Capitolo 18 (4^parte)

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«Cosa è successo al vostro incantesimo di invisibilità?»
«Tu ci puoi vedere» spiegò Jace «perché ora conosci la verità di ciò che stai guardando.»
«Già» disse Simon. «Mi sa che è proprio così.»
Protestò un po' quando gli dissero di restare nel furgone, ma Jace gli spiegò l'importanza di avere un veicolo pronto per la fuga. «La luce del sole è fatale per i demoni, ma non fa niente ai Dimenticati. E se ci inseguissero? E sei ci rimuovessero il furgone?»
L'ultima cosa di Simon che Clary vide mentre si voltava per salutarlo dal portico furono le sue lunghe gambe appoggiate al cruscotto mentre passava in rassegna la collezione di cd di Eric. Clary tirò un sospiro di sollievo. Almeno Simon era al sicuro.
L'odore la colpì dal momento in cui attraversarono la porta d'ingresso. Era un odore quasi indescrivibile, come di uova marce e carne andata a male e alghe che imputridiscono su una spiaggia calda. Isabelle arricciò il naso e Alec divenne verde. Jace invece sembrava stesse inalando un profumo delizioso. «I demoni sono stati qui» annunciò con gelido piacere. «E anche di recente.»
Clary lo guardò ansiosa. «Ma non sono più...»
«No.» Scosse il capo. «Li avremmo rilevati. Ma...» mosse di scatto il mento verso la porta di Dorothea, dalla quale non filtrava nemmeno un filo di luce. «Lei potrebbe dover rispondere a qualche domanda se il Conclave venisse a sapere che riceve dei demoni.»
«Credo che il Conclave non sarà molto contento di tutta questa faccenda» disse Isabelle. «E magari, alla fine, lei ne uscirà meglio di noi.»
«Se riusciremo a mettere le mani sulla Coppa non avranno niente da ridire.» Alec si stava guardando in giro, gli occhi azzurri che esaminavano l'ingresso, la scala curva che portava al piano di sopra, le macchie sulle pareti. «Soprattutto se già che ci siamo massacriamo un po' di Dimenticati.»
Jace scosse il capo. «Sono al piano di sopra. Credo che se non entriamo nell'appartamento di Clary non ci daranno fastidio.»
Isabelle si soffiò via dalla faccia una ciocca di capelli e fece una smorfia a Clary. «Cosa stai aspettando?»
Clary guardò senza volerlo Jace, che le rivolse un sorriso di traverso.
Vai, dicevano i suoi occhi.
La ragazza attraversò l'ingresso e si avvicinò cauta alla porta di Dorothea. Con il lucernario oscurato dalla polvere e la lampadina dell'ingresso ancora bruciata, l'unica fonte di illuminazione era la stregaluce di Jace. L'aria era calda e stantia e le ombre sembravano sollevarsi davanti a lei come piante che per magia crescessero a velocità supersonica in una foresta da incubo. Allungò una mano per bussare alla porta, prima piano e poi con più forza.
La porta si aprì riversando un'onda di luce dorata nell'ingresso. Dorothea era lì, massiccia, familiare e imponente, nei suoi drappeggi verdi e arancioni. Quel giorno portava un turbante giallo fosforescente ornato da un canarino impagliato e un nastrino con un disegno a zigzag. Due orecchini pendenti ondeggiavano sotto la sua chioma rossa, e i suoi grandi piedi erano nudi. Clary ne fu stupita: prima d'allora non aveva mai visto Dorothea a piedi nudi, senza le sue pantofole di stoffa stinta.
Aveva le unghie dei piedi dipinte di un rosa pallido e molto elegante.
«Clary!» esclamò travolgendo la ragazza con un abbraccio. Per un istante lei cercò di opporre resistenza, avvolta in un mare di profumo, velluto e frange. Quando alla fine si liberò, sentì delle risatine alle sue spalle. Sperò che Dorothea non li avesse sentiti: non voleva ferire i suoi sentimenti. «Santo cielo» disse la strega scuotendo il capo finché i suoi orecchini non suonarono come campane tibetane durante un temporale. «L'ultima volta che ti ho visto stavi scomparendo nel mio Portale. Dove sei finita?» «Williamsburg» disse lei mentre riprendeva fiato.
