Capitolo 10 (3^parte)

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«Jace» disse Hodge con riprovazione.
«Guarda le sue mani.» Jace indicò Clary, che chiuse le dita per coprire i palmi feriti.
Hodge le appoggiò una mano sulla spalla. «Tutto bene?»
La ragazza annuì lentamente. Quel peso terribile era scomparso, ma sentiva ancora il sudore che le inzuppava i capelli e scendeva sotto la camicia, lungo la schiena.
«C'è un blocco nella tua mente» disse Fratello Geremia. «I tuoi ricordi non possono essere raggiunti.»
«Un blocco?» gli fece eco Jace. «Vuoi dire che ha represso i suoi ricordi?»
«No. Voglio dire che sono stati bloccati con un incantesimo. Io non posso entrare. Dovrà venire alla Città di Ossa e comparire di fronte alla Fratellanza.»
«Un incantesimo?» disse Clary incredula. «E chi mi avrebbe fatto un incantesimo?»
Nessuno le rispose. Jace guardò il suo tutore. Era sorprendentemente pallido, pensò Clary, considerando che era stata un'idea sua. «Hodge, Clary non è costretta ad andare se...»
«Va bene.» Clary prese un respiro profondo. Le facevano male i palmi delle mani e aveva una gran voglia di stendersi al buio a riposare. «Ci andrò. Voglio sapere la verità. Voglio sapere cos'ho nella testa.» Jace annuì brevemente. «Allora verrò con te.»

Lasciare l'Istituto fu come entrare in una sacca di stoffa calda e bagnata. L'umidità opprimeva la città trasformando l'aria in una zuppa tetra.
«Non capisco perché non partiamo insieme a Fratello Geremia» borbottò Clary. Erano fermi all'angolo fuori dall'Istituto. Le strade erano deserte, a eccezione di un camion dell'immondizia che caracollava giù per l'isolato. «Cos'è, si vergogna di farsi vedere in giro con dei Cacciatori?»
«I Fratelli sono Cacciatori» precisò Jace. In qualche modo riusciva a conservare la sua aria da figo anche con quel caldo, il che fece venire a Clary la voglia di tirargli un pugno.
«Immagino sia andato a prendere la sua auto, vero?» chiese sarcastica.
Jace sorrise. «Qualcosa del genere.»
Clary scosse il capo. «Sai, mi sentirei molto meglio se Hodge fosse con noi.»
«Non ti basto io come guardia del corpo?»
«Non è di una guardia del corpo che ho bisogno adesso, ma di qualcuno che mi aiuti a pensare.» Si portò una mano alla bocca come se si fosse ricordata qualcosa all'improvviso. «Oh... Simon!»
«No, sono Jace» Jace finse di spazientirsi. «Simon è quello sfigato con la faccia da furetto, i capelli orrendi e un gusto per l'abbigliamento davvero imbarazzante.»
«Piantala» rispose Clary, ma era stata una reazione automatica più che sentita. «Volevo chiamarlo, prima di andare a dormire, per vedere se era arrivato a casa sano e salvo.»
Jace scosse il capo e levò gli occhi al cielo come se potesse aprirsi e svelargli i segreti dell'universo. «Con tutto quel che sta succedendo tu ti preoccupi di Faccia da Furetto?»
«Non chiamarlo così. Non assomiglia a un furetto.»
«Forse hai ragione» disse Jace. «Mi è capitato di vedere dei furetti che non erano male. Lui sembra più un topo.»
«Non...»
«Probabilmente è a casa sdraiato in una pozzanghera di bava. Aspetta solo che Isabelle si stanchi di lui e dovrai raccogliere i suoi pezzi con il cucchiaino.»
«Ed è probabile che succeda?» chiese Clary. Jace ci pensò sopra un momento. «Sì» disse.
Clary si chiese se Isabelle non fosse più sensibile di quanto credesse Jace. Forse avrebbe capito che tipo fantastico era Simon, quanto era divertente, intelligente, affettuoso. Forse avrebbero iniziato a uscire insieme. L'idea la riempì di un imprecisato orrore.
Persa nei suoi pensieri, ci mise un po' a rendersi conto che Jace le stava dicendo qualcosa. Quando lo guardò, vide un sorriso sarcastico dipinto sul suo volto. «Cosa c'è?» gli chiese sgarbata.
«Vorrei che la smettessi di cercare disperatamente di attirare la mia attenzione in questo modo» disse lui. «Sta diventando imbarazzante.»
«Il sarcasmo è l'ultimo rifugio di chi ha finito tutte le altre idee» rispose lei.
«Non posso farci niente. Uso il sarcasmo per nascondere il mio dolore interiore.»
