Capitolo 15 (2^parte)

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Il telone si spostò rivelando non immondizia, ma cromature scintillanti, pelli borchiate e vernice metallizzata. «Delle moto?»
Jace raggiunse la più vicina, un'enorme Harley rosso scuro con delle fiamme dorate sul serbatoio e sui parafanghi. Balzò in sella e guardò Clary da dietro la spalla. «Sali.»
Clary lo guardò incredula. «Ma sei scemo? Lo sai come si guida una di queste? E le chiavi? Ce le hai le chiavi?»
«Non mi servono le chiavi» spiegò lui con infinita pazienza. «Funziona a energia demoniaca. Hai intenzione di salire o vuoi prenderne una tutta per te?»
Clary salì dietro di lui sulla moto. In una qualche parte del suo cervello una vocina le stava urlando che era una pessima idea.
«Va bene» disse Jace. «Adesso abbracciami forte.» Lei lo fece, e sentì i muscoli duri dell'addome del ragazzo contrarsi mentre si piegava in avanti e infilava la punta dello stilo nell'avviamento. Con grande stupore di Clary, la moto prese immediatamente vita. Simon, dentro la sua tasca, squittì forte.
«Va tutto bene» disse lei con tutta la calma che riuscì a mettere insieme. «Jace!» urlò poi per superare il rombo del motore della moto. «Cosa stai facendo?»
Lui le urlò qualcosa che suonava più o meno: «Sto tirando un po' l'aria.»
Clary socchiuse gli occhi. «Be', sbrigati! La porta...»
Come a un suo comando, la porta si spalancò con un rumore secco, strappata dai cardini. I lupi mannari si riversarono nel vano e iniziarono ad attraversare di corsa il tetto per raggiungerli. Sopra di essi volavano i vampiri, sibilando, strillando e riempiendo l'aria di urla da predatori.
Clary sentì il braccio di Jace scattare all'indietro e la moto balzare in avanti, dopodiché si ritrovò lo stomaco più o meno schiacciato sulla spina dorsale. Si strinse convulsamente alla cintura di Jace mentre sfrecciavano in avanti, le gomme che fischiavano sul pavimento di cemento, i lupi che si buttavano di lato al loro passaggio. Clary sentì Jace urlare qualcosa, ma le sue parole le furono strappate via dal frastuono delle ruote, del vento e del motore. Il bordo del tetto si avvicinava velocissimo e Clary avrebbe voluto chiudere gli occhi ma qualcosa glieli tenne ben aperti mentre la moto balzava oltre il parapetto e precipitava come un sacco verso il terreno, dieci piani più sotto.

Se aveva urlato, più tardi non lo ricordava più. Era stato come la sua prima discesa su un ottovolante, quando il binario scompare e tu ti senti sbalzato nello spazio, le mani che si agitano inutilmente per aria e lo stomaco incastrato all'altezza delle orecchie. Quando la moto si rimise in posizione orizzontale con un rombo e uno scatto Clary non ne fu quasi sorpresa. Anziché cadere in picchiata, adesso stavano salendo verso il cielo cosparso di diamanti.
Clary si guardò alle spalle e vide due uomini in piedi sul tetto dell'hotel, circondati da un branco di lupi. Uno si teneva un fianco. Distolse lo sguardo... sperava proprio di non doverlo rivedere più, quell'albergo.
Jace stava lanciando grandi urla di piacere e sollievo. Clary si protese in avanti, le braccia strette a lui. «Mia mamma mi ha sempre detto che se fossi andata in moto con un ragazzo mi avrebbe uccisa» urlò per coprire il rombo assordante del motore e il rumore del vento che le frustava le orecchie.
Non sentì la sua risata, ma sentì il suo corpo tremare. «Non lo avrebbe detto se avesse conosciuto me» le rispose Jace facendo sfoggio di grande sicurezza. «Sono un ottimo guidatore.»
A Clary venne all'improvviso in mente qualcosa. «Pensavo che avessi detto che solo alcune moto dei vampiri potessero volare.»
Jace virò sopra un semaforo che stava passando dal rosso al verde. Più sotto Clary sentiva i clacson delle auto, le sirene delle ambulanze e gli autobus che arrancavano verso le loro fermate, ma non osava guardare in giù.
«E infatti è così» disse Jace.
«Come facevi a sapere che questa era una di quelle?»
