«Non mi sembrano così pericolosi» disse Simon. «Io preferirei avere qualcuno che mi pasticcia dentro la testa piuttosto che uno che me la vuole tagliare via.»
«Allora sei ancora più idiota di quello che sembri» disse Jace guardandolo con disprezzo.
«Jace ha ragione» disse Isabelle. «Non sul fatto di essere idiota» aggiunse velocemente quando Simon si voltò a guardarla. «Ma i Fratelli Silenti fanno venire davvero i brividi.»
La mano di Hodge stringeva il ripiano del tavolo. «Sono molto potenti» disse. «Camminano nelle tenebre e non parlano, ma possono aprire la mente di un uomo come tu faresti con una noce... e poi possono lasciarlo a urlare da solo al buio, se è quello che vogliono.»
Clary guardò Jace sconvolta. «E tu vorresti mettermi nelle loro mani?»
«Io voglio solo aiutarti.» Jace si protese sopra il tavolo, tanto vicino che Clary poteva vedere le schegge di ambra scura nei suoi occhi chiari. «Forse non possiamo andare a cercare tua madre» disse sottovoce. «Forse lo farà il Conclave. Ma quello che hai nella testa appartiene a te. Qualcuno ti ha nascosto dei segreti, là dentro, segreti che tu non puoi vedere. Non vuoi sapere la verità sulla tua vita?»
«Non voglio qualcun altro nella mia mente» disse lei senza troppa convinzione. Sapeva che Jace aveva ragione, ma l'idea di affidarsi a degli esseri che anche i Cacciatori ritenevano spaventosi le faceva gelare il sangue.
«Io verrò con te» disse Jace. «Resterò con te mentre lo fanno.»
«Basta così.» Simon si alzò dal tavolo, rosso di rabbia. «Lasciala stare.»
Alec guardò Simon come se si fosse accorto di lui solo in quel momento, mentre si levava un ciuffo di capelli neri dalla fronte e sbatteva gli occhi.
«Che ci fai ancora qui, mondano?»
Simon lo ignorò. «Ti ho detto di lasciarla stare.»
Jace gli rivolse un'occhiata lenta e dolcemente velenosa. «Alec ha ragione» disse. «L'Istituto è tenuto a dare rifugio agli Shadowhunters, non ai loro amici mondani. Soprattutto quando hanno smesso da un pezzo di essere i benvenuti.»
Isabelle si alzò e prese Simon per un braccio. «Lo accompagno fuori.» Per un istante sembrò che il ragazzo volesse resisterle, ma poi incrociò lo sguardo di Clary, che scosse appena il capo. Simon si arrese. Col mento sollevato, permise a Isabelle di scortarlo fuori dalla stanza.
Clary si alzò. «Sono stanca» disse. «Voglio andare a dormire.»
Jace disse: «Ma non hai praticamente mangiato...»
Lei scostò la mano che il ragazzo le aveva avvicinato. «Non ho fame.»
In corridoio faceva più fresco che in cucina. Clary si appoggiò al muro e sollevò leggermente la camicia, che si stava incollando al sudore freddo del suo petto. Più in là, lungo il corridoio, vide le sagome di Isabelle e Simon che venivano inghiottite dalle ombre. Li osservò allontanarsi in silenzio, con una sensazione sempre più strana e inquietante alla bocca dello stomaco. Da quando in qua Simon era diventato una responsabilità di Isabelle anziché sua? Se c'era una cosa che stava imparando da tutta quella faccenda era quanto fosse facile perdere tutto ciò che pensavi sarebbe stato tuo per sempre.
La stanza era color oro e bianca, con pareti alte che luccicavano come smalto e un soffitto distante, chiaro e scintillante come un diamante. Clary indossava un abito di velluto verde e aveva in mano un ventaglio dorato. I suoi capelli, stretti in un nodo da cui sfuggivano alcuni riccioli, le facevano sentire la testa stranamente pesante ogni volta che si voltava per guardarsi alle spalle.
«Vedi qualcuno più interessante di me?» chiese Simon. Nel sogno era un ballerino incredibilmente bravo. La guidava attraverso la folla come se fosse una foglia portata dalla corrente di un fiume. Era tutto vestito di nero, come un Cacciatore, il che dava risalto ai suoi colori naturali: i capelli scuri, la pelle leggermente ambrata, i denti bianchi. Era bello, pensò Clary stupita.
