Capitolo 20 (2^parte)

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Le mascelle del lupo si chiusero sulla sua gamba e la strattonarono all'indietro. Poco prima che la sua testa colpisse l'asfalto e lei sprofondasse nell'oscurità, Clary scoprì che in fondo ai polmoni aveva abbastanza aria per urlare.

Fu svegliata dallo sgocciolio dell'acqua. Clary aprì molto lentamente gli occhi. Non c'era molto da vedere. Era stesa su una branda piazzata in una stanzetta dalle pareti sporche. C'era un tavolo dall'aria poco stabile accostato a una parete e, sopra, un candeliere d'ottone da quattro soldi con una grossa candela rossa da cui proveniva l'unica luce della stanza. Il soffitto era pieno di crepe e di chiazze d'umidità, che penetrava tra le fessure nella pietra. Clary provò la vaga sensazione che a quella stanza mancasse qualcosa, ma quel pensiero fu sopraffatto dal forte odore di cane bagnato.
Scattò immediatamente a sedere e subito desiderò di non averlo fatto. Un dolore rovente le trafisse la testa come uno spillone, seguito da un'ondata di nausea. Se avesse avuto qualcosa nello stomaco, lo avrebbe vomitato.
Sopra la branda era appeso uno specchio, che penzolava da un chiodo infilato tra due pietre. Gli diede un'occhiata e restò sbalordita. Non c'era da stupirsi se le faceva male la faccia: aveva dei lunghi graffi paralleli che correvano dall'angolo dell'occhio destro al bordo della bocca. La guancia destra era incrostata di sangue, come anche il collo e il davanti della camicia e della giacca. In preda a un improvviso attacco di panico, portò una mano alla tasca e si rilassò. Lo stilo c'era ancora.
Fu a quel punto che capì cosa c'era di strano in quella stanza. Una parete era fatta di sbarre: pesanti sbarre di ferro che andavano dal pavimento al soffitto. Era in una cella.
Si alzò in piedi barcollando, con l'adrenalina che le correva nelle vene. Ebbe un capogiro e si aggrappò al tavolo per non cadere. Non devo svenire, si disse. E poi sentì dei passi.
Qualcuno stava arrivando dal corridoio che portava alla cella. Erano passi distanti ma si avvicinavano in fretta. Clary arretrò contro il tavolo e portò la mano alla cintura per cercare lo stilo.
Era un uomo. Portava in mano una lampada. La luce era più intensa di quella della candela: le fece sbattere le palpebre e trasformò il nuovo arrivato in un'ombra in controluce. Vide una figura alta, con le spalle squadrate e i capelli ispidi: fu solo quando aprì la porta della cella ed entrò che Clary capì chi era.
Il pugnale le scivolò di mano. Cadde sul pavimento con la punta verso il basso e si incastrò in quella posizione, vibrando un po'. «Luke?»
Lui annuì senza parlare. Sembrava lo stesso di sempre: jeans consumati, camicia sportiva e scarponi da lavoro, gli stessi capelli tagliati come veniva, gli stessi occhiali abbassati sulla punta del naso. Le cicatrici che, l'ultima volta che lo vide, aveva notato ai lati della sua gola, ora erano strisce di pelle lucida in via di guarigione.
Fu troppo per Clary. La stanchezza, la mancanza di sonno e di cibo, il terrore e la perdita di sangue la assalirono come un'ondata di piena. Sentì che le ginocchia le cedevano e iniziò a scivolare verso il pavimento.
Luke attraversò la stanza in men che non si dica: si mosse tanto velocemente che riuscì a prendere Clary al volo prima che toccasse terra e la sollevò come faceva quand'era piccola. La rimise giù sulla branda e fece un passo indietro, lo sguardo ansioso. «Clary?» disse allungando una mano verso di lei. «Tutto bene?»
Lei si ritrasse e sollevò le mani per allontanarlo. «Non toccarmi.»
Un'espressione profondamente addolorata attraversò il volto di Luke, che si passò una mano sulla fronte con un gesto esausto. «Immagino di essermelo meritato.»
«Sì, infatti.»
Lo sguardo di Luke era turbato. «Non mi aspetto che tu ti fidi di me...»
«Bene, perché non mi fido per niente di te.»
«Clary...» Luke iniziò a camminare avanti e indietro per la cella. «Quello che ho fatto... non mi aspetto che tu lo capisca. So che pensi che ti ho abbandonato...»