«Non lo sapevo!» urlò lui allegramente, dopodiché fece impennare la moto quasi in verticale, a mezz'aria. Clary lanciò un urlo selvaggio e gli afferrò di nuovo la cintura.
«Dovresti guardare giù!» le urlò Jace. «È fantastico!»
La curiosità sconfisse il terrore e le vertigini: Clary deglutì a fatica e aprì gli occhi.
Erano più in alto di quanto credesse, e per un istante la terra ondeggiò sotto di lei, un paesaggio confuso di luci e ombre. Stavano volando verso est, allontanandosi dal parco, verso l'autostrada che serpeggiava lungo la sponda destra della città.
Le mani di Clary erano come insensibili e sentiva una forte pressione al petto. Era bello, doveva ammetterlo: la città che si stendeva sotto di lei come una foresta torreggiante di acciaio e vetro, lo smorzato luccichio grigio dell'East River che si insinuava tra Manhattan e gli altri quartieri come la cicatrice lasciata in ricordo da un duello. Il vento era fresco tra i suoi capelli, sulle gambe nude e sulle braccia, delizioso dopo tanti giorni di caldo appiccicoso. Ma Clary non aveva mai volato, nemmeno in aereo, e il grande spazio vuoto tra lei e il terreno la terrorizzava. Non riusciva a impedirsi di strizzare gli occhi fino quasi a chiuderli, mentre sfrecciavano al di là del fiume. Subito dopo il Queensboro Bridge, Jace virò a sud, verso la parte più bassa dell'isola. Il cielo si stava illuminando e in lontananza Clary vedeva l'arco scintillante del ponte di Brooklyn e, ancora più in là, la Statua della Libertà, una massa confusa all'orizzonte.
«Tutto bene?» urlò Jace.
Clary non disse nulla, si limitò a stringerlo più forte. Jace virò e fece rotta verso il ponte. Clary vedeva le stelle al di là dei cavi di sospensione. Un treno del mattino stava avanzando rumorosamente sul ponte. Era la linea Q con il suo carico di pendolari semiaddormentati. La ragazza pensò a quanto spesso aveva preso quel treno. Un'ondata di vertigine la assalì, e chiuse gli occhi boccheggiando per la nausea.
«Clary?» urlò Jace. «Clary, stai bene?»
Lei scosse il capo senza aprire gli occhi, con la sola compagnia del martellare del suo cuore nel buio e nel vento battente. Qualcosa di affilato le grattò il petto. Lo ignorò finché non accadde di nuovo, questa volta con più insistenza. Socchiuse un occhio e vide che era Simon, con la testa che spuntava dalla tasca, che le tirava la camicia con una zampetta frenetica. «Va tutto bene, Simon» si sforzò di dire senza guardare in basso. «Sto bene. È stato solo il ponte...»
Simon la grattò di nuovo e poi indicò con la zampetta il fronte del porto
di Brooklyn che si alzava sulla loro sinistra. Clary, nonostante il capogiro e la nausea, guardò e vide, al di là dei contorni dei magazzini e delle fabbriche, una scheggia di alba appena visibile, come il bordo di una moneta dorata. «Sì, è molto carino» disse Clary chiudendo di nuovo gli occhi. «Una bella alba.»
Jace si irrigidì all'improvviso come se gli avessero sparato. «L'alba?» urlò, dopodiché virò bruscamente a destra. Gli occhi di Clary si spalancarono, mentre scendevano in picchiata verso l'acqua, che aveva iniziato a scintillare del blu dell'alba imminente.
Clary si avvicinò a Jace quanto le era possibile senza stritolare Simon.
«Cosa c'è che non va nell'alba?»
«Te l'ho detto! Questa moto va a energia demoniaca! E Simon...» Impennò la moto in modo che fossero paralleli all'acqua, con le ruote che sollevavano un po' di schiuma. L'acqua del fiume schizzò sul volto di Clary. «Appena il sole sarà sorto...»
La moto iniziò a scoppiettare. Jace imprecò e diede un'accelerata. La moto balzò in avanti e poi si ingolfò, sobbalzando sotto di loro come un cavallo recalcitrante. Jace stava ancora imprecando quando il sole fece capolino sopra le banchine fatiscenti di Brooklyn, illuminando il mondo con devastante chiarezza. Clary poté vedere ogni sasso, ogni ciottolo sotto di loro, mentre abbandonavano il fiume e arrancavano al di sopra dell'argine. Sotto di loro c'era l'autostrada, già ingombra del traffico del primo mattino. La mancarono di poco, e le ruote della moto sfiorarono il tetto di un camion in corsa. Davanti a loro adesso c'era il parcheggio disseminato di rifiuti di un enorme supermercato. «Tieniti forte!» urlò Jace mentre la moto sobbalzava e scoppiettava sotto di loro. «Tieniti, Clary, e non lasciare...»
Il vento gli strappò le parole di bocca, mentre la moto si inclinava in avanti e toccava l'asfalto del parcheggio con la ruota anteriore. La Harley schizzò in avanti barcollando furiosamente e si esibì in una lunga sgommata, rimbalzando e sbattendo contro il terreno irregolare e facendo saltare avanti e indietro la testa di Clary a una velocità terrificante. L'aria puzzava di gomma bruciata. Ma la moto stava rallentando, stava per fermarsi... e poi andò a sbattere contro una barriera di cemento del parcheggio con tanta forza che Clary venne sollevata per aria e scagliata di lato, la mano strappata dalla cintura di Jace. Ebbe appena il tempo di stringersi a formare una specie di palla protettiva, con le braccia avvolte attorno al corpo, pregando che Simon non venisse schiacciato, quando colpì il terreno.
Il colpo fu duro e un dolore lancinante partì dal gomito per risalirle tutto
il braccio. Qualcosa le andò a sbattere contro la faccia, e iniziò a tossire mentre si girava sulla schiena. Portò la mano alla tasca della giacca. Era vuota. Cercò di chiamare Simon, ma era rimasta senza fiato. Mentre cercava di respirare emise una specie di sibilo. Il suo volto era bagnato e c'era qualcosa di liquido che le scorreva sul collo.
È sangue? Aprì gli occhi, ancora confusa. Le sembrava che tutta la sua faccia fosse un unico, grande livido, mentre le braccia le facevano male e le pungevano come carne viva. Si era messa su un fianco ed era sdraiata per metà dentro e per metà fuori da una pozzanghera di acqua sudicia. Il sole era sorto del tutto e Clary vide i resti della moto trasformarsi in un mucchietto di cenere quando i raggi la colpirono.
Jace si stava rimettendo in piedi, dolorante. Iniziò a correre verso di lei, ma quando le fu più vicino rallentò. Il suo volto, sotto la massa dei riccioli dorati sporchi di sudore, polvere e sangue, era bianco come uno straccio. La manica della sua giacca si era staccata e lungo il suo braccio sinistro c'era una lunga escoriazione sanguinolenta. Clary si chiese perché la stesse guardando a quel modo. Le si era staccata una gamba o qualcosa del genere?
Fece per alzarsi e sentì una mano che le toccava la spalla. «Clary?»
«Simon!»
Il suo amico era in ginocchio accanto a lei e sbatteva gli occhi come se nemmeno lui riuscisse a credere a quello che era successo. I suoi abiti erano stropicciati e luridi e aveva perso gli occhiali, ma per il resto sembrava stesse bene. Senza gli occhiali aveva un'aria più giovane, più indifesa e un po' confusa. Allungò una mano per toccare il volto di Clary, che si ritrasse di scatto. «Ahi!»
«Stai bene? Hai un aspetto fantastico» disse con una voce strana. «La cosa più bella che abbia mai visto...»
«È perché non hai gli occhiali» gli fece notare lei con un filo di voce, ma se si era aspettata una risposta arguta, non la ottenne: Simon le buttò le braccia al collo e la strinse forte. I suoi vestiti puzzavano di sangue e sudore e polvere e il suo cuore batteva a tutto spiano e le stava schiacciando i lividi, ma era comunque un sollievo sentire il suo abbraccio e sapere, sapere per certo, che stava bene.
«Clary» disse con una voce roca. «Pensavo... Pensavo che tu...»
«Che non sarei tornata a prenderti? Ma certo che sì» disse lei. «Certo che sì.»
Lo abbracciò anche lei. Tutto in lui era familiare, dal tessuto consumato della sua maglietta alla spigolosità delle sue clavicole. Simon pronunciò il suo nome e lei lo accarezzò rassicurante. Quando si guardò alle spalle per un istante, Clary vide Jace che si voltava dall'altra parte, come se la luce dell'alba gli ferisse gli occhi.

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