Capitolo 8 (3^parte)

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«Credo non sia lontano» disse Simon dalla porta del cucinino di Luke. «La macchinetta del caffè è accesa.»
Clary guardò nella cucina. C'erano dei piatti impilati nel lavandino. Le giacche di Luke erano appese in ordine dentro l'armadio a muro. Avanzò nel corridoio e aprì la porta della piccola camera da letto. Sembrava identica a come era sempre stata, il letto sfatto con la sua coperta grigia e i cuscini bassi, il ripiano della scrivania coperto di monetine. Clary si voltò. Una parte di lei era stata sicura, assolutamente sicura, che entrando avrebbero trovato l'appartamento distrutto e Luke legato, o ferito, o peggio ancora. Ora non sapeva cosa pensare.
Attraversò l'anticamera e si diresse verso la stanza degli ospiti dove aveva dormito tante volte quando sua madre era fuori città per lavoro. In quelle occasioni restavano alzati fino a tardi a guardare vecchi film dell'orrore sulla tremolante televisione in bianco e nero di Luke. Clary in quella stanza teneva persino uno zaino pieno di abiti di ricambio per non dover portare avanti e indietro da casa le sue cose.
Si inginocchiò e tirò fuori lo zaino da sotto il letto afferrandolo per la maniglia verde oliva. Era coperto di spille, che le aveva regalato perlopiù
Simon: DAMIGELLA OTAKU, ANCORA UN LIVELLO E POI SMETTO... All'interno c'erano degli abiti piegati, un po' di biancheria, uno spazzolino da denti e anche un flacone di shampoo. Grazie a Dio, pensò Clary mentre chiudeva la porta della camera da letto con un calcio. Si cambiò velocemente: si strappò via i vestiti di Isabelle - troppo grandi e ora anche macchiati di erba e sudati - e infilò un paio dei suoi pantaloni di velluto consunti e ormai sottili come carta velina e una canottiera blu con una scritta a caratteri cinesi. Gettò i vestiti di Isabelle nello zaino, lo chiuse e uscì dalla stanza con quel peso familiare che le rimbalzava sulle scapole. Era bello avere di nuovo qualcosa di suo.
Trovò Jace nello studio tappezzato di libri di Luke. Stava esaminando una borsa di stoffa verde aperta sulla scrivania. Come aveva detto Simon, era piena di armi: coltelli coi loro foderi, una frusta arrotolata e una cosa che assomigliava a un disco di metallo affilato come un rasoio.
«È un chakram» disse Jace toccandolo con circospezione. «Un'arma dei Sikh. Te lo fai girare intorno all'indice e poi lo lanci. Sono rari e difficili da usare. Strano che Luke ne avesse uno» aggiunse, sollevando lo sguardo mentre Clary entrava nella stanza. «Era l'arma preferita di Hodge, ai suoi tempi. O almeno così mi ha detto.»
«Luke è un collezionista. Oggetti d'arte e cose del genere» disse Clary indicando lo scaffale dietro la scrivania su cui erano allineati degli idoli indiani e russi, compresa la sua preferita, una statuetta della dea indiana della distruzione, Kali, che brandiva una spada e una testa mozzata mentre danzava con il capo reclinato all'indietro e gli occhi semichiusi. Accanto alla scrivania c'era un antico paravento cinese di palissandro intagliato.
«Cose belle.»
Jace spostò il chakram con una certa cautela. Una manciata di vestiti uscì dalla borsa di Luke come se ce li avesse infilati solo all'ultimo momento. «Credo che questa sia tua.»
Tirò fuori un oggetto rettangolare nascosto tra i vestiti: era una foto con una cornice di legno e una lunga crepa verticale. La crepa disegnava una ragnatela di rughe sui volti sorridenti di Clary, Luke e Jocelyn. «Certo che è mia!» disse Clary prendendogli di mano la fotografia.
«È rotta» osservò Jace.
«Lo so. Sono stata io... quando l'ho tirata al Divoratore.» Guardò Jace, e vide che gli si stava affacciando un'idea alla mente. «Questo vuol dire che Luke è andato all'appartamento dopo l'attacco. Forse oggi...»
«Deve essere stato lui l'ultimo a passare dal Portale» disse Jace. «È per questo che ci ha portati qui. Tu non stavi pensando a niente, così il Portale ci ha spedito nell'ultimo posto in cui era stato lui.»
«Dorothea avrebbe anche potuto dircelo» disse Clary furente.
«Probabilmente l'ha pagata per stare zitta. Oppure lei si fida di lui più che di noi. Il che vuol dire che lui potrebbe non essere...»
«Ragazzi!» Era Simon, che entrò nello studio in preda al panico. «Gente in arrivo.»
Clary lasciò cadere la foto. «È Luke?»
Simon guardò verso il corridoio e annuì. «Sì. Ma non è solo... ci sono due uomini con lui.»
«Uomini?» Jace attraversò la stanza a grandi falcate, guardò al di là della porta e sputò un'imprecazione. «Stregoni.»
Clary lo fissò a bocca aperta. «Stregoni? Ma...»
Jace scosse il capo e si allontanò dalla porta. «C'è un'altra uscita? Una porta sul retro?»