«Non c'è nessuno più interessante di te» disse. «È solo questo posto. Non ho mai visto niente del genere.» Si voltò di nuovo, mentre passavano davanti a una fontana di champagne: era un enorme piatto d'argento, la cui parte centrale era occupata da una sirena con una giara che versava il vino frizzante lungo la sua schiena nuda. La gente si riempiva i bicchieri da quel piatto, ridendo e chiacchierando. La sirena voltò il capo al passaggio di Clary e sorrise, mettendo in mostra denti bianchi affilati come quelli di un vampiro.
«Benvenuta nella Città di Vetro» disse una voce che non era quella di Simon. Clary scoprì che Simon era scomparso e ora stava danzando con Jace. Era vestito di bianco, la sua camicia era di cotone leggero e Clary poteva vedere i marchi neri attraverso la stoffa sottile. Aveva al collo una catenella di bronzo e i suoi capelli e i suoi occhi sembravano più dorati che mai. Clary pensò a quanto le sarebbe piaciuto dipingere un suo ritratto con la vernice dorata che si vede a volte nelle icone russe.
«Dov'è Simon?» chiese mentre facevano un altro giro attorno alla fontana di champagne. Clary vide Isabelle insieme ad Alec, tutti e due vestiti di blu reale. Si tenevano per mano come Hansel e Gretel nella foresta.
«Questo è un posto per i vivi» disse Jace. Le sue mani erano fresche contro le sue e Clary era consapevole del loro tocco come non era mai stata con Simon.
Strinse gli occhi e chiese a Jace: «Cosa vuoi dire?»
Lui le si avvicinò. Clary sentì le sue labbra contro le proprie orecchie. Non erano affatto fredde. «Svegliati, Clary» le sussurrò. «Svegliati. Svegliati.»
Clary balzò a sedere sul letto ansimando, i capelli incollati al collo dal sudore freddo. I suoi polsi erano stretti in una presa salda: cercò di liberarsi prima ancora di rendersi conto di chi la stesse tenendo. «Jace?»
«Sì.» Il ragazzo era seduto sul bordo del letto - come era finita in quel letto? - con un'aria arruffata e semiaddormentata.
«Lasciami.»
«Scusa.» Le sue dita scivolarono via dal polso di lei. «Hai cercato di colpirmi quando ti ho chiamata.»
«Mi sa che sono un po' nervosa...» Clary si guardò attorno. Era in una piccola camera da letto con mobili di legno scuro. Dalla qualità della luce fioca che entrava dalla finestra semichiusa immaginò che fosse l'alba, o poco dopo. La sua borsa di stoffa era a terra vicino a una parete. «Come sono arrivata qui? Non ricordo...»
«Ti ho trovata addormentata sul pavimento del corridoio.» Jace sembrava divertito. «Hodge mi ha aiutato a metterti a letto. Abbiamo pensato che saresti stata più comoda in una stanza degli ospiti che in infermeria.»
«Cavoli. Non mi ricordo niente.» Si passò le mani tra i capelli, levandosi dei ciuffi rossi dagli occhi. «Ma che ore sono?»
«Più o meno le cinque.»
«Del mattino?» chiese con un'occhiataccia. «Spero che tu abbia una buona ragione per avermi svegliato.»
«Perché, stavi facendo un bel sogno?»
Clary sentiva ancora la musica nelle orecchie, sentiva ancora gli orecchini pesanti contro le guance. «Non ricordo.»
Jace si alzò. «Uno dei Fratelli Silenti è qui per vederti. Hodge mi ha mandato a svegliarti. In realtà si era offerto di farlo di persona, ma visto che sono le cinque ho pensato che sarebbe stato un risveglio migliore se tu avessi avuto qualcosa di bello da guardare.»
«Ovvero te?»
«E chi sennò?»
«Non ho mai detto che ero d'accordo» scattò lei. «Con questa faccenda dei Fratelli Silenti, voglio dire.» «Vuoi trovare tua madre o no?» Lei lo fissò.
«Devi solo incontrare Fratello Geremia. Tutto qui. Potrebbe anche piacerti. Ha un grande senso dell'umorismo, per essere uno che non dice mai niente.»
Clary si prese la testa tra le mani. «Esci. Mi devo cambiare.»
«Se proprio insisti...» Si avviò lentamente verso la porta. «Ti aspetto in corridoio.»
Saltò fuori dal letto non appena la porta si chiuse alle spalle di Jace. Nonostante fosse l'alba, il caldo umido stava già iniziando ad addensarsi nella stanza. Chiuse la finestra e andò in bagno a lavarsi la faccia e sciacquarsi la bocca, che sapeva di carta vecchia.
Cinque minuti dopo stava infilando i piedi nelle sue scarpe da ginnastica verdi. Poi si mise un paio di jeans tagliati e un t-shirt nera. Se solo le sue gambe sottili e lentigginose fossero state un po' più simili a quelle flessuose di Isabelle... Ma non poteva farci nulla. Si raccolse i capelli a coda di cavallo e raggiunse Jace in corridoio.
