Capitolo 23 (4^parte)

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Fece un passo indietro proprio mentre la porta esplodeva verso l'interno e i suoi cardini cadevano a terra. Luke si chinò per evitare di essere schiacciato dalla porta e mentre lo faceva si voltò, la spada ancora in mano.
Sulla porta c'era un lupo, una montagna di pelliccia chiazzata e ringhiante, le spalle ingobbite, le labbra sollevate sopra i denti. Il sangue sgorgava da innumerevoli ferite sparse per il suo corpo.
Jace imprecò sottovoce, una spada angelica già in mano. Clary gli prese il polso. «No... è un amico.»
Il ragazzo le lanciò uno sguardo incredulo, ma abbassò l'arma.
«Alaric...» Luke poi urlò qualcosa in una lingua che Clary non capiva: sembrava una candela che si stesse spegnendo nel vento. Alaric ringhiò di nuovo, si acquattò sul pavimento, e per un istante Clary pensò che si sarebbe lanciato addosso a Luke. Poi vide la mano di Valentine che correva alla cintura, il lampo di gioielli rossi, e si rese conto di essersi dimenticata che suo padre aveva ancora il pugnale di Jace.
Sentì una voce urlare il nome di Luke e per un momento pensò che fosse la sua. Poi si accorse che la sua gola era come sigillata ed era stato Jace a urlare.
Luke si voltò con quella che sembrò loro una spaventosa lentezza mentre il coltello lasciava la mano di Valentine e volava verso di lui come una farfalla d'argento, roteando nell'aria. Luke sollevò la spada e qualcosa di enorme e grigio si frappose tra lui e Valentine. Clary sentì l'ululato di Alaric spegnersi all'improvviso, sentì la lama che affondava. Sussultò, e fece per correre in avanti, ma Jace la fermò.
Il lupo cadde ai piedi di Luke, il sangue che gli macchiava tutta la pelliccia. Alaric sfiorò piano con le zampe l'elsa del pugnale che gli spuntava dal petto.
Valentine scoppiò a ridere. Quel suono fu come una luce che si spegneva. «Ed è così che ripaghi la lealtà assoluta che hai comprato tanto a buon mercato, Lucian» disse. «Lasciandoli morire per te.» Stava arretrando, senza staccare gli occhi da Luke.
Luke, bianco in volto, lo guardò e poi guardò Alaric: scosse una volta il capo, e cadde in ginocchio, chinandosi sopra il licantropo caduto. Jace, senza lasciare le spalle di Clary, sussurrò: «Resta qui, hai capito? Resta qui!» e si mise a inseguire Valentine, che stava inspiegabilmente correndo verso il muro. Pensava di lanciarsi dalla finestra? Clary vide il suo riflesso nel grande specchio dalla cornice dorata, e l'espressione sul suo volto, una specie di sollievo beffardo, la riempì di rabbia omicida.
«Col cavolo che resto qui» mormorò mentre si muoveva per seguire Jace. Si fermò solo per raccogliere il kindjal dall'elsa blu da sotto il tavolo, dove Valentine l'aveva scalciato. L'arma nella sua mano le dava una sensazione confortante, rassicurante. Clary spinse via una sedia caduta e si avvicinò allo specchio.
Jace aveva estratto la spada angelica e la sua luce si sprigionava verso l'alto, accentuando le sue occhiaie e le sue guance scavate. Valentine si era voltato ed era fermo con le spalle allo specchio. Clary guardò Luke: aveva messo giù la spada e stava estraendo con grande delicatezza il kindjal rosso dal petto di Alaric. Clary fu colta dalla nausea e strinse più forte il suo pugnale. «Jace...» disse.
Il ragazzo non si voltò a guardarla, ma la vedeva riflessa nello specchio. «Clary. Ti avevo detto di aspettare.»
«È come sua madre» disse Valentine. Aveva una mano dietro la schiena, a tastare il bordo della cornice dorata. «Non le piace obbedire.»
Jace non tremava più come prima, ma Clary capiva quanto il suo autocontrollo fosse stato messo alla prova. «Andrò con lui a Idris, Clary, e riporterò indietro la Coppa.»
«No, non puoi...» stava per dire Clary, e vide nello specchio la smorfia che comparve sul suo viso.
«Hai un'idea migliore?» le chiese Jace.
«E Luke...»
«Lucian» disse Valentine con una voce di seta «sta badando al suo commilitone caduto. Per quanto riguarda la Coppa, e Idris, non sono lontane. Oltre lo specchio, per così dire.»
Jace socchiuse gli occhi. «Lo specchio è il Portale?»
