Capitolo 21 (2^parte)

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Jocelyn cercò di scoprire cosa avesse intenzione di fare Valentine con la Coppa, ma non ci riuscì. Scoprì però che il Circolo progettava di attaccare i Nascosti disarmati e massacrarli tutti nella Sala. Dopo un macello tanto brutale, gli Accordi sarebbero saltati.
Incredibilmente, e nonostante il caos, quelli furono dei giorni felici. Io e Jocelyn mandammo di nascosto dei messaggi alle fate, agli stregoni e persino ai più antichi nemici dei licantropi, i vampiri, per avvisarli dei piani di Valentine e chiedere loro di essere pronti a dare battaglia. Lavorammo insieme, licantropo e Nephilim.
Il giorno degli Accordi, io guardai da un punto nascosto Jocelyn e Valentine che lasciavano la loro tenuta. Ricordo come lei si chinò, avvolta in uno scialle dorato e rosso, a baciare la testa biondissima di suo figlio. Ricordo come il sole illuminava i capelli di Jocelyn. Ricordo il suo sorriso.
Andarono ad Alicante in carrozza. Io li seguii a quattro zampe e il mio branco corse con me. La grande Sala dell'Angelo era affollata: c'erano il Conclave al gran completo e numerosissimi Nascosti. Quando vennero presentati gli Accordi per la firma, Valentine si alzò in piedi e il Circolo si alzò con lui, liberandosi dei mantelli per sollevare le armi. Mentre nella Sala esplodeva il caos, Jocelyn corse verso le grandi porte e le spalancò.
Il mio branco fu il primo a raggiungere la porta. Irrompemmo nella Sala lacerando la notte con i nostri ululati, seguiti dai cavalieri delle fate con armi di vetro e spine ritorte. Dopo di loro entrarono i Figli della Notte con le zanne scoperte e gli stregoni armati di ferro e fuoco. Mentre la folla in preda al panico lasciava la Sala, noi ci lanciammo sui membri del Circolo.
La Sala dell'Angelo non aveva mai visto un tale spargimento di sangue. Cercammo di non fare del male ai Cacciatori che non facevano parte del Circolo: Jocelyn li marchiò uno a uno con un incantesimo da stregoni. Ma molti morirono, e temo che la colpa di alcune di queste morti fu nostra. Sta di fatto che in seguito ci incolparono di molte di esse. Per quanto riguarda il Circolo, i suoi membri erano molto più numerosi di quanto avessimo immaginato e lottarono valorosamente contro i Nascosti. Io fendetti la folla alla ricerca di Valentine. Il mio unico pensiero era lui. Volevo essere io a ucciderlo. Alla fine lo trovai accanto alla grande statua dell'Angelo che uccideva un cavaliere delle fate con un colpo del suo pugnale insanguinato. Quando mi vide, sorrise, feroce e ferino. «Un lupo mannaro che combatte con spada e pugnale» disse «è innaturale come un cane che mangia con forchetta e coltello.»
«Conosci la spada, conosci il pugnale» replicai io «e sai chi sono. Se ti devi rivolgere a me, usa il mio nome.»
«Non conosco il nome dei mezzosangue» disse Valentine. «Una volta avevo un amico, un uomo d'onore che sarebbe morto piuttosto che permettere che il suo sangue venisse inquinato. Ora ho di fronte un mostro senza nome con il suo volto.» Sollevò la sua arma. «Avrei dovuto ucciderti quando era il momento» urlò mentre si lanciava contro di me.
Parai il colpo e combattemmo su e giù per il palco, mentre la battaglia ci infuriava attorno e i membri del Circolo cadevano uno a uno. Vidi i Lightwood gettare le armi e scappare, mentre Hodge se l'era data a gambe già da un pezzo. E vidi Jocelyn che correva su per le scale, verso di me, il volto trasformato in una maschera di terrore. «Valentine, fermati!» urlò. «È Luke, il tuo amico, il tuo fratello di sangue...»
Valentine la afferrò con un ringhio e se la strinse al petto portandole il coltello alla gola. Io arretrai. Se non avessi avuto i riflessi di un animale, più veloci di quelli di un uomo, sarebbe morta in quel momento. Lasciai cadere la spada. Non volevo rischiare che le facesse del male. Lui lo capì. «L'hai sempre voluta» sibilò. «E adesso voi due avete complottato insieme per tradirmi. Vi pentirete di quello che avete fatto finché avrete vita.» Finché non lo disse Valentine, non avevo capito che cosa provavo per lei. Lui lo aveva capito prima di me.
Valentine strappò il ciondolo dalla gola di Jocelyn e me lo lanciò. La catenella d'argento mi bruciò come una frusta. Urlai e arretrai e in quel momento lui svanì in mezzo alla mischia, trascinando con sé Jocelyn. Lo seguii, ustionato e sanguinante, ma era troppo veloce, si faceva strada a colpi di spada attraverso la folla e passava sopra ai cadaveri.
Uscii barcollando alla luce della luna. La Sala stava bruciando e il cielo era illuminato dalle fiamme. Potevo vedere tutto, dai prati verdi della capitale al fiume scuro, e la strada lungo gli argini dove tutti stavano fuggendo nella notte. Alla fine trovai Jocelyn sulla riva del fiume. Valentine era scomparso e lei era terrorizzata per quello che sarebbe potuto succedere a Jonathan e voleva a tutti i costi tornare a casa. Trovammo un cavallo e lei partì al galoppo. Presi forma di lupo e mi lanciai all'inseguimento.