«Il tuo dolore tra poco diventerà esteriore se non sali sul marciapiede. Stai cercando di farti investire da un taxi?»
«Non essere ridicola» disse lui. «Lo sanno tutti che è impossibile trovare un taxi a quest'ora nell'Upper East Side.»
Come in risposta a quella frase, un'auto nera e affusolata, coi vetri oscurati, si avvicinò al marciapiede e si fermò davanti a Jace col motore che faceva le fusa. Era lunga, stretta e bassa come una limousine, e i finestrini erano curvati verso l'esterno in modo curioso.
Jace rivolse a Clary un'occhiata di traverso: nel suo sguardo c'era divertimento, ma anche una certa urgenza. Clary si voltò di nuovo verso l'auto, lasciò che il suo sguardo si rilassasse, affinché la forza di ciò che era reale trapassasse il velo dell'incantesimo.
Ora l'auto sembrava la carrozza di Cenerentola, solo che invece che essere dorata, rosa e blu come un uovo di Pasqua, era nera come velluto, i finestrini schermati. Le ruote erano nere, gli interni in pelle nera. Sul sedile di metallo nero del conducente era seduto Fratello Geremia, che stringeva delle briglie nelle mani inguantate. Il suo volto era nascosto dal cappuccio del mantello color pergamena. All'estremità opposta delle briglie c'erano due cavalli neri come il petrolio che sbuffavano e scalpitavano.
«Entra» disse Jace. Dato che Clary se ne stava immobile a bocca aperta, le prese un braccio e la sospinse delicatamente attraverso la portiera aperta, salendo dietro di lei. La carrozza iniziò a muoversi prima che Jace avesse chiuso lo sportello dietro di sé. Poi ricadde sul sedile morbido e lucido e guardò Clary. «Una carrozza personale per la Città di Ossa non è una cosa da snobbare.»
«Non la stavo snobbando. Ero solo sorpresa. Non mi aspettavo... Voglio dire... Pensavo fosse un'auto.»
«Rilassati» disse Jace «e goditi questo profumo di carrozza nuova.» Clary levò gli occhi al cielo e si voltò per guardare fuori dal finestrino. Si aspettava che una carrozza trainata da cavalli non se la potesse cavare tanto bene nel traffico di Manhattan, invece stava procedendo tranquillamente verso Downtown, silenziosa in mezzo al ringhiare di taxi, autobus e Suv che soffocava il viale. Di fronte a loro, un taxi cambiò corsia, tagliando la strada alla carrozza e bloccandole il passo. Clary si irrigidì, preoccupata per i cavalli... ma poi la carrozza fece un balzo e loro saltarono leggerissimi sopra il taxi. Clary soffocò un sussulto. La carrozza, anziché restare a terra, seguì i cavalli, veleggiando lieve e silenziosa sopra il tettuccio del taxi per ridiscendere dall'altro lato. Clary si guardò alle spalle mentre toccavano di nuovo terra: il tassista stava fumando, guardava dritto davanti a sé, ed evidentemente non aveva notato nulla di strano. «Ho sempre pensato che i tassisti non prestassero molta attenzione al traffico, ma questo è grottesco» farfugliò.
«Solo perché adesso puoi vedere al di là degli incantesimi...» Jace lasciò che la fine della frase restasse sospesa nell'aria.
«Riesco a farlo solo quando mi concentro» disse lei. «Ma mi fa un po' male la testa.»
«Scommetto che è per il tuo blocco mentale. Se ne occuperanno i Fratelli.»
«E poi?»
«E poi tutto apparirà com'è: infinito» disse Jace con un sorriso amaro.
«Questa l'hai copiata da William Blake.»
Il sorriso di Jace si addolcì un po'. «Non pensavo che l'avresti riconosciuta. Non hai l'aria di una che legge molta poesia.»
«Se le porte della percezione fossero ripulite, tutto apparirebbe all'uomo come realmente è: infinito» recitò Clary. «Questi versi li conoscono tutti, grazie ai Doors.»
Jace le rivolse uno sguardo inespressivo.
«I Doors. Erano un gruppo rock» spiegò Clary.
«Se lo dici tu.»
«Immagino tu non abbia molto tempo per ascoltare musica» disse Clary pensando a Simon, per cui la musica era tutta la vita. «Con il tuo lavoro e tutto quanto...»
Lui alzò le spalle. «Soltanto qualche lamento di dannati di tanto in tanto.»
Clary lo guardò immediatamente per capire se scherzasse, ma l'espressione di Jace era impenetrabile. «Ieri però all'Istituto stavi suonando il piano...»
