Capitolo 18 (3^parte)

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«Cosa succederà dopo che avremo preso la Coppa?» chiese lei. «Come contatteremo Valentine per fargli sapere che ce l'abbiamo noi?»
«Ci penserà Hugo a trovarlo.»
La pioggia picchiava contro le finestre. Clary ebbe un brivido. «Vado a prendere un giubbotto» disse mentre si alzava in piedi.
Trovò una felpa con il cappuccio verde e rosa in fondo al suo zainetto. Quando la tirò fuori, sentì qualcosa che si accartocciava. Era la fotografia del Circolo, con sua madre e Valentine. La guardò per un lungo istante, prima di rimetterla dentro lo zainetto.
Quando tornò in biblioteca, gli altri erano già tutti lì: Hodge seduto meditabondo sulla sua sedia con Hugo sulla spalla, Jace tutto in nero, Isabelle con i suoi stivali scalciademoni e la sua frusta dorata, e Alec con una faretra a tracolla e un bracciale di cuoio a coprire il braccio destro dal polso al gomito. A parte Hodge, erano tutti tatuati con marchi appena fatti, ogni centimetro di pelle nuda coperto da intricati disegni. Jace aveva la manica sinistra arrotolata, il mento contro la spalla, e stava facendo una smorfia mentre si disegnava un marchio ottagonale sulla parte più alta del braccio.
Alec lo guardò. «Stai facendo un casino» disse. «Ci penso io.»
«Sono mancino» si giustificò Jace, ma parlò con un tono tranquillo e gli porse il proprio stilo. Alec parve sollevato nel prenderlo, come se fino a quel momento non fosse stato sicuro se Jace l'avesse perdonato per il suo comportamento di poco prima. «È un itatze di base» disse Jace mentre Alec chinava il capo sul suo braccio tracciando attentamente le linee della runa guaritrice. Jace fece una smorfia mentre lo stilo scivolava sopra la sua pelle, gli occhi semichiusi e il pugno serrato finché i muscoli del braccio sinistro non si gonfiarono. «Per l'Angelo, Alec...»
«Sto cercando di fare attenzione» disse Alec. Lasciò andare il braccio di Jace e fece un passo indietro per ammirare la propria opera. «Ecco.»
Jace aprì il pugno e abbassò il braccio. «Grazie.» A quel punto percepì la presenza di Clary e la guardò con gli occhi socchiusi. «Clary.»
«Sembrate pronti» disse lei, mentre Alec, improvvisamente arrossito, si allontanava da Jace e si metteva a trafficare con le sue frecce.
«Lo siamo» disse Jace. «Hai ancora quel pugnale che ti ho dato?»
«No. L'ho perso al Dumort, ricordi?»
«Giusto.» Jace la guardò compiaciuto. «Ci hai quasi ucciso un licantropo, con quel pugnale, vero?»
Isabelle, in piedi davanti alla finestra, levò gli occhi al soffitto. «Mi ero dimenticata come ti fanno perdere la testa le ragazze che ammazzano i mostri, Jace.»
«Mi piace chiunque ammazzi i mostri» disse lui. «Soprattutto me stesso.»
Clary guardò ansiosa l'orologio sulla scrivania. «Dovremmo scendere. Simon sarà qui da un momento all'altro.»
Hodge si alzò in piedi. Sembrava molto stanco, pensò Clary, come se non dormisse da giorni.
«Possa l'Angelo vegliare su di voi» disse, e Hugo si alzò dalla sua spalla e prese il volo gracchiando forte, proprio nell'istante in cui la campana batteva le dodici.

Stava piovigginando quando Simon accostò con il furgone e suonò due volte il clacson. Il cuore di Clary fece un salto: una parte di lei temeva che non si sarebbe presentato.
Jace guardò la strada attraverso la pioggia. Si erano riparati sotto una delle cornici di pietra accanto al portone della cattedrale. «Quello è il furgone? Sembra una banana mezza marcia.»
Era innegabile: Eric aveva dipinto il furgone di giallo fosforescente su cui spiccavano delle chiazze di ruggine simili alle macchie scure delle banane troppo mature. Simon suonò ancora il clacson. Clary lo vide, una forma confusa attraverso il finestrino bagnato. Sospirò, e tirò su il cappuccio per coprirsi i capelli. «Andiamo.»