Ora toccò a Clary scuotere il capo. Il rumore di passi nell'ingresso le scatenò delle fitte di terrore nel petto. «No, c'è solo la porta da cui siamo entrati.»
Jace si guardò intorno disperatamente. I suoi occhi si fermarono sul paravento di palissandro. «Andate là dietro» disse. «Subito.»
Clary ripose la fotografia crepata sulla scrivania e si infilò dietro il paravento, tirandosi dietro Simon. Jace li seguì con lo stilo in mano. Aveva appena fatto in tempo a nascondersi, quando si sentì la porta aprirsi e il rumore di qualcuno che entrava nello studio di Luke. E poi delle voci, perfettamente udibili. Tre uomini. Clary guardò nervosamente Simon, che era pallidissimo, e poi Jace, che aveva sollevato lo stilo e lo muoveva lentamente disegnando una specie di quadrato sul retro del paravento. Sotto gli occhi di Clary il riquadro divenne trasparente come una lastra di vetro. Sentì Simon emettere un fischio appena percepibile. Jace scosse il capo. «Loro non ci possono vedere, ma noi possiamo vedere loro» mosse le labbra senza emettere alcun suono.
Mordendosi nervosamente le labbra, Clary si avvicinò al bordo del riquadro e guardò, sentendosi il respiro di Simon sulla nuca. Vedeva perfettamente la stanza: gli scaffali di libri, la scrivania con la borsa di stoffa verde... e Luke, in piedi accanto alla porta, con un'aria stravolta e un po' curvo, gli occhiali spinti sopra la testa. Era strano, anche se sapeva che non poteva vederla. La finestra creata da Jace era come i vetri delle salette da interrogatorio in una centrale di polizia: a senso unico.
Luke si voltò e guardò fuori dalla porta. «Prego, date pure un'occhiata in giro» disse con un tono carico di sarcasmo. «È gentile da parte vostra mostrare tanto interesse.»
Una risatina giunse dall'angolo dello studio. Con un movimento impaziente del polso, Jace toccò il bordo della "finestra", che si aprì un po' di più, mostrando una parte più ampia della stanza. C'erano due uomini con Luke, entrambi con lunghi mantelli rossastri dai cappucci abbassati. Uno era magro, con degli eleganti baffi grigi da dandy e una barba a punta. Quando sorrideva, mostrava denti di un bianco accecante. L'altro era grande e grosso, massiccio come un lottatore, con capelli rossi a spazzola. La sua pelle era viola scuro e appariva lucida sugli zigomi, come se fosse stata tirata troppo.
«Sono stregoni?» sussurrò Clary.
Jace non rispose. Era diventato rigido come una sbarra di ferro. Ha paura che cercherò di parlare con Luke, pensò Clary. Avrebbe voluto rassicurarlo. C'era qualcosa in quei due uomini, nei loro pesanti mantelli del colore del sangue venoso, che faceva terribilmente paura.
«Considerala una visita amichevole, Graymark» disse l'uomo coi baffi grigi. Il suo sorriso mise in mostra denti tanto appuntiti che sembravano essere stati limati.
«In te non c'è niente di amichevole, Pangborn.» Luke si sedette sul bordo della scrivania, in modo che gli uomini non vedessero la borsa di stoffa e il suo contenuto. Ora che era più vicino, Clary vide che aveva il volto e le mani pieni di lividi e le dita escoriate e insanguinate. Un lungo taglio sul collo scompariva sotto la camicia. Cosa diavolo gli è successo?
«Blackwell, non toccarla... ha un valore inestimabile» disse Luke secco.
Il colosso dai capelli rossi, che aveva afferrato la statua della dea Kali, la accarezzò con le sue grosse dita. «Carina.»
«Ah» disse Pangborn prendendo la statuetta al suo compagno. «Colei che fu creata per combattere un demone che non poteva essere ucciso né dagli dei né dagli uomini. Oh, Kali, madre mia beata! Incantatrice dell'onnipotente Shiva! Nella tua delirante gioia tu danzi battendo le mani. Tu sei il Motore di tutto ciò che si muove, e noi non siamo che i tuoi indifesi balocchi.»
«Interessante» disse Luke. «Non sapevo che fossi uno studioso di miti indiani.»
«Tutti i miti sono veri» recitò Pangborn, e Clary sentì un piccolo brivido risalirle la schiena. «O te lo sei dimenticato?»
«Io non dimentico nulla» disse Luke. Per quanto sembrasse rilassato, Clary vedeva la tensione nella postura delle sue spalle e della sua bocca.
«Immagino vi abbia mandati Valentine?»
«Sì» disse Pangborn. «Ha pensato che magari avevi cambiato idea.»
«Non c'è niente su cui potrei cambiare idea. Vi ho già detto che non so nulla. A proposito: complimenti per i mantelli.»
«Grazie» disse Blackwell con un ghigno astuto. «Li abbiamo presi a un paio di stregoni morti.»
«Sono i mantelli ufficiali degli Accordi, vero?» chiese Luke. «Sono dei tempi della Rivolta?»
Pangborn ridacchiò. «Bottino di guerra.» Poi accarezzò l'orlo del mantello. «Ti ricordi la Rivolta, Lucian?» sussurrò. «Quello sì che fu un giorno grandioso e terribile. Ti ricordi quando ci addestrammo insieme per la battaglia?»

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