Capitolo 17 (1^parte)

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capitolo 17
IL FIORE DI MEZZANOTTE

Il sole era tramontato del tutto quando raggiunsero la porta d'accesso al tetto. Nella semioscurità, le grandi stanze mezze vuote davanti alle quali passarono erano deserte come scenografie teatrali, e i mobili coperti da lenzuola bianche uscivano dalle tenebre come iceberg nella nebbia.
Quando Jace aprì la porta della serra, l'odore colpì Clary, morbido come il soffice colpo di zampa di un gatto: l'odore ricco e scuro di terra e quello più forte e saponoso dei fiori notturni - gli occhi di bue, le maurandie, le belle di notte - e altri ancora che non riconobbe, come un fiore giallo a forma di stella i cui petali erano ornati da un polline dorato.
Attraverso le pareti di vetro della serra, vide le luci fredde di Manhattan che bruciavano di un verde ghiaccio e di un azzurro zaffiro.
«Cavoli!» Si voltò lentamente per godersi la vista. «È bellissimo qui di sera.»
Jace sorrise. «Ed è tutto per noi. Alec e Isabelle detestano questo posto.
Hanno delle allergie.»
Clary ebbe un brivido, anche se non faceva affatto freddo. «Che fiori sono questi?»
Jace scrollò le spalle e si sedette con una certa cautela accanto a un cespuglio verde lucido, punteggiato da numerosissimi boccioli. «Non ne ho idea. Credi che stia attento durante le lezioni di botanica? Non ho intenzione di fare l'archivista. Non mi serve sapere quella roba.»
«Tu sai soltanto uccidere?»
Jace la guardò e sorrise. Poteva sembrare un angelo biondo di un quadro di Rembrandt se non fosse stato per quella bocca demoniaca. «Infatti.» Prese dal sacchetto qualcosa avvolto in un tovagliolo e lo offrì a Clary. «E poi» aggiunse «so fare dei panini al formaggio fantastici. Provane uno.»
Clary sorrise con riluttanza e si sedette di fronte a Jace. Il pavimento di pietra della serra era freddo contro le sue gambe nude, ma era una sensazione piacevole, dopo tutti quei giorni di calura implacabile. Jace tirò fuori dal sacchetto un po' di mele, una tavoletta di cioccolato alla frutta e cereali e una bottiglia d'acqua. «Niente male, come bottino» disse lei ammirata. Jace fece la ruota.
Il panino al formaggio era tiepido e un po' molliccio, ma aveva un buon sapore. Da una delle innumerevoli tasche interne della sua giacca, Jace produsse un coltello con il manico d'osso che sembrava in grado di sventrare un grizzly. Si mise al lavoro sulle mele, dividendole in ottavi perfetti. «Be', non è una torta di compleanno» disse porgendole una fetta di mela «ma spero sia meglio di niente.»
«Quello che mi aspettavo era proprio una bella fetta di niente, quindi grazie.» Diede un morso alla mela: era un po' acerba e fresca.
«Tutti quanti dovrebbero ricevere qualcosa per il loro compleanno.» Jace stava sbucciando la seconda mela, togliendo la buccia in lunghe strisce ricurve. «I compleanni dovrebbero essere giorni speciali. Il mio era l'unico giorno in cui mio padre diceva che potevo fare o avere qualsiasi cosa volessi.»
«Qualsiasi cosa?» Clary scoppiò a ridere. «E tu che qualsiasi cosa volevi?»
«Be', quando ho compiuto cinque anni ho voluto fare il bagno negli spaghetti.»
«Ma lui non te lo ha lasciato fare, giusto?»
«No, è proprio questo il bello, me lo ha permesso. Ha detto che non era una cosa costosa, e perché non avrei dovuto farlo, se era quello che volevo? Disse alla servitù di riempire la vasca da bagno di acqua bollente e pasta, e quando si raffreddò...» scrollò le spalle «ci feci il bagno.»
La servitù?, pensò Clary. Ma ad alta voce disse soltanto: «E come è stato?»
«Scivoloso.»