Guadarono le pozzanghere d'acqua lurida che si erano formate sull'asfalto. A ogni passo Isabelle vi immergeva i suoi enormi stivali con grande soddisfazione. Simon lasciò il motore in folle e scivolò sul retro per aprire la portiera, rivelando dei sedili con la tappezzeria mezza marcia. Delle molle dall'aria pericolosa spuntavano fra i buchi dei cuscini. Isabelle arricciò il naso. «È sicuro sedersi?»
«Più sicuro che farsi legare al tetto» disse Simon tranquillamente «che è l'altra possibilità che avete. Salutò Jace e Alec con un cenno del capo, ignorando completamente Clary.» Ehi.
«Ehi» disse Jace sollevando la borsa di stoffa tintinnante che conteneva le armi. «Questa dove la posso mettere?»
Simon gli indicò il retro, dove i ragazzi di solito tenevano gli strumenti musicali, mentre Alec e Isabelle si arrampicavano dentro il furgone e si appollaiavano sui sedili. «Copilota!» annunciò Clary mentre Jace si avvicinava alla portiera.
Alec toccò l'arco che portava a tracolla. «Cosa?»
«Intende dire che vuole sedersi davanti» disse Jace allontanandosi i capelli bagnati dagli occhi.
«Bell'arco» disse Simon con un cenno del capo rivolto ad Alec.
Alec sbatté gli occhi, la pioggia che gli cadeva dalle ciglia. «Sei un esperto di tiro con l'arco?» chiese in un tono che lasciava intendere che ne dubitava.
«Ho fatto tiro con l'arco in colonia» disse Simon. «Sei anni di fila.»
La risposta a questa frase furono tre sguardi inespressivi e un sorriso complice di Clary, che Simon ignorò guardando il cielo sempre più plumbeo. «Dovremmo andare, prima che ricominci a piovere a dirotto.»
Il sedile anteriore era coperto di pacchetti di biscotti e briciole di patatine. Clary spazzò via quello che poteva. Simon fece partire il furgone prima che avesse terminato, facendola finire contro il sedile. «Ahi!» disse lei.
«Scusa» rispose Simon senza guardarla.
Clary sentiva gli altri parlare sottovoce tra loro. Probabilmente discutevano di strategie di battaglia e del modo migliore per decapitare un demone senza ritrovarsi gli stivali nuovi pieni di fluidi corporei. Anche se non c'era nulla a separare il sedile anteriore dal resto del furgone, Clary sentì il silenzio imbarazzato tra lei e Simon, come se fossero soli.
«Cos'è questa faccenda dell'"ehi"?» chiese mentre Simon faceva entrare il furgone sulla FDR Parkway la superstrada che correva lungo l'East River.
«Quale faccenda dell'"ehi"?» rispose lui tagliando la strada a un Suv il cui guidatore, un tizio elegante con il cellulare in mano, fece un gestaccio attraverso i finestrini oscurati.
«La faccenda dell'"ehi" che fate sempre voi maschi. Tipo quando hai visto Jace e Alec, tu hai detto "ehi" e loro hanno risposto "ehi". Cosa c'è che non va nel "ehi"?»
A Clary parve di vedere un muscolo che guizzava nella guancia di Simon. «"Ehi" è da ragazze» la informò lui. «I veri uomini sono secchi. Laconici.»
«Per cui più sei uomo e meno dici?»
«Già.» annuì Simon. Clary vedeva la nebbia che si abbassava sull'East River, avvolgendo il fronte del porto in una foschia grigia che aveva qualcosa di solido. L'acqua era come acciaio sbattuto dal vento fino ad assumere la consistenza della panna montata. «È per questo che quando i tipi più strafighi si incontrano nei film non dicono niente, fanno solo un cenno con la testa che vuol dire: "Io sono uno strafigo e riconosco che anche tu sei uno strafigo". Ma non dicono niente perché sono Wolverine e Magneto, e dare spiegazioni gli rovinerebbe il personaggio.»
«Non ho la minima idea di quello che stai dicendo» era una voce da dietro. Era Jace.
«Bene» disse Clary, e fu ricompensata dal più piccolo sorriso che Simon potesse fare mentre svoltava a sinistra sul Manhattan Bridge, verso Brooklyn. Verso casa.

Quando raggiunsero la casa di Clary aveva finalmente smesso di piovere. I raggi del sole stavano dissolvendo quanto restava della foschia e le pozzanghere si stavano asciugando sui marciapiedi. Jace, Alec e Isabelle dissero a Simon e Clary di aspettare accanto al furgone mentre loro andavano a controllare, come disse Jace, i "livelli di attività demoniaca".
