Capitolo 18 (2^parte)

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«No» disse Clary, stupendo se stessa. «Mia mamma voleva che la trovassi io. Non Valentine e nemmeno loro.» Non era dai mostri che si nascondeva, le aveva detto Magnus. «Se davvero ha passato tutta la sua vita a cercare di tenere Valentine lontano da quella cosa, questo è il meno che io possa fare.»
Hodge le sorrise. «Credo che sapesse che avresti detto questo.»
«E comunque non preoccuparti» disse Isabelle. «Andrà tutto bene. Possiamo gestire tranquillamente un paio di Dimenticati. Sono pazzi, ma non sono molto intelligenti.»
«E sono molto più facili da affrontare rispetto ai demoni» disse Jace. «Meno problematici. Ah, ci servirà un'auto» aggiunse. «Preferibilmente bella grossa.»
«Perché?» chiese Isabelle. «Non abbiamo mai avuto bisogno di un'auto finora.»
«Finora non abbiamo mai dovuto preoccuparci di trasportare un oggetto di valore inestimabile. Non voglio portarmi dietro la Coppa sulla linea L della metropolitana» spiegò Jace.
«Ci sono i taxi» suggerì Isabelle. «E i furgoni a noleggio.»
Jace scosse il capo. «Voglio un ambiente che possiamo controllare. Non voglio avere a che fare con tassisti o autonoleggi mondani per una faccenda così importante.»
«Tu non hai la patente e la macchina?» chiese Alec a Clary, guardandola con malcelato disgusto. «Credevo che tutti i mondani le avessero.»
«Non se hanno quindici anni» rispose scontrosa Clary. «Dovrei prendere la patente l'anno prossimo, ma per ora niente.»
«Sei proprio una palla al piede.»
«Almeno i miei amici sanno guidare» sbottò lei. «Simon ha la patente.» Si pentì immediatamente di averlo detto.
«Ah, davvero?» disse Jace con un'espressione pericolosamente meditabonda.
«Però non ha la macchina» aggiunse subito Clary.
«Quindi usa quella dei suoi genitori?» chiese Jace.
Clary sospirò e si appoggiò alla scrivania. «No. Di solito usa il furgone di Eric. Per i concerti eccetera. A volte Eric glielo presta, tipo se deve uscire con una.»
Jace sbuffò. «Va a prendere le ragazze con un furgone? Non c'è da meravigliarsi che abbia tanto successo con le signore.»
«È soltanto un'auto» disse Clary. «Tu sei arrabbiato perché Simon ha qualcosa che tu non hai.»
«Ha molte cose che io non ho» disse Jace. «Tipo la miopia, una postura penosa e un'incredibile mancanza di coordinazione.»
«Lo sai» disse Clary «che secondo molti psicologi l'ostilità è in realtà attrazione sessuale sublimata?»
«Ah!» disse Jace tutto allegro. «Questo potrebbe spiegare perché mi capita così spesso di incontrare delle persone che mi detestano.» «Io non ti detesto» disse subito Alec.
«È perché noi abbiamo un rapporto fraterno» rispose Jace avvicinandosi alla scrivania. Prese il telefono rosso e lo passò a Clary. «Chiama.»
«Chiama chi?» chiese Clary cercando di guadagnare un po' di tempo.
«Eric? Non mi presterebbe mai il suo furgone.»
«Simon» disse Jace. «Chiama Simon e chiedigli se ci porta in auto a casa tua.»
Clary fece un ultimo tentativo. «Non conoscete nessun Cacciatore adulto che abbia la macchina?»
«A New York?» il sogghigno di Jace scomparve. «Senti, qualsiasi Cacciatore adulto ci farebbe consegnare la Coppa al Conclave nel momento stesso in cui dovessimo metterci sopra le mani. È questo che vuoi?»
I loro sguardi si incrociarono per un istante. In quelli di lui c'era un'espressione di sfida, e anche qualcos'altro, come se la stesse provocando perché spiegasse la propria esitazione. Clary gli strappò il telefono di mano con una smorfia.
Non dovette pensare prima di comporre il numero. Il numero di Simon le era familiare quanto il proprio. Si preparò a parlare con sua madre o con una delle sue sorelle, ma fu lui a rispondere al secondo squillo. «Pronto?» «Simon?»