«Ci credo.» Cercò di immaginarsi Jace da bambino che ridacchiava tutto allegro, con gli spaghetti che gli arrivavano alle orecchie. Non ci riuscì. Sicuramente Jace non ridacchiava tutto allegro nemmeno a cinque anni. «Cos'altro hai chiesto?»
«Soprattutto armi» disse lui. «Il che certamente non ti stupirà. Libri.
Leggo molto per conto mio.»
«Tipo libri di scuola?»
Jace scosse il capo. «No, quelli mio padre ce li aveva. Mi faceva lui da insegnante di storia occulta, demonologia, alchimia e arti marziali. La lettura era un hobby... lo facevo per divertimento.»
«Quindi non andavi a scuola?»
«No» disse Jace. Aveva iniziato a parlare più lentamente, come se si stessero avvicinando a un argomento di cui non voleva discutere.
«Ma i tuoi amici...»
«Non avevo amici» disse. «A parte mio padre. Lui era tutto ciò di cui avevo bisogno.»
Clary lo fissò. «Neanche un amico?»
Lui resse il suo sguardo. «Quando vidi Alec» disse «avevo dieci anni ed è stata la prima volta che ho incontrato un altro bambino della mia età. La prima volta che ho avuto un amico.»
Clary abbassò lo sguardo. Ora le si formò nella mente un'immagine decisamente sgradita: pensò ad Alec, a come l'aveva guardata. Lui non direbbe mai una cosa del genere, non Jace.
«Non sentirti dispiaciuta per me» disse Jace, come se avesse indovinato i suoi pensieri, anche se non era per lui che era dispiaciuta. «Mi ha dato la migliore istruzione e il migliore addestramento possibili. Mi ha portato in tutto il mondo. Londra. San Pietroburgo. L'Egitto. Ci piaceva molto viaggiare.» I suoi occhi si erano fatti più scuri. «Non sono stato da nessuna parte da quando è morto. Soltanto a New York.»
«Sei fortunato» disse Clary, felice di poter cambiare argomento. «Io non sono mai uscita da questo Stato in vita mia. Mia mamma non mi ha nemmeno lasciato andare in gita scolastica a Washington, anche se adesso forse ho capito il perché» aggiunse infine.
«Aveva paura che tu sclerassi? Che iniziassi a vedere demoni dentro la Casa Bianca?»
Clary mordicchiò un pezzo di cioccolato. «Ci sono dei demoni dentro la Casa Bianca?»
«Stavo scherzando» disse Jace. «Almeno credo.» Scrollò le spalle con filosofia. «Sono certo che qualcuno me lo avrebbe detto.»
Clary era dubbiosa. «Probabilmente voleva che non mi allontanassi troppo da lei. Mia mamma, voglio dire. Dopo la morte di mio padre, lei è cambiata molto.» Una frase di Luke echeggiò nella sua testa. Non sei mai stata la stessa dopo quello che è successo a Jonathan. Ma Clary non è Jonathan.
Jace alzò un sopracciglio. «Ti ricordi di tuo padre?»
Clary scosse il capo. «No, è morto prima che nascessi.»
«Sei fortunata» disse lui. «Così non ti manca.»
Detta da chiunque altro sarebbe stata una cosa spaventosa, ma per una volta nella voce di Jace non c'era traccia di amarezza, solo il dolore per l'assenza di suo padre. «È una cosa che passa?» gli chiese. «Il fatto che ti manchi, voglio dire.»
Lui la guardò di traverso, ma non rispose. «Stai pensando a tua madre?»
No. Non avrebbe pensato in quel modo a sua madre. «In realtà pensavo a
Luke.»
«Non che quello sia veramente il suo nome.» Jace diede un morso pensieroso alla mela e disse: «Ho pensato parecchio a lui. C'è qualcosa che non mi torna, nel suo comportamento...»
«È un vigliacco.» La voce di Clary era amareggiata. «Lo hai sentito. Non si metterà contro Valentine. Nemmeno per mia madre.»
«È proprio questo che...» Un riverbero sonoro lo interruppe. Da qualche parte stava suonando una campana. «Mezzanotte» disse rimettendosi in tasca il coltello. Si alzò in piedi e le porse le mani per aiutarla a sollevarsi. Le sue dita erano un po' appiccicose di succo di mela. «E adesso guarda.»