I lupi sono veloci, ma un cavallo riposato lo è di più. Restai indietro e lei arrivò alla tenuta prima di me.
Mentre mi avvicinavo alla casa, capii che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato. Anche qui l'odore del fuoco appesantiva l'aria e c'era qualcos'altro che gli si sovrapponeva, qualcosa di denso e dolce... il fetore della magia demoniaca. Ripresi forma umana, mentre zoppicavo per il lungo viale d'ingresso, bianco alla luce della luna, come un fiume d'argento che portava... a delle rovine. La casa padronale era stata ridotta in cenere, strati su strati di leggerissima polvere bianca dispersa sui prati dalla brezza notturna. Solo le fondamenta erano ancora visibili, come ossa bruciate: qui una finestra, là un comignolo inclinato... ma la sostanza della casa, i mattoni e la malta, i libri inestimabili e gli antichi arazzi tramandati da generazioni di Shadowhunters, erano cenere che volava sotto la luna.
Valentine aveva distrutto la casa con il fuoco demoniaco. Deve essere andata così. Nessun fuoco di questo mondo è tanto caldo e si lascia dietro di sé così poco.
Io avanzai tra le rovine ancora fumanti. Trovai Jocelyn inginocchiata su quelli che forse erano stati i gradini dell'ingresso. Erano anneriti dal fuoco. E... c'erano delle ossa. Ossa carbonizzate, indubbiamente umane, con dei brandelli di stoffa qua e là e pezzi di gioielli che il fuoco non aveva reclamato. Dei fili rossi e dorati erano ancora attaccati alle ossa della madre di Jocelyn, e il calore aveva fuso il pugnale della donna alla sua mano scheletrita. In mezzo a un'altra pila di ossa, scintillava l'amuleto d'argento di Valentine, con lo stemma del Circolo ancora incandescente... E in mezzo ai suoi resti, sparse come se fossero state troppo fragili per restare attaccate, c'erano le ossa di un bambino, un bambino piccolo...
Vi pentirete di quello che avete fatto, aveva detto Valentine. E mentre mi inginocchiavo accanto a Jocelyn sulle pietre bruciate del pavimento, seppi che aveva ragione. Me ne pentii, e da quel giorno me ne sono sempre pentito.
Tornammo in città quella notte, tra i fuochi ancora accesi e la folla urlante, e poi ci allontanammo nel buio delle campagne. Passò una settimana prima che Jocelyn tornasse a parlare. La portai fuori da Idris. Volammo a Parigi. Non avevamo soldi, ma lei rifiutò di andare all'Istituto di quella città e chiedere aiuto. Non voleva più avere a che fare con i Cacciatori, mi disse, e nemmeno con il Mondo Invisibile.
Ci sedemmo nella minuscola stanza d'albergo che avevamo preso in affitto e cercai di farla ragionare, ma non servì a nulla. Era ostinata. Almeno mi disse il perché: portava dentro di sé un altro bambino e lo sapeva da settimane. Si sarebbe costruita una nuova vita per sé e il suo piccolo e in futuro non voleva più sentir parlare né di Conclave né di Alleanza. Mi mostrò l'amuleto che aveva preso dalle ossa di Valentine: lo vendette al mercato delle pulci di Clignancourt e con quei soldi comprò un biglietto aereo. Non volle dirmi dove era diretta. Più lontano fosse riuscita ad andare da Idris, mi disse, meglio sarebbe stato.
Sapevo che lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita per lei voleva dire lasciarsi alle spalle anche me, e cercai di convincerla a non farlo, ma non servì. Sapevo che se non fosse stato per il figlio che portava in grembo si sarebbe tolta la vita, e dato che saperla in mezzo ai mondani era sempre meglio che saperla morta, alla fine accettai controvoglia il suo piano. E fu così che la salutai all'aeroporto di Orly. Eravamo come bambini sbalorditi, circondati da tutto quell'acciaio e quel vetro. Gli aeroplani che sibilavano sopra le nostre teste come demoni alati mi fecero rabbrividire mentre mi chinavo a baciarle una guancia.
Dopo che se ne fu andata, io tornai al mio branco, ma non trovai più pace. C'era già un vuoto doloroso dentro di me, e mi svegliavo sempre con il suo nome sulle labbra: Jocelyn, Jocelyn. Non ero più il capobranco che ero stato, e lo sapevo benissimo. Ero giusto ed equo, ma distante. Tra i lupi non riuscivo a trovare né amici né una compagna. Ero troppo umano... troppo Cacciatore... per trovare pace tra i licantropi. Cacciavo, ma la caccia non mi dava soddisfazione, e quando alla fine giunse il momento di firmare gli Accordi, andai in città per farlo, pensando forse che nella capitale, dove non ero conosciuto, avrei potuto trovare requie.
Nella Sala dell'Angelo, ripulita dal sangue, i Cacciatori e i quattro rami dei semiumani si sedettero di nuovo insieme per firmare i documenti che avrebbero portato tra noi la pace. Mi sbalordì trovare lì i Lightwood, che sembravano altrettanto stupiti di vedermi ancora vivo. Mi dissero che loro, insieme a Hodge Starkweather e Michael Wayland, erano gli unici membