capitolo 15
ABBANDONATI
I lupi si prepararono a saltare, acquattati e ringhianti, e i vampiri, colti di sorpresa, arretrarono. Solo Raphael tenne la posizione. Si stringeva ancora il braccio ferito, la camicia un pasticcio di sangue e polvere. «Niños de la Luna» sibilò. Anche Clary, il cui spagnolo era quasi inesistente, capì ciò che aveva detto. «I Figli della Luna... i lupi mannari.» Pensavo si odiassero «sussurrò a Jace.» I vampiri e i licantropi, dico.
«E infatti è così. Non vanno mai nelle tane degli altri. Mai. L'Alleanza lo vieta.» Sembrava quasi indignato. «Deve essere successo qualcosa. E non è una buona notizia. Proprio per niente.»
«Be', come potrebbe andare peggio di prima?»
«Può» disse Jace. «Perché stiamo per trovarci nel bel mezzo di una guerra.»
«Come osate entrare nella nostra tana?» urlò Raphael. Aveva il volto violaceo dalla rabbia. «Se è la morte che volete, vi daremo la morte!»
Il lupo più grosso, un mostro grigio chiazzato, con denti che sembravano quelli di uno squalo, emise un colpo di tosse ansimante, quasi canino. Mentre avanzava, tra un passo e l'altro, cambiava forma, come se un'onda lo stesse percorrendo e deformando. Ora era un uomo alto e muscoloso con lunghi capelli che pendevano a ciocche grigie simili a corde. Portava dei jeans e un pesante giubbotto di pelle e c'era qualcosa che ricordava un lupo nei tratti del suo volto asciutto e segnato. «Non siamo venuti per combattere» disse. «Siamo venuti per la ragazza.»
Raphael riuscì a sembrare al tempo stesso furioso e sbalordito. «Per chi?»
«Per la ragazza umana.» Il licantropo allungò un braccio rigido e lo puntò su Clary.
La ragazza era troppo scioccata per muoversi. Simon, che le si stava agitando tra le mani, si immobilizzò. Alle spalle di Clary, Jace borbottò tra sé qualcosa che suonò decisamente blasfemo. «Non mi avevi detto di conoscere dei licantropi.» Clary percepì la leggera titubanza sotto il suo tono inespressivo: era sorpreso quanto lei.
«Infatti non ne conosco» disse.
«Non è una buona notizia.»
«Lo hai già detto prima.»
«Mi è sembrato che valesse la pena di ripeterlo.»
«Direi di no.» Clary si strinse a lui. «Jace. Mi stanno guardando tutti.»
Tutti gli sguardi erano rivolti verso di lei. Perlopiù erano sguardi esterrefatti. Raphael aveva gli occhi socchiusi. Si voltò lentamente verso il licantropo. «Non puoi averla. È entrata nel nostro territorio, per cui è nostra.»
Il licantropo scoppiò a ridere. «Sono proprio contento che tu lo abbia detto» disse, dopodiché si lanciò in avanti. A mezz'aria il suo corpo si deformò e tornò a essere un lupo con la pelliccia luccicante, le zanne spalancate, pronto a sbranare. Atterrò sul petto di Raphael e caddero a terra in un groviglio ringhiante. Dopo uno scambio di ululati rabbiosi, i vampiri si lanciarono contro i licantropi, che li affrontarono a testa bassa al centro della sala da ballo.
Il rumore che si levò era qualcosa che Clary non aveva mai sentito prima. Se i dipinti dell'Inferno di Bosch avessero avuto una colonna sonora, sarebbe stata quella.
Jace fischiò. «Raphael sta avendo proprio una serataccia, eh?»
«E allora?» Clary non provava alcuna solidarietà per il vampiro. «Noi cosa facciamo?»
Jace si guardò attorno. Erano inchiodati in un angolo dalla massa ribollente di corpi: per il momento li stavano ignorando, ma la cosa non sarebbe durata a lungo. Prima che Clary potesse dar voce a questi pensieri, Simon si liberò all'improvviso dalla sua presa e balzò sul pavimento. «Simon!» urlò mentre il topo correva verso l'angolo dove erano impilate delle tende di velluto ammuffite. «Simon, fermati!»
Le sopracciglia di Jace disegnarono dei picchi interrogativi. «Cosa sta...» Afferrò Clary per un braccio e la tirò verso di sé con uno strattone. «Clary, non seguirlo. Sta scappando. È quello che fanno i topi.»