Il suo sguardo era fisso sul cespuglio verde accanto al quale erano stati seduti, coi suoi numerosi boccioli luccicanti. Clary fece per chiedergli cosa avrebbe dovuto guardare, ma lui sollevò una mano per zittirla. Aveva gli occhi lucidi. «Aspetta» disse.
Le foglie del cespuglio erano immobili. All'improvviso uno dei boccioli chiusi iniziò a vibrare e tremare. Si gonfiò fino a raddoppiare le proprie dimensioni e poi si aprì. Fu come guardare la ripresa accelerata dello sbocciare di un fiore: i delicati sepali verdi che si aprivano verso l'esterno, liberando i petali chiusi al loro interno. I petali erano cosparsi di polline dorato e leggero come talco.
«Oh!» disse Clary, e quando sollevò lo sguardo vide che Jace la stava guardando. «Sbocciano tutte le notti?»
«A mezzanotte» disse lui. «Buon compleanno, Clarissa Fray.»
Clary si sentiva stranamente commossa. «Grazie.»
«Ho una cosa per te» disse Jace. Rovistò in tasca e ne trasse fuori qualcosa che le mise in mano. Era una pietra grigia, leggermente irregolare, in alcuni punti consumata fino a essere liscia.
«Uh» disse Clary rigirandosela tra le dita. «Sai, quando la maggior parte delle ragazze dice che vorrebbe una grossa pietra, non intende proprio, letteralmente, una grossa pietra.»
«Molto divertente, mia sarcastica amica. Non è una pietra qualsiasi. Tutti i Cacciatori hanno una pietra runica di stregaluce.»
«Oh.» Clary la guardò con rinnovato interesse, chiudendola tra le dita come aveva visto fare a Jace nella cantina. Non ne era certa, ma le parve di vedere una piccola luce che faceva capolino fra le dita.
«Ti illuminerà» disse Jace «in tutti i luoghi oscuri di questo e di altri mondi.»
Clary se la fece scivolare in tasca. «Be', grazie. È stato carino da parte tua farmi un regalo.» Le sembrava che la tensione tra di loro la schiacciasse come aria umida. «Decisamente meglio di un bagno negli spaghetti.»
«Se racconti a qualcuno questa cosa degli spaghetti, forse sarò costretto a ucciderti» la minacciò lui assumendo un'aria tenebrosa.
«Be', quando io avevo cinque anni volevo che mia madre mi facesse girare dentro l'asciugatrice insieme ai vestiti» gli rivelò Clary. «La differenza è che lei non me lo ha lasciato fare.»
«Probabilmente perché girare dentro un'asciugatrice può essere fatale» fece notare Jace «mentre la pasta risulta raramente letale. A meno che non l'abbia cucinata Isabelle.»
Il fiore di mezzanotte stava già perdendo i petali, che veleggiavano verso terra scintillando come schegge di luce stellare. «Quando avevo dodici anni volevo un tatuaggio» disse Clary. «E mia mamma non mi ha permesso di fare nemmeno quello.»
Jace non rise. «La maggior parte dei Cacciatori ricevono il loro primo marchio a dodici anni. Dovevi avercelo nel sangue.»
«Forse. Anche se dubito che molti Cacciatori si facciano tatuare Donatello delle Ninja Turtles sulla spalla sinistra.»
Jace parve sbalordito. «Tu volevi una tartaruga sulla spalla?»
«Volevo coprire la cicatrice dell'antivaiolosa.» Spostò un po' di lato la spallina della canottiera, mostrando il segno bianco a forma di stella che aveva in cima al braccio. «Visto?»
Lui distolse lo sguardo. «Si sta facendo tardi» disse. «Dovremmo scendere.»
Clary si risollevò la spallina, imbarazzata. Come se lui potesse avere voglia di vedere la mia cicatrice dell'antivaiolosa...
Le parole successive le uscirono dalla bocca senza che volesse. «Tu e Isabelle siete mai... usciti insieme?»
Ora fu lui a guardarla stupito. La luce della luna stemperava il colore dei suoi occhi. Ora erano più d'argento che d'oro. «Isabelle?» chiese con un tono inespressivo.

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