Church era con lui e continuava a miagolare e a girare in tondo.
«Cos'ha il gatto?» chiese Clary.
«I Fratelli Silenti lo rendono nervoso.»
«A quanto pare rendono nervosi tutti.»
Jace sorrise. Church miagolò, quando si avviarono lungo il corridoio, ma non li seguì. Almeno le spesse pareti di pietra della cattedrale avevano trattenuto un po' del freddo della notte: i corridoi erano bui e freschi.
Quando arrivarono in biblioteca, la porta era chiusa. Jace bussò una vol-
ta. Vu fu un momento di silenzio, prima che Clary sentisse la voce di Hodge: «Avanti.»
Le lampade della biblioteca erano spente. La stanza era illuminata solo dal bagliore lattiginoso che filtrava attraverso le finestre del soffitto a volta. Hodge era seduto dietro la sua enorme scrivania, coi capelli sale e pepe resi argentei dalla luce dell'alba. Per un istante Clary pensò che ci fosse solo lui nella stanza, che Jace le avesse fatto uno scherzo. Poi vide una figura uscire dal buio e si rese conto che quella che aveva creduto un'ombra più scura delle altre era un uomo. Un uomo alto con un mantello pesante che lo copriva completamente dal collo ai piedi. Il cappuccio del mantello era alzato a nascondergli il volto. Il mantello aveva il colore della pergamena e i complessi disegni lungo l'orlo e le maniche sembravano tracciati con sangue secco. I peli delle braccia e della nuca di Clary si rizzarono in modo quasi doloroso.
«Questo» disse Hodge «è Fratello Geremia della Città Silente.»
L'uomo si avvicinò. Il mantello pesante si muoveva con lui e Clary capì cosa c'era di strano in quel personaggio: mentre camminava non produceva alcun suono, nemmeno un lievissimo scalpiccio. Anche il suo mantello, che avrebbe dovuto frusciare, era silenzioso. Si chiese se non fosse un fantasma... Ma no, pensò, mentre l'uomo si fermava di fronte a loro. C'era uno strano odore dolciastro attorno a lui, come di incenso e sangue, l'odore di qualcosa di vivo.
«E questa, Geremia» continuò Hodge alzandosi in piedi «è la ragazza di cui ti ho scritto, Clarissa Fray.»
Il volto incappucciato si voltò lentamente verso di lei. Clary sentì freddo alla punta delle dita. «Ciao.»
«Avevi ragione tu, Jace» disse Hodge. «Ieri sera ho mandato una lettera al Conclave sulla Coppa, ma i ricordi di Clary sono soltanto suoi. Solo lei può decidere cosa fare di ciò che c'è dentro la sua testa.»
Clary non disse nulla. Dorothea aveva detto che nella sua mente c'era un blocco che nascondeva qualcosa. Ovviamente voleva sapere di cosa si trattava. Ma la figura tenebrosa del Fratello Silente era così... be'... così silente. Il silenzio sembrava fluire da lui come una corrente scura e densa come inchiostro. Le gelava le ossa.
Il volto di Fratello Geremia era ancora girato verso di lei, ma sotto il cappuccio non si vedeva altro che oscurità. «È la figlia di Jocelyn?»
Clary ebbe un sussulto e fece un passo indietro. Quelle parole erano echeggiate dentro la sua testa, come se le avesse pensate lei... solo che non era così.
«Sì» disse Hodge. «Ma suo padre era un mondano.»
«Non ha importanza» disse Geremia. «Il sangue del Conclave è dominante.»
«Perché hai chiamato mia madre per nome?» chiese Clary cercando invano qualche segno di un volto sotto quel cappuccio. «La conoscevi?»
«I Fratelli tengono traccia di tutti i membri del Conclave» spiegò Hodge
«con grande zelo...»
«Non così tanto» disse Jace «visto che non sapevano neppure se era ancora viva.»
«È probabile che per scomparire sia stata aiutata da uno stregone. Di solito, per i Cacciatori, non è così facile sfuggire al Conclave.» Non vi era alcuna emozione nella voce di Geremia, non sembrava approvare né disapprovare le azioni di Jocelyn.
«C'è una cosa che non capisco» disse Clary. «Perché Valentine pensa che mia mamma abbia la Coppa Mortale? Se si è data tanto da fare per scomparire, come dite voi, perché se la sarebbe portata dietro?»