Lei gli sparò uno sguardo furioso. «Non è un topo. È Simon. E ha morso Raphael per te, cretino di un ingrato.» Si liberò il braccio e si lanciò dietro a Simon, che era accucciato tra le pieghe delle tende, dove squittiva nervosamente e agitava le zampette verso di loro. Capendo finalmente ciò che Simon stava cercando di dirle, Clary scostò le tende. Erano viscide e ammuffite, ma dietro di esse c'era...
«Una porta» sussurrò. «Genio di un topo!»
Simon squittì modestamente, mentre Clary lo prendeva in mano. Jace era alle sue spalle. «Una porta, eh? Be', si apre?»
Clary afferrò la maniglia e la girò, delusa. «È chiusa a chiave. Oppure incastrata.»
Jace si lanciò contro la porta, che non cedette. Imprecò. «La mia spalla non sarà più la stessa. Spero proprio che vorrai farmi da infermiera finché non sarà guarita.»
«Tu pensa solo ad aprire quella porta, ti dispiace?»
Lui guardò alle spalle della ragazza con gli occhi spalancati. «Clary...»
Clary si voltò. Un enorme lupo si era allontanato dalla mischia e stava correndo verso di lei, le orecchie appiattite contro la testa affusolata. Era enorme, a chiazze grigie e nere, con una lunga lingua rossa penzolante. Clary urlò. Jace si lanciò di nuovo contro la porta, con un'altra imprecazione. Clary allungò una mano verso la cintura, prese il pugnale e lo lanciò.
Non aveva mai lanciato un'arma, non aveva mai neppure pensato di farlo. La cosa più vicina alle armi che avesse fatto prima di quella settimana era stata disegnarle, per cui Clary fu più stupita di chiunque altro quando il pugnale prese il volo, tremolante ma preciso, e aprì un lungo squarcio nel fianco del licantropo.
Il lupo urlò e rallentò, ma tre suoi compagni stavano già correndo verso di loro. Uno si fermò accanto al lupo ferito, ma gli altri due si lanciarono all'attacco. Clary urlò ancora, mentre Jace si scagliava una terza volta contro la porta, che cedette con un'esplosione di ruggine e legno. «Il tre è il numero perfetto» ansimò Jace tenendosi la spalla. Si chinò nello spazio buio che si apriva al di là della porta rotta e si voltò ad allungare una mano impaziente. «Clary, sbrigati.»
La ragazza sussultò, schizzò dietro di lui e chiuse la porta con un colpo secco proprio nel momento in cui due corpi massicci vi sbattevano contro. Cercò il chiavistello, ma era scomparso, caduto a pezzi quando Jace aveva sfondato la porta.
«Abbassati» ordinò lui, e mentre Clary gli obbediva lo stilo le sibilò sopra la testa, incidendo linee scure nel legno ammuffito della porta. Clary allungò il collo per vedere di cosa si trattasse: una curva simile a una falce, tre linee parallele, una stella radiante. Resistere contro il nemico.
«Ho perso il pugnale» confessò la ragazza. «Mi dispiace.»
«Succede.» Jace infilò in tasca lo stilo. Clary sentì dei colpi quando i lupi si lanciarono ripetutamente contro la porta, che però resistette. «La runa li fermerà, ma non per molto. È meglio che ci sbrighiamo.»
Clary guardò in su. Erano in un corridoio umido e una scala stretta saliva nell'oscurità. I gradini erano di legno, la balaustra coperta di polvere. Simon tirò fuori il naso dal taschino della sua giacca, gli occhietti neri che scintillavano nella semioscurità. «Va bene» disse facendo cenno a Jace. «Vai prima tu.»
Jace sembrò sul punto di sorridere, ma era troppo stanco per farlo. «Sai quanto mi piaccia essere il primo. Ma andiamoci piano» aggiunse. «Non sono sicuro che queste scale riescano a reggere il nostro peso.»
Non ne era sicura nemmeno Clary. I gradini scricchiolavano e gemevano sotto i loro passi, come una vecchia che si lamenta dei propri malanni. La ragazza strinse la balaustra e dei pezzi di legno si staccarono e le rimasero in mano, facendole lanciare uno strillo e un risolino esausto. Jace le prese la mano. «Tranquilla.»
Simon emise un suono che, per un topo, si avvicinava abbastanza a una specie di sbuffata. Jace sembrò non sentirlo. Stavano salendo le scale con tutta la velocità che potevano raggiungere su quel legno marcio. La rampa saliva a spirale attraverso l'edificio. Superarono un pianerottolo dopo l'altro, tutti privi di porte. Avevano raggiunto la quarta svolta identica a quelle precedenti, quando un'esplosione attutita fece tremare le scale e una nuvola di polvere si levò nell'aria.