Silenzio.
Jace la stava guardando. Clary chiuse gli occhi e cercò di fare finta che lui non fosse lì. «Sono io» disse. «Clary.»
«Lo so chi sei.» Simon sembrava infastidito. «Stavo dormendo.»
«Lo so. È presto. Scusa.» Si fece rigirare il filo del telefono attorno alle dita. «Ti devo chiedere un favore.»
Vi fu un altro lungo silenzio prima che lui scoppiasse in una risata amara. «Stai scherzando, vero?»
«No» disse lei. «Sappiamo dov'è la Coppa Mortale e siamo pronti ad andare a prenderla. L'unica cosa che ci manca è un'auto.»
Simon rise un'altra volta. «Scusa, mi stai dicendo che i tuoi amici ammazzademoni hanno bisogno che mia mamma li accompagni in macchina al loro prossimo appuntamento con le forze delle tenebre?»
«In realtà pensavo che potresti chiedere a Eric di prestarti il furgone.» «Clary, se pensi che io...»
«Se prendiamo la Coppa Mortale avrò una possibilità di riavere mia mamma. È l'unico motivo per cui Valentine non l'ha ancora uccisa né liberata.»
Simon emise un lungo e rumoroso sospiro. «Credi che sarà così facile fare uno scambio? Clary, non lo so...»
«Non lo so neanche io. So solo che è una possibilità.»
«Questa cosa è potente, giusto? Nei giochi di ruolo di solito è meglio lasciar stare gli oggetti potenti finché non sai cosa fanno.»
«Io non voglio farci nulla. Voglio solo usarla per riavere mia mamma.»
«Questo non ha senso, Clary.»
«Questo non è un gioco di ruolo, Simon!» disse quasi urlando. «Non è un giochetto in cui la cosa peggiore che può capitare è fare un tiro sfortunato con i dadi. È di mia mamma che stiamo parlando, e Valentine forse la sta torturando e potrebbe ucciderla. Io devo fare qualsiasi cosa per liberarla... proprio come ho fatto con te.»
Pausa. «Forse hai ragione... non lo so, questo non è il mio mondo. Senti, dove dobbiamo andare di preciso? Così posso dirlo a Eric.» «Non portarlo!» disse subito Clary.
«Lo so» rispose lui con un tono esasperatamente paziente. «Non sono un idiota.»
«Andiamo a casa mia. È lì.»
Vi fu un breve silenzio, questa volta causato dallo stupore. «A casa tua? Pensavo che casa tua fosse piena di zombi.»
«Guerrieri Dimenticati» lo corresse lei. «Non sono zombi. E comunque se ne possono occupare Jace e gli altri mentre io prendo la Coppa.»
«Perché devi essere tu a prenderla?» Simon sembrava preoccupato.
«Perché sono l'unica che può farlo» disse Clary. «Vieni a prenderci all'angolo appena puoi.»
Simon borbottò qualcosa che lei non sentì e poi, più forte: «Va bene.»
Clary riaprì gli occhi. Il mondo le nuotava davanti in una foschia di lacrime. «Grazie, Simon» disse. «Sei un...» Ma lui aveva messo giù.

«Stavo pensando» disse Hodge «che i dilemmi del potere sono sorprendentemente coerenti.»
Clary lo guardò di traverso. «In che senso?»
La ragazza era seduta sotto la finestra della biblioteca, Hodge sulla sua sedia, con Hugo sul bracciolo. I resti della colazione - marmellata, briciole di pane tostato e macchie di burro - tenevano compagnia a una pila di piatti sul tavolino che nessuno sembrava intenzionato a sgomberare. Dopo la colazione si erano separati per prepararsi, e Clary era stata la prima a tornare. Non c'era da stupirsene, considerando che tutto ciò che aveva dovuto fare era stato infilarsi i jeans e una maglietta e darsi una spazzolata ai capelli, mentre tutti gli altri avevano dovuto armarsi pesantemente.
«Stavo pensando al tuo Simon» disse Hodge «e ad Alec e Jace, tra gli altri.»
Clary guardò fuori dalla finestra. Stava piovendo ancora, grosse gocce che picchiettavano contro i vetri. Il cielo era di un grigio impenetrabile.
«Cosa c'entrano?»