La carrozza fece un altro salto. Clary si afferrò al bordo del sedile e guardò fuori: stavano passando sopra a un autobus. Da quel punto vedeva i piani superiori dei vecchi palazzi che costeggiavano il viale, decorati con elaborati doccioni e bassorilievi.
«Stavo solo strimpellando» disse Jace senza guardarla. «Mio padre ha voluto che imparassi a suonare uno strumento.»
«Doveva essere uno severo, tuo padre.»
Il tono di Jace si fece secco. «Per niente. Mi viziava. Mi ha insegnato di tutto: uso delle armi, demonologia, scienze arcane, lingue antiche. Mi dava tutto quello che volevo. Cavalli, armi, libri, anche un falco da caccia.»
Ma le armi e i libri non sono esattamente quello che la maggior parte dei bambini vuole per Natale, pensò Clary mentre la carrozza toccava di nuovo l'asfalto. «Perché non hai detto a Hodge che conoscevi gli uomini che erano con Luke?» gli chiese. «E che sapevi che erano quelli che uccisero tuo padre?»
Jace si guardò le mani. Erano mani affusolate e agili, le mani di un artista, non di un guerriero. L'anello che aveva già notato in precedenza lampeggiò al suo dito. Aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di femminile, in un ragazzo che porta un anello, ma non era così. Era un anello massiccio e dall'aspetto pesante, di un argento scuro, come brunito, con delle stelle incise tutt'attorno a una lettera, la W. «Perché se lo avessi fatto» rispose Jace «ora saprebbe che voglio uccidere Valentine. E non mi permetterebbe mai di provarci.»
«Vuoi dire che vuoi ucciderlo per vendicarti?»
«Per fare giustizia» la corresse Jace. «Non ho mai saputo che avesse ucciso mio padre. Ora lo so. È la mia occasione di pareggiare i conti.»
Clary non capiva come uccidere una persona potesse pareggiare la morte di un'altra, ma sentì che dirlo non sarebbe servito a nulla. «Ma tu sapevi chi l'ha ucciso» disse invece. «Sono stati quegli uomini. Hai detto che...»
Jace non la stava guardando, così Clary lasciò che la sua voce sfumasse. Stavano attraversando Astor Place, evitando per un soffio un tram viola della New York University. I pedoni di passaggio sembravano schiacciati al suolo dall'umidità come insetti infilzati in una bacheca. Gruppi di senzatetto se ne stavano attorno al basamento di una grande statua di ottone, di fronte dei cartelli di cartone con le loro richieste di elemosina. Clary vide una ragazza all'incirca della sua età con la testa completamente rasata, appoggiata a un ragazzo con la pelle scura, i capelli da rasta e la faccia adorna di decine di piercing. Il ragazzo si voltò al passaggio della carrozza, come se potesse vederla, e Clary colse un luccichio nel suo sguardo. Uno dei suoi occhi era spento, come se non avesse la pupilla.
«Avevo dieci anni» disse Jace. Clary si voltò a guardarlo. Era privo di espressione. Quando parlava di suo padre sembrava che il colore gli fuggisse via dal volto. «Vivevamo in una tenuta in campagna. Mio padre diceva sempre che era più sicuro starsene lontani dalla gente. Li sentii arrivare nel vialetto e andai a dirglielo. Lui mi disse di nascondermi e io mi nascosi. Sotto le scale. Vidi quegli uomini entrare. Con loro c'erano altri. Non uomini. Guerrieri Dimenticati. Sconfissero mio padre e gli tagliarono la gola. Il sangue schizzò sul muro alle sue spalle. Disegnò una specie di ventaglio. Ricordo che pensai proprio così.»
Clary ci mise un istante a capire che aveva finito di parlare, e un altro istante a trovare la voce. «Mi dispiace, Jace.»
Gli occhi del ragazzo brillavano nel buio. «Non capisco perché i mondani si scusino sempre per cose delle quali non hanno colpa.»
«Non mi sto scusando. È solo un modo per... per esserti vicina. Per dire che mi dispiace che tu sia infelice.»
«Non sono infelice» disse lui. «Solo le persone che non hanno uno scopo sono infelici. Io ce l'ho.»
«Vuoi dire uccidere demoni o vendicare la morte di tuo padre?» chiese Clary.
«Entrambe le cose.»
«Pensi che tuo padre vorrebbe davvero che tu uccidessi quei due? Per vendetta? Sono esseri umani, non demoni.»
«Un Cacciatore che uccide uno dei suoi fratelli è peggio di un demone e deve essere abbattuto come si fa coi demoni» disse Jace. Sembrava stesse citando un manuale a memoria.