«Hanno superato la porta» disse Jace per nulla soddisfatto. «Maledizione... pensavo avrebbe retto un po' di più.»
«È il momento di mettersi a correre?»
«Direi proprio di sì» rispose Jace, e si lanciarono su per le scale, che stridettero e si lamentarono sotto il loro peso mentre i chiodi saltavano via come colpi di mitragliatrice. Erano al quinto pianerottolo e Clary sentì il leggero tramestio delle zampe dei lupi sui gradini più bassi, o forse era solo la sua immaginazione. Sapeva che non c'era nessun alito caldo a sfiorarle il collo, ma i ringhi e gli ululati sempre più forti e vicini erano reali e terrificanti.
Il sesto pianerottolo si parò loro davanti come un iceberg che spuntava dalle acque scure del mare e loro vi si arrampicarono sopra. Clary aveva il fiato corto che le segava dolorosamente i polmoni, ma quando vide la porta riuscì a lanciare un gridolino di felicità. Era di acciaio pesante, rinforzata con chiodi e tenuta aperta da un mattone. Ebbe a malapena il tempo di chiedersi il perché, prima che Jace spalancasse la porta con un calcio, la spingesse al di là di essa e, dopo averla seguita, se la richiudesse alle spalle. Clary sentì un clic definitivo quando la porta si chiuse dietro di loro.
Grazie a Dio, pensò.
E poi si voltò.
Il cielo notturno si apriva sopra di lei, cosparso di stelle simili a una manciata di diamanti. Non era nero, ma di un blu scuro e pulito, il colore dell'alba imminente. Erano su un tetto piatto e nudo, con dei comignoli di mattoni. Una vecchia cisterna dell'acqua, nera e abbandonata, si ergeva su una piattaforma sollevata a un'estremità. Un pesante telone cerato nascondeva una grossa pila di qualcosa, probabilmente immondizia, all'estremità opposta. «Dev'essere da qui che entrano ed escono» disse Jace guardando la porta. Clary ora lo vedeva meglio in quella luce fioca, i segni della stanchezza come piccoli tagli attorno agli occhi. Il sangue sulla sua camicia, perlopiù di Raphael, era nero. «Volano quassù ed entrano ed escono dalla porta. Non che questo ci serva granché.»
«Magari c'è una scala antincendio» azzardò Clary. Si avvicinarono insieme, con cautela, al bordo del tetto. A Clary non era mai piaciuta l'altezza: l'idea di un volo verticale di dieci piani fino alla strada le rivoltò lo stomaco. E altrettanto fece la vista della scala antincendio, un ammasso contorto e inservibile di metallo ancora avvinghiato a un lato della facciata dell'hotel. «Forse no» disse. Diede un'occhiata alla porta alle loro spalle. Si apriva in una piccola struttura squadrata al centro del tetto. Stava vibrando e la maniglia si muoveva a scatti. Avrebbe retto ancora qualche minuto, forse meno.
Jace si premette il dorso delle mani contro gli occhi. L'aria plumbea li opprimeva, facendo il solletico alla nuca di Clary. La ragazza vide il sudore sgocciolare lungo il collo di Jace. Desiderò che piovesse, per quanto fosse futile in quel momento. La pioggia avrebbe fatto esplodere quella bolla di calore così come una puntura di spillo sgonfia un palloncino.
Jace stava mormorando qualcosa tra sé: «Pensa, Wayland, pensa...»
Qualcosa iniziò a prendere forma nella mente di Clary. Una runa danzò all'interno delle sue palpebre: due triangoli rivolti verso il basso uniti da una sbarra... una runa che rappresentava un paio di ali...
«Giusto» sospirò Jace, lasciando cadere le mani, e per un inquietante momento Clary si chiese se le avesse letto nel pensiero. Jace sembrava esaltato e i suoi occhi dorati erano luminosissimi. «Non posso credere di non averci pensato prima.» Corse verso l'estremità opposta del tetto, poi si fermò un istante a guardare Clary, ancora immobile e confusa, i pensieri pieni di forme luccicanti. «Muoviti, Clary.»
Lei lo seguì, allontanando dalla propria mente ogni pensiero sulle rune. Jace aveva raggiunto il telone cerato e lo stava tirando per un angolo.
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Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasyavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