«Per impedire che se ne impadronisse lui» disse Hodge. «Lei sa più di chiunque altro cosa succederebbe se Valentine mettesse le mani sulla Coppa. Credo che non si sia fidata di lasciarla al Conclave. Non dopo che Valentine gliel'aveva già sottratta una volta.»
«Sarà...» Clary sembrava decisamente perplessa. Tutta quella faccenda le sembrava improbabile. Provò a immaginare sua madre che fuggiva nelle tenebre con una grande coppa d'oro nascosta sotto la salopette, e non ci riuscì.
«Jocelyn ha abbandonato il marito prima della fine» disse Hodge. «Ed è probabile che abbia fatto in modo di evitare che la Coppa finisse nelle sue mani. Anche il Conclave avrebbe pensato che ce l'aveva lei, se avesse saputo che era ancora viva.»
«Mi sembra» disse Clary con un tono pungente «che tutti quelli che il Conclave pensa siano morti non lo sono mai per davvero. Forse dovrebbe assumere un bravo medico legale.»
«Mio padre è morto» disse Jace con lo stesso tono. «E non ho bisogno che me lo dica un medico legale.»
Clary si voltò verso di lui esasperata. «Scusa, non volevo...»
«Basta così» la interruppe Fratello Geremia. «C'è una verità da apprendere, ora, se avrai la pazienza di ascoltarla.»
Con un gesto veloce sollevò le mani e si scostò il cappuccio dal volto.
Clary si scordò immediatamente di Jace e dovette lottare contro l'impulso di urlare. La testa dell'archivista era calva, liscia e bianca come un uovo, con due cavità buie dove un tempo c'erano gli occhi. Le sue labbra erano attraversate da un intreccio di linee scure che assomigliavano a punti di sutura. Ora Clary comprese cosa intendeva Alec quando aveva parlato di mutilazioni.
«I Fratelli della Città Silente non mentono» disse Geremia. «Se vuoi la verità da me, la avrai, ma ti chiederò di fare lo stesso con me.»
Clary sollevò il mento. «Nemmeno io sono una bugiarda.»
«La mente non può mentire.» Geremia le si avvicinò. «E io voglio i tuoi ricordi.»
L'odore di sangue e inchiostro era soffocante. Clary sentì un'ondata di panico. «Aspetta...»
«Clary.» Era Hodge. Il suo tono di voce era molto gentile. «È molto probabile che ci siano dei ricordi che hai sepolto o represso, ricordi risalenti a quando eri troppo giovane per averne memoria in modo consapevole. Ma Fratello Geremia li può raggiungere. Potrebbero esserci di grande aiuto.»
Lei non disse nulla e si mordicchiò l'interno del labbro. Detestava l'idea che qualcuno le potesse frugare nella testa e toccare ricordi tanto privati e nascosti che neppure lei poteva raggiungere.
«Clary non deve fare niente che non voglia fare» disse all'improvviso
Jace. «Vero?»
Clary intervenne prima che Hodge potesse replicare. «Va bene. Lo farò.»
Fratello Geremia annuì e le si avvicinò in modo così silenzioso che le diede i brividi. «Farà male?» sussurrò la ragazza.
Lui non rispose, ma le sue mani bianche affusolate si sollevarono a toccarle il volto. La pelle delle dita era sottile come pergamena e coperta di rune. Clary poteva percepire il loro potere, che vibrava come elettricità statica a pungerle la pelle. Chiuse gli occhi, non prima di aver colto un'espressione ansiosa sul volto di Hodge.
Un vortice di colori si scatenò dietro le sue palpebre chiuse. Sentì una specie di pressione, come se qualcosa le tirasse la testa, le mani e i piedi. Strinse i pugni e cercò di opporsi a quel peso, a quell'oscurità. Si sentiva come se venisse spinta contro qualcosa di duro e inamovibile, come se venisse schiacciata molto lentamente. Ebbe un sussulto, e all'improvviso sentì freddo, come in una giornata d'inverno. In un lampo vide una strada gelata, edifici grigi che incombevano su di lei, un'esplosione di bianco che le pungeva gelidamente il volto...
«Basta così.» La voce di Jace lacerò la coltre di gelo invernale e la neve scomparve in una spruzzata di scintille bianche. Clary spalancò gli occhi.
Lentamente la biblioteca tornò a fuoco: le pareti costellate di libri, la luce fioca che filtrava dall'esterno, i volti ansiosi di Hodge e Jace. Fratello Geremia era immobile come un idolo scolpito nell'avorio e decorato con inchiostro rosso. Clary sentì all'improvviso un dolore acuto alle mani, abbassò lo sguardo e vide che aveva delle lineette rosse nella pelle dei palmi, dove aveva affondato le unghie.
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Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasyavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