Le labbra di Valentine si assottigliarono, lasciò cadere la mano e si spostò dallo specchio, mentre l'immagine che esso conteneva vorticava e cambiava come degli acquarelli che scorrono su una tela. Al posto della stanza con il suo legno scuro e le sue candele, Clary vide dei campi verdi, le foglie color smeraldo degli alberi e un grande prato che digradava verso una grande casa di pietra, in lontananza. Sentì il ronzio delle api, il fruscio delle foglie e l'odore dei caprifogli portati dal vento.
«Ve lo dicevo che non era lontana.» Valentine era in piedi, al centro di un arco dorato, i capelli mossi dallo stesso vento che agitava le foglie sugli alberi. «È come la ricordavi, Jonathan? È cambiato qualcosa?»
Il cuore di Clary le si strinse in petto. Quella era certamente la casa dell'infanzia di Jace, presentata per tentarlo come si potrebbe tentare un bambino con caramelle o giocattoli. Guardò Jace, ma lui non parve nemmeno notarla. Stava fissando il Portale, e quel panorama di campi verdi e la tenuta di campagna. Clary vide il suo volto addolcirsi e la sua bocca aprirsi in un sorriso, come se avesse visto una persona amata.
«Puoi ancora tornare a casa» disse suo padre. La luce della spada angelica proiettava la sua ombra all'indietro, cosicché sembrava muoversi verso il Portale, oscurare i campi luminosi e il prato dietro di essi.
Il sorriso scomparve dal volto di Jace. «Quella non è casa mia» disse. «Adesso è questa la mia casa.»
Uno spasmo di rabbia deformò il volto di Valentine, che guardò il figlio. Clary non avrebbe mai dimenticato quello sguardo... le fece provare un desiderio improvviso e struggente di sua madre. Perché, per quanto fosse stata arrabbiata con lei, Jocelyn non l'aveva mai guardata a quel modo. L'aveva sempre guardata con amore.
Se fosse stata in grado di provare per Jace più pena di quella che provava in quel momento, l'avrebbe fatto.
«Molto bene» disse Valentine. Fece un passo veloce dentro il Portale e toccò con un piede il suolo di Idris. Le sue labbra si curvarono in un sorriso. «Ah» disse. «Casa.»
Jace barcollò fino al Portale prima di fermarsi, una mano sulla cornice dorata. Una strana esitazione sembrava essersi impadronita di lui, mentre Idris luccicava di fronte ai suoi occhi come un miraggio nel deserto. Gli sarebbe bastato un passo...
«No, Jace» disse velocemente Clary. «Non seguirlo.»
«Ma la Coppa...» disse Jace. Clary non sapeva dire cosa stesse pensando, ma la lama che lui aveva in mano tremava violentemente. «Ci serve.»
«Lascia che la prenda il Conclave! Jace, ti prego.» Se attraversi quel Portale potresti non tornare più indietro. Valentine ti ucciderà. Tu non vuoi crederci, ma lo farà.
«Tua sorella ha ragione.» Valentine era fermo in mezzo all'erba verde e ai fiori di campo mossi dal vento, e Clary si rese conto che anche se erano a pochi centimetri di distanza, in realtà si trovavano in due continenti diversi. «Credi davvero di poter vincere questa battaglia? Anche se tu hai una spada angelica e io sono disarmato? Non sono solo più forte di te, ma credo anche che tu non abbia il fegato per uccidermi. E dovrai uccidermi,
Jonathan, prima che io ti dia la Coppa.»
Jace strinse più forte la spada angelica. «Io posso...»
«No, non puoi.» Valentine allungò una mano attraverso il Portale, afferrò il polso di Jace e lo tirò verso di sé, finché la punta della spada angelica non gli toccò il petto. Nel punto in cui erano passati attraverso il Portale, la mano e il polso di Jace scintillarono come se fossero coperti d'acqua. «Fallo, allora» disse Valentine. «Infilami dentro quella lama. Dieci centimetri, o anche di più...» Strattonò la lama in avanti e la punta tagliò il tessuto della sua camicia. Un cerchio rosso come un papavero sbocciò appena sopra il suo cuore. Jace sussultò, si liberò il braccio e barcollò indietro.
«Come pensavo» disse Valentine. «Troppo debole.» E con una velocità sconvolgente tirò un pugno in direzione di Jace. Clary urlò, ma il colpo non prese il ragazzo: colpì la superficie del Portale tra di loro e produsse un suono come di mille oggetti fragili che vanno in pezzi. Minuscole crepe ricoprirono quel vetro-che-non-era-vetro; l'ultima cosa che Clary sentì prima che il Portale si dissolvesse in un diluvio di schegge fu la risata sarcastica di Valentine.