«Ma i demoni sono tutti cattivi?» chiese lei. «Voglio dire, se non tutti i vampiri sono cattivi, e nemmeno tutti i lupi mannari, forse...»
Jace si voltò verso di lei con un'espressione esasperata. «Non è affatto la stessa cosa. I vampiri, i lupi mannari e gli stregoni sono in parte umani. Fanno parte di questo mondo, ci sono nati. Vi appartengono. I demoni invece arrivano da altri mondi. Sono parassiti interdimensionali. Arrivano in un mondo e lo consumano. Non sanno costruire, solo distruggere... Non sanno creare, solo usare. Prosciugano un posto fino a ridurlo in cenere, e quando è morto passano a quello successivo. È la vita, quello che vogliono... non solo la tua o la mia, ma tutta la vita di questo mondo, i suoi fiumi, le sue città, i suoi oceani, tutto. E l'unica cosa che si frappone tra loro e la distruzione di tutto questo...» Indicò il finestrino della carrozza, muovendo la mano come a indicare tutto ciò che la città conteneva, dai grattacieli del centro agli ingorghi stradali di Houston Street «... sono i Nephilim.»
«Oh» disse Clary. Non sembrava esserci molto altro da aggiungere.
«Quanti mondi esistono?»
«Non lo sa nessuno. Centinaia? Milioni, forse.»
«E sono tutti... mondi morti? Consumati?» Clary sentì una stretta allo stomaco, anche se forse era solamente l'effetto del salto che la carrozza stava compiendo sopra una Mini viola. «È così triste...»
«Non ho detto questo.» La luce arancione scuro della foschia cittadina entrava dal finestrino, mettendo in evidenza il suo profilo affilato. «Probabilmente ci sono altri mondi vivi come il nostro. Ma solo i demoni possono viaggiare tra i mondi, forse perché sono in parte incorporei, anche se nessuno sa esattamente come. Molti stregoni ci hanno provato, ma non ha mai funzionato. Niente che appartenga alla Terra può superare le barriere tra i mondi. Se potessimo farlo» aggiunse «potremmo tentare di bloccare l'arrivo dei demoni, ma nessuno c'è mai riuscito. In effetti arrivano sempre più demoni. In passato c'erano solamente piccole invasioni e contenerle non era difficile. Ma all'incirca da quando sono nato io, i demoni che oltrepassano i confini della Terra sono sempre più numerosi. Il Conclave deve continuare a mandare Shadowhunters ovunque, e spesso non ritornano.»
«Ma se aveste la Coppa Mortale potreste crearne degli altri, giusto? Altri cacciatori di demoni?» chiese incerta Clary.
«Certo» disse Jace. «Ma sono diversi anni ormai che non l'abbiamo più, e molti di noi muoiono giovani. Così i nostri ranghi si assottigliano sempre di più.»
«Ma voi non... ehm...» Clary cercò la parola giusta. «... non vi riproducete?»
Jace scoppiò a ridere, proprio mentre la carrozza svoltava bruscamente a sinistra. Il ragazzo riuscì ad afferrarsi al sedile, ma Clary fu sbalzata contro di lui. Jace la afferrò. Le sue mani la tenevano delicatamente ma saldamente. Lei, prima di ritrarsi, sentì la pressione fredda del suo anello come una scheggia di ghiaccio sulla propria pelle sudata. «Certo» disse Jace. «Ci piace un sacco riprodurci. È una delle nostre attività preferite.»
Clary si allontanò da lui con il volto in fiamme. «Sono contenta per voi» borbottò, voltandosi a guardare fuori dal finestrino. Stavano passando sotto un massiccio ponte di ferro battuto.
«Eccoci» annunciò Jace, mentre il frusciò regolare delle ruote sull'asfalto cedeva il passo ai sobbalzi dell'acciottolato. Clary intravide delle parole scritte sull'arco sotto il quale stavano passando: CIMITERO MONUMENTALE DI NEW YORK CITY.
«Ma non ci sono cimiteri, a New York» disse. Stavano percorrendo un vicolo stretto fra due alte pareti di pietra. «Hanno smesso di seppellire la gente qui un secolo fa perché non c'era più spazio.»
«La Città di Ossa si trova qui da molto più tempo.» La carrozza si fermò all'improvviso. Clary fece un salto, quando Jace allungò una mano, ma vide che si stava solo sporgendo per aprire lo sportello dal suo lato. Il braccio di Jace era muscoloso e coperto da peli dorati leggeri come polline.
«Non si può scegliere, vero?» gli chiese all'improvviso. «Se essere un Cacciatore, dico. Non si può rifiutare?»

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