcosina in più.»
«Adesso sei anche un esperto di moda?» La voce le uscì un po' incerta: Jace era vicinissimo, così vicino che sentiva il calore del suo corpo e l'odore vagamente bruciato dei marchi che si era appena fatto.
Jace estrasse qualcosa da dentro la giacca e glielo porse. Era un pugnale lungo e sottile in un fodero di cuoio. Nell'elsa del pugnale era incastonata una pietra rossa tagliata a forma di rosa.
Clary scosse il capo. «Non saprei nemmeno come usarlo...»
Lui glielo mise in mano e le strinse le dita attorno all'elsa. «Imparerai.»
E poi, a voce più bassa: «Ce l'hai nel sangue.»
Clary ritrasse lentamente la mano. «Va bene.»
«Potrei darti una giarrettiera in cui infilarlo» propose Isabelle. «Ne ho a tonnellate.»
«Assolutamente no!» si lasciò scappare Simon.
Clary gli lanciò un'occhiata irritata. «Grazie, ma non sono proprio il tipo da giarrettiera» disse con evidente sollievo di Simon. Dopodiché fece scivolare il pugnale nella tasca esterna dello zainetto.
Quando risollevò lo sguardo, trovò Jace che la guardava con gli occhi socchiusi: «Un'ultima cosa.» Allungò una mano e le tolse i fermagli scintillanti dai capelli, che le ricaddero in grossi boccoli attorno al collo. La sensazione dei capelli che le solleticavano la pelle era insolita e stranamente piacevole.
«Molto meglio» disse Jace, e Clary pensò che questa volta forse anche la sua voce era un po' incerta.
«Vogliamo andare o avete intenzione di restare qui tutta la notte?» sbottò Alec. Clary sollevò gli occhi e si accorse che c'erano tre volti girati verso di loro: Alec sembrava irritato, Isabelle intrigata e Simon pallido come una statua.
«Certo che andiamo» disse Jace, e le voltò le spalle senza rivolgerle un altro sguardo.

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