Il vetro si sparse su tutto il pavimento come una pioggia di ghiaccio, una bizzarra e magnifica cascata di schegge d'argento. Clary fece un passo indietro, ma Jace, mentre i vetri gli piovevano tutt'intorno, rimase immobile a fissare la cornice vuota dello specchio.
Clary si era aspettata che imprecasse, che urlasse una maledizione a suo padre, mentre invece aspettò solo che le schegge smettessero di cadere. Quando la pioggia di vetro cessò, si inginocchiò in silenzio e con grande attenzione, fra quel tumulto di cocci, raccolse uno dei pezzi più grossi e se lo rigirò tra le mani.
«No.» Clary gli si inginocchiò accanto e appoggiò sul pavimento il pugnale che stringeva in mano. La presenza dell'arma non le dava più alcun conforto. «Non c'era nient'altro che tu potessi fare.»
«Sì, c'era.» Jace stava ancora guardando i pezzi di vetro. Tra i capelli aveva dei minuscoli frammenti di specchio. «Avrei potuto ucciderlo.» Voltò la scheggia verso di lei. «Guarda» disse.
Clary guardò. Nella scheggia di vetro si vedeva ancora un pezzo di Idris... uno scampolo di cielo azzurro, l'ombra delle foglie verdi. Sospirò.
«Jace...»
«State bene?»
Clary sollevò lo sguardo. Era Luke, in piedi sopra di loro. Era disarmato, gli occhi cerchiati da occhiaie di stanchezza. «Abbastanza» disse lei. Alle spalle di Luke vide una figura stesa per terra, in parte coperta dal mantello di Valentine. Una mano artigliata usciva da sotto la stoffa. «Alaric...?»
«È morto» disse Luke. Nella sua voce c'era un'enorme dolore controllato: anche se conosceva appena Alaric, Clary sapeva che il peso del senso di colpa non lo avrebbe mai più abbandonato. Ed è così che ripaghi la lealtà assoluta che hai comprato tanto a buon mercato, Lucian. Lasciandoli morire per te.
«Mio padre è scappato» disse Jace. «Con la Coppa.» La sua voce era spenta. «Gliela abbiamo praticamente consegnata noi. Abbiamo perso.»
Luke appoggiò una mano sulla testa di Jace e gli spazzolò via il vetro dai capelli. Aveva ancora gli artigli e le sue dita erano macchiate di sangue, ma a Jace non parve dare fastidio il contatto con lui, e non si lamentò. «Non abbiamo perso» disse Luke guardando Clary. I suoi occhi azzurri erano fermi. Dicevano: Tuo fratello ha bisogno di te; stai con lui.
Clary annuì e Luke li lasciò e andò alla finestra. La aprì e fece entrare nella stanza una brezza che fece oscillare la fiamma delle candele. Clary lo sentì urlare e richiamare i lupi.
Lei si inginocchiò accanto a Jace. «Va tutto bene» gli disse, anche se era evidente che non era così e forse non lo sarebbe mai stato. Poi gli appoggiò una mano sulla spalla. La stoffa della sua camicia era ruvida sotto le sue dita, fradicia di sudore, stranamente confortante. «Abbiamo ritrovato la mamma, abbiamo ritrovato te... abbiamo tutto ciò che conta. Non abbiamo perso. Non abbiamo affatto perso.»
«Aveva ragione lui. È per questo che non sono riuscito ad attraversare il
Portale» sussurrò Jace. «Non potevo farlo. Non potevo ucciderlo.» «Solo se tu l'avessi fatto» disse Clary «avremmo perso.»
Jace non rispose nulla, si limitò a sussurrare qualcosa sottovoce. Lei non distinse bene le parole, ma allungò una mano e gli prese il pezzo di vetro. Nel punto in cui l'aveva tenuto, Jace sanguinava da due taglietti sottili. Lei mise giù la scheggia, gli prese la mano e gli chiuse le dita sopra il palmo ferito. «Senti, Jace» disse con la stessa delicatezza con cui lo stava toccando. «Non lo sai che non bisogna giocare con i vetri rotti?»
Lui produsse un suono che assomigliava a una risata soffocata e poi strinse Clary tra le braccia. Lei sentì che Luke li stava guardando dalla finestra, ma chiuse gli occhi e affondò il viso nella spalla di Jace. Odorava di sale e sangue, e solo quando la sua bocca si avvicinò all'orecchio di lei, Clary capì cosa stesse dicendo, cosa aveva sussurrato prima, ed era la litania più semplice di tutte: il suo nome, solamente il suo nome.

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