Simon guardò i tre Shadowhunters incamminarsi lungo il vialetto fiancheggiato da piante di rose. «Livelli di attività demoniaca? Hanno uno strumento che misura se i demoni nella casa stanno facendo ginnastica aerobica?»
«No» disse Clary abbassando il cappuccio fradicio per godersi la sensazione del sole sui capelli. «Il sensore dice quanto sono potenti i demoni...
se ce ne sono.»
Simon parve colpito. «Decisamente utile.»
Clary si voltò verso di lui. «Simon, a proposito di ieri sera...»
Lui sollevò una mano. «Non siamo costretti a parlarne. Anzi, preferirei non farlo.»
«Lasciami dire solo una cosa.» Clary parlò sottovoce. «Lo so che quan-
do hai detto che eri innamorato di me, quello che ho risposto non è quello che avresti voluto sentire.»
«Vero. Ho sempre sperato che quando alla fine avessi detto "ti amo" a una ragazza lei avrebbe risposto "lo so", come Leila ad Han nel Ritorno dello Jedi.»
«Ma è troppo una cosa da sfigato!» esclamò Clary, incapace di trattenersi.
Lui le lanciò un'occhiataccia.
«Scusa» disse lei. «Guarda, Simon, io...»
«No» disse lui. «Guarda tu, Clary. Guardami e prova a vedermi per davvero. Riesci a farlo?»
Lei lo guardò. Guardò i suoi occhi scuri, con venature più chiare alle estremità dell'iride, guardò le sopracciglia leggermente irregolari, le lunghe ciglia, i capelli scuri e il sorriso esitante e le mani aggraziate da musicista. Tutto questo faceva parte di Simon, e Simon faceva parte di lei. Se avesse detto la verità, avrebbe detto davvero di non avere mai saputo che era innamorato di lei? O solo di non sapere come avrebbe reagito a questa cosa?
Sospirò. «Vedere al di là degli incantesimi è facile. Sono le persone che sono difficili.»
«Tutti vediamo quello che vogliamo vedere» disse lui tranquillamente.
«Jace no» disse Clary suo malgrado, pensando ai suoi occhi chiari e impassibili.
«Lui più di chiunque altro.»
Clary corrugò la fronte. «Tu cosa ne...»
«Tutto a posto» li interruppe la voce di Jace. Clary si voltò di scatto. «Abbiamo controllato ogni angolo della casa... niente. Attività bassa. Probabilmente solo Dimenticati, che potrebbero anche non darci fastidio se non saliamo al piano di sopra.»
«E se dovessero farlo» disse Isabelle con un sorriso sfavillante quanto la sua frusta «saremo pronti a riceverli.»
Alec tirò fuori dal retro del furgone la pesante borsa di tela e la lasciò cadere sul marciapiede. «Pronti» annunciò. «Andiamo a spaccare la faccia a qualche demone!»
Jace lo guardò con un'espressione strana. «Tutto a posto?»
«Sì.» Alec stava trafficando con l'apertura del bracciale, che si era slacciato.
Jace fece per aiutarlo. «Aspetta, ti aiuto io...»
Alec si scostò di colpo come se l'amico lo avesse punto con qualcosa. «Faccio da solo.»
Sul volto di Jace passò un'espressione di ferita sorpresa. Clary si sentì salire in gola un senso di colpa acido come bile.
Jace non disse un'altra parola mentre si allacciava le armi, facendosi scivolare diverse spade angeliche nelle polsiere. Alec, senza guardarlo, mise giù l'arco e le frecce per sostituirle con una picca di legno lucido con due lame scintillanti che scattarono all'infuori a un lieve tocco delle sue dita.
«Questa andrà meglio.»
Isabelle guardò preoccupata suo fratello. «Ma l'arco...»
Alec la interruppe. «So quello che faccio, Isabelle.»
L'arco restò abbandonato sul sedile posteriore, scintillando alla luce del sole. Simon disse: «Un arco del genere deve costare parecchio.» Ritrasse la mano mentre delle giovani donne ridenti passarono lì accanto dirette verso il parco con dei passeggini. Non si accorsero della presenza dei tre adolescenti armati fino ai denti accucciati accanto al furgone giallo. «Com'è che io vi posso vedere?» chiese Simon.

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