«Tu mi hai abbandonato» disse lei. «Mi hai detto di non chiamarti mai più. Non mi hai mai voluto bene. Non hai mai voluto bene a mia mamma.
Hai mentito su tutto.» «Non su tutto» disse lui.
«Allora ti chiami veramente Luke Garroway?»
Le spalle di Luke si abbassarono un po'. «No» disse, poi ebbe un piccolo sobbalzo e guardò in basso. Una chiazza rosso scuro si stava allargando sul davanti della sua camicia. Luke imprecò.
Clary si mise a sedere. «Ma quello è sangue?» chiese, dimenticando per un istante di essere arrabbiata con lui.
«Sì» disse Luke stringendosi un fianco con le mani. «Quando ti ho sollevato mi si dev'essere riaperta la ferita.»
«Quale ferita?» non poté fare a meno di chiedere Clary.
«I dischi di Hodge sono affilati, anche se le sue braccia non sono più quelle di una volta. Credo che potrebbe avermi rotto una costola.»
«Hodge?» disse Clary. «Ma quando...?»
Lui la guardò senza dire nulla e lei ricordò all'improvviso il lupo nel vicolo, tutto nero, a parte quell'unica striscia grigia sul fianco, e ricordò il disco che lo aveva colpito e capì.
«Tu sei un licantropo?»
Luke allontanò la mano dalla camicia: le sue dita erano sporche di sangue. «Già» disse laconico. Si avvicinò alla parete e le diede qualche leggero colpetto: uno, due, tre. Poi si volto verso di lei: «Sono un licantropo.» «Hai ucciso Hodge» disse lei.
«No.» Luke scosse il capo. «Gli ho fatto parecchio male, credo, ma quando sono tornato a cercare il suo corpo, non c'era più. Deve essersi trascinato via.»
«Gli hai morso la gola» disse Clary. «L'ho visto.»
«Sì. Anche se varrebbe la pena di menzionare il fatto che in quel momento stava cercando di ucciderti. Ha fatto del male a qualcun altro?»
Clary si morse un labbro. Sentì il sapore del sangue, ma era vecchio sangue di quando era stata attaccata da Hugo. «Jace» sussurrò. «Hodge lo ha fatto svenire e lo ha consegnato a... Valentine.»
«A Valentine?» disse Luke con un'espressione sbalordita. «Sapevo che Hodge ha dato a Valentine la Coppa Mortale, ma non avevo capito...»
«Come facevi a saperlo?» iniziò a dire Clary, ma poi ricordò. «Mi hai sentita parlare con Hodge nel vicolo prima di saltargli addosso.»
«Gli sono saltato addosso, come dici tu, perché stava per staccarti la testa» disse Luke, poi si voltò a guardare la porta della cella che si apriva di nuovo. Un tizio alto entrò, seguito da una donna tanto minuta e delicata da sembrare una bambina. Indossavano entrambi abiti semplici e informali: jeans e camicie di cotone, e avevano tutti e due gli stessi capelli arruffati, anche se quelli della donna erano biondi e quelli dell'uomo grigi e neri come il manto di un tasso. Entrambi avevano lo stesso aspetto insieme giovane e vecchio, senza nemmeno una ruga ma con gli occhi stanchi. «Clary» disse Luke «ti presento il mio secondo e il mio terzo, Gretel e Alaric.»
Alaric chinò la testa massiccia verso la ragazza. «Ci siamo già incontrati.»
Clary lo guardò allarmata. «Davvero?»
«All'Hotel Dumort» disse lui. «Mi hai piantato un pugnale nelle costole.»
Clary arretrò contro il muro. «Io... ehm... mi dispiace.»
«No, perché?» disse lui. «È stato un ottimo lancio.» Infilò una mano nel taschino e prese il pugnale di Jace, con il suo occhio rosso. Glielo porse.
«Credo che questo sia tuo.»
Clary lo fissò. «Ma...»
«Non preoccuparti» la rassicurò lui. «Ho pulito la lama.»
Lei lo prese senza dire nulla. Luke ridacchiava sotto i baffi. «Col senno di poi» disse «forse l'intervento al Dumort non è stato progettato come avrebbe dovuto. Avevo messo un gruppo dei miei lupi a vegliare su di te, con l'ordine di seguirti se sembravi in pericolo. Quando sei entrata al Dumort...»