«Dove c'è un sentimento non ricambiato» disse Hodge «c'è uno squilibrio di potere. È uno squilibrio facile da sfruttare, ma non è saggio farlo.
Dove c'è amore, spesso c'è anche odio. Possono esistere fianco a fianco.»
«Simon non mi odia.»
«Ma potrebbe arrivare a farlo, se sentisse che lo stai usando.» Hodge sollevò una mano. «Lo so che non ne hai intenzione e che in alcuni casi i fini giustificano i mezzi, ma questa situazione me ne ha fatta ricordare un'altra. Hai ancora la fotografia che ti ho dato?»
Clary scosse il capo. «Non qui. È in camera mia. Posso andare a...»
«Non è necessario.» Hodge accarezzò le penne di ebano di Hugo. «Quando era giovane, tua madre aveva un migliore amico, proprio come adesso tu hai Simon. Erano vicini come fratello e sorella. In effetti molti pensavano che lo fossero. Quando crebbero tutti coloro che li conoscevano capirono che lui era innamorato di lei, ma lei non se ne accorse mai. Per lei era sempre e solo un amico.»
Clary stava fissando Hodge. «Stai parlando di Luke?»
«Sì» disse Hodge. «Lucian ha sempre pensato che lui e Jocelyn si sarebbero messi insieme. Quando lei incontrò Valentine e se ne innamorò, lui non riuscì a sopportarlo. Dopo che si furono sposati, lasciò il Circolo e sparì... lasciando credere a tutti noi che fosse morto.»
Clary ricordò con dolorosa chiarezza l'arrivo di Luke a casa loro, fradicio di pioggia e con la sua borsa verde ai piedi, e la voce incredula di sua madre, Pensavo che fossi morto.
Clary aveva sempre liquidato quella frase come una battuta rivolta a una persona che sua madre non vedeva da molto tempo, ma Jocelyn intendeva esattamente quello che aveva detto. Vedere Luke in quel modo, come il fantasma di un marinaio annegato che sorgeva dalle acque tenebrose, dovette essere uno shock bellissimo e terribile insieme. Clary cercò di immaginare come si sarebbe sentita se Simon fosse morto... era impensabile, sarebbe stato come se le avessero strappato una gamba... e poi la gioia che avrebbe provato se fosse tornato. La stessa gioia che doveva avere riempito il cuore di sua madre quando aveva visto Luke.
«Lui non ha mai detto... non ha mai nemmeno accennato a niente del genere» disse Clary. «In tutti questi anni, avrebbe potuto chiederle...»
«Sapeva quale sarebbe stata la risposta» disse Hodge guardando al di là della ragazza, verso il lucernario bagnato dalla pioggia. «Lucian non è mai stato il genere di uomo che si fa false illusioni. No, si accontentava di starle vicino... pensando che forse, nel corso del tempo, i sentimenti di Jocelyn potessero cambiare.»
«Ma se l'amava, perché ha detto a quegli uomini che non gli importava di quello che le sarebbe successo? Perché non ha voluto che gli dicessero dov'era?»
«Come ho già detto, dove c'è amore c'è anche odio» spiegò Hodge. «Tanti anni fa lei gli fece molto male. Gli voltò le spalle. Eppure lui da allora ha sempre giocato a fare il suo cagnolino da compagnia senza mai lamentarsi, senza mai fare accuse, senza mai metterla di fronte ai propri sentimenti. Forse un giorno ha visto una possibilità di cambiare le carte in tavola. Di farla soffrire come aveva sofferto lui.»
«Luke non farebbe mai una cosa del genere.» Ma Clary ripensò al tono gelido con cui le aveva detto di stare lontana da lui, di non chiamarlo mai più. Rivide il suo sguardo duro, quando aveva affrontato gli uomini di Valentine. Quello non era il Luke che lei conosceva, il Luke con cui era cresciuta. Quel Luke non avrebbe mai voluto punire sua madre per non averlo amato abbastanza o nel modo giusto. «Ma lei lo amava» disse Clary senza rendersi conto di parlare ad alta voce. «Solo che non era lo stesso tipo di amore che provava lui. Non è sufficiente?»
«Forse lui pensava di no.» Hodge si mise a rovistare sulla scrivania. «E poi è tutta una congettura. Puoi benissimo pensare che sia infondata.»

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