Le sopracciglia di Dorothea schizzarono verso l'alto. «E poi dicono che a Brooklyn i trasporti pubblici non sono efficienti.» Spalancò la porta e fece cenno ai ragazzi di entrare.
L'appartamento non sembrava cambiato dall'ultima volta che Clary l'aveva visto: c'erano gli stessi tarocchi e la stessa sfera di cristallo sul tavolo. Le dita della ragazza avrebbero voluto correre ad afferrare le carte per vedere cosa fosse nascosto dietro la loro superficie dipinta.
Dorothea affondò tutta felice in una poltrona e puntò sui Cacciatori uno sguardo luccicante quanto quello del canarino impagliato che aveva sul cappello. Delle candele profumate bruciavano sopra dei piatti all'altra estremità del tavolo, il che non serviva molto a coprire l'odore sgradevole che pervadeva ogni centimetro della casa. «Immagino che non abbiate ancora trovato tua madre» disse a Clary.
Clary scosse il capo. «No. Ma so chi l'ha rapita.»
Gli occhi di Dorothea passarono da Clary ad Alec e Isabelle, che stavano esaminando la Mano del Fato alla parete. Jace era appoggiato tranquillamente al bracciolo di una poltrona, tutto compreso nel suo ruolo di guardia del corpo. Dopo essersi assicurata che nessuno dei suoi beni fosse sul punto di essere distrutto, Dorothea tornò a guardare Clary. «È stato...?»
«Valentine» le confermò la ragazza. «Sì.»
Dorothea sospirò. «Lo temevo.» Si appoggiò meglio ai cuscini della poltrona. «Sai cosa vuole da lei?»
«So che sono stati sposati...»
La strega emise una specie di grugnito. «Un amore sbagliato. Il peggiore.»
Jace si produsse in un piccolo rumore quasi impercettibile, una risatina. Le orecchie di Dorothea si drizzarono come quelle di un gatto. «Cosa c'è di così divertente, ragazzo?»
«E tu cosa ne sai?» chiese lui. «Dell'amore, dico.»
Dorothea incrociò le morbide mani bianche davanti a sé. «Più di quanto tu pensi» rispose. «Non ti avevo letto le foglie del tè, Cacciatore? Ti sei già innamorato della persona sbagliata?»
Jace disse: «Purtroppo, Signora del Rifugio, il mio unico vero amore resto io stesso.»
Dorothea scoppiò in una risata: «Almeno non ti devi preoccupare di essere respinto, Jace Wayland.»
«Non necessariamente. A volte mi dico di no, tanto per non farmi perdere interesse.»
Dorothea rise di nuovo rumorosamente. Clary la interruppe. «Probabilmente si sta chiedendo perché siamo qui, Madame Dorothea.»
Dorothea cedette e si massaggiò gli occhi con le mani. «Ti prego» disse «di chiamarmi con il titolo che mi spetta. Puoi chiamarmi Signora. E pensavo che foste venuti per il piacere della mia compagnia» aggiunse. «Mi sbagliavo?»
«Non ho tempo per il piacere della compagnia di nessuno. Devo aiutare mia madre, e per farlo mi serve qualcosa.»
«E sarebbe?»
«È una cosa chiamata Coppa Mortale» disse Clary. «Valentine pensava che l'avesse mia madre. È per questo che l'ha rapita.»
Dorothea parve sinceramente sbalordita. «La Coppa dell'Angelo?» disse con la voce venata di incredulità. «La Coppa di Raziel, in cui l'Angelo mescolò il sangue degli angeli e quello dei demoni e diede questo composto da bere a un uomo e creò il primo Cacciatore?»
«Proprio lei» disse Jace con un tono un po' aspro.
«E perché diavolo dovrebbe avercela lei?» chiese Dorothea. «Proprio Jocelyn?» Il suo volto si illuminò prima che Clary potesse parlare. «Perché non era affatto Jocelyn Fray, naturalmente» disse. «Era Jocelyn Fairchild, sua moglie, che tutti credevano morta. Aveva preso la Coppa ed era fuggita, non è così?» Qualcosa lampeggiò nello sguardo della chiromante, ma poi abbassò le palpebre tanto velocemente che Clary pensò che forse l'aveva solo immaginato. «Così» proseguì Dorothea «adesso sapete cosa fare? Ovunque l'abbia nascosta, non sarà facile trovarla... se pure volete trovarla. Valentine potrebbe fare delle cose terribili se mettesse le mani sulla Coppa.»