«Io e Jace avremmo potuto cavarcela da soli.» Clary si infilò il pugnale nella cintura.
Gretel le rivolse un sorriso paziente. «È per questo che ci ha chiamati, signore?»
«No» disse Luke. Si toccò il fianco. «La mia ferita si è aperta e Clary ha alcune ferite che avrebbero bisogno di cure. Se non vi dispiace andare a prendere quello che serve...»
Gretel annuì. «Torno subito con il kit di pronto soccorso» disse, e uscì dalla cella con Alaric che la seguiva come un'ombra troppo cresciuta.
«Ti ha chiamato "signore"» disse Clary non appena la porta della cella si fu chiusa alle loro spalle. «E cosa vuol dire che sono il tuo secondo e il tuo terzo? Secondo e terzo cosa?»
«Secondo e terzo ufficiale» disse lentamente Luke. «Io sono il comandante di questo branco di lupi. È per questo che Gretel mi ha chiamato "signore". Credimi, c'è voluto parecchio lavoro per farle perdere l'abitudine di chiamarmi "padrone".»
«Potrebbe andarti peggio» disse Clary. «Potrebbe chiamarti Lupo de
Lupis.»
«Come quello dei cartoni animati?» Luke le sorrise, ma lei non fece altrettanto. «Immagino che il fatto che tu faccia delle battute non voglia dire che mi hai perdonato.»
«Nemmeno per idea.» Prese il cuscino della branda, se lo mise dietro la schiena e vi si appoggiò contro. «Mia mamma lo sapeva?»
«Cosa?»
«Che sei un lupo mannaro.»
«Sì. Lo sa da quando è successo.»
«E naturalmente nessuno dei due ha mai pensato di dirmelo, vero?»
«Io avrei voluto dirtelo» rispose semplicemente Luke. «Ma tua madre non voleva assolutamente che tu sapessi nulla dei Cacciatori o del Mondo Invisibile. E non avrei potuto spiegarti che sono un licantropo, perché tutto rientra in un grande disegno che tua madre non voleva che tu vedessi. Non so cosa tu abbia scoperto...»
«Parecchio» disse Clary. «So che mia mamma era una Cacciatrice. So che era sposata con Valentine e che gli ha rubato la Coppa Mortale e poi si è nascosta. So che dopo avermi messa al mondo mi portava ogni anno da Magnus Bane per farmi togliere la Vista. So che quando Valentine ha provato a farti dire dove fosse la Coppa in cambio della vita di mia mamma, tu gli hai detto che non te ne importava nulla.»
Luke avevo lo sguardo fisso sulla parete. «Non sapevo dove fosse la
Coppa» disse. «Jocelyn non me l'ha mai detto.»
«Avresti potuto provare a trattare...»
«Valentine non tratta. Non lo ha mai fatto. Se non è in una posizione di vantaggio, non inizia nemmeno a giocare. È determinatissimo e del tutto privo di compassione, e anche se un tempo forse amava tua madre, non esiterebbe a ucciderla. No, non potevo trattare con Valentine.»
«E allora hai semplicemente deciso di abbandonarla?» chiese Clary furente. «Sei il comandante di un branco di lupi mannari e hai deciso che lei non aveva bisogno del tuo aiuto? Sai, era già brutto quando pensavo che tu fossi un Cacciatore e le avessi voltato le spalle per uno di quegli stupidi voti da Cacciatore o qualcosa del genere, ma adesso so che sei soltanto un viscido Nascosto a cui non importa neppure il fatto che in tutti questi anni lei ti abbia trattato come un amico... come un suo pari... ed è così che la ripaghi!»
«Ma sentiti» disse Luke tranquillamente. «Parli già come una Lightwood.»
Clary socchiuse gli occhi. «Non parlare di Alec e Isabelle come se li conoscessi.»
«Parlavo dei loro genitori» disse Luke. «Che conoscevo molto bene, quando eravamo tutti quanti Shadowhunters.»
Clary sentì che le labbra le si dischiudevano per la sorpresa. «So che eravate tutti nel Circolo... Ma come hai fatto a non fargli scoprire che eri un licantropo? Non lo sapevano?»
«No» disse Luke. «Perché io non sono nato così. Lo sono diventato. E a quanto ho capito, se voglio convincerti ad ascoltare quello che ho da dire, dovrò raccontarti la mia storia sin dall'inizio. È una lunga storia, ma credo che abbiamo abbastanza tempo.»

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