«Voglio che sia ritrovata» disse Clary. «Noi vogliamo...»
Jace la interruppe. «Noi sappiamo dov'è» disse. «Adesso si tratta solo di recuperarla.»
Dorothea spalancò gli occhi. «Be', e dove sarebbe?»
«Qui» disse Jace in un tono tanto compiaciuto che Isabelle e Alec si distrassero dalla loro perlustrazione della libreria per vedere cosa succedeva.
«Qui? Vuoi dire che l'avete con voi?»
«Non proprio, cara signora» fece Jace. Clary vide che si stava godendo quella situazione in modo davvero sconcertante. «Voglio dire che ce l'ha lei.»
La bocca di Dorothea si richiuse di colpo. «Non è divertente» disse con un tono tanto secco che Clary temette che tutto potesse andare nel peggiore dei modi. Perché Jace doveva sempre sfidare tutti quanti?
«Ce l'ha davvero lei» intervenne subito la ragazza. «Ma non...»
Dorothea si alzò dalla poltrona in tutta la sua spettacolare altezza e li guardò dall'alto in basso. «Vi sbagliate» disse gelida. «Sia a immaginare che io abbia la Coppa sia a osare venire qui a darmi della bugiarda.» La mano di Alec corse alla sua picca. «Oh, cavoli» sussurrò.
Clary scosse il capo sconcertata. «No» disse velocemente. «Non le sto dando della bugiarda, glielo assicuro. Sto dicendo che la Coppa è qui, ma lei non lo ha mai saputo.»
Madame Dorothea la fissò. I suoi occhi, seminascosti tra le pieghe del suo volto, erano duri come biglie. «Spiegati.»
«Sto dicendo che mia madre l'ha nascosta qui» disse Clary. «Anni fa. A lei non l'ha mai detto perché non voleva coinvolgerla.» «Così gliel'ha data travestita da regalo» spiegò Jace.
Dorothea lo guardò senza capire.
Non ricorda?, si chiese Clary. «Il mazzo dei tarocchi» disse. «Le carte che ha dipinto per lei.»
Lo sguardo della strega si spostò sulle carte, posate sul loro contenitore di seta, sopra il tavolo. «Le carte?» Mentre i suoi occhi si facevano più grandi, Clary si avvicinò al tavolo e raccolse il mazzo. Le carte erano fresche al tatto, quasi scivolose. Ora, a differenza dell'altra volta, attraverso la punta delle dita sentiva pulsare il potere delle rune dipinte sul dorso delle carte. Trovò l'Asso di Coppe senza guardare il mazzo e lo tirò fuori, rimettendo le altre carte sul tavolo.
«Eccola» disse.
Tutti la stavano fissando in attesa, perfettamente immobili. Girò lentamente la carta e guardò di nuovo l'opera di sua madre: la snella mano dipinta con le dita avvolte attorno al gambo dorato della Coppa Mortale.
«Jace» disse. «Dammi il tuo stilo.»
Lui glielo mise in mano, caldo e pulsante. Clary voltò la carta e ripassò le rune disegnate sul dorso aggiungendo una curva qui e una linea là finché non ebbero assunto un senso totalmente diverso. Quando voltò di nuovo la carta l'immagine era leggermente differente: le dita avevano allentato la presa sul gambo della coppa e la mano sembrava quasi porgerle la Coppa, come se dicesse: Forza, prendila.
Benché il rettangolo dipinto non fosse più grande della sua mano, Clary si trovò a sporgersi dentro di esso come se fosse stato un grande spazio vuoto. La sua mano si strinse attorno alla base della Coppa, le sue dita si chiusero su di essa, e mentre ritraeva la mano con la Coppa saldamente in suo possesso, le sembrò di avere sentito un piccolissimo sospiro prima che la carta, ora vuota e bianca, si trasformasse in cenere che le volò via tra le dita per spargersi sulla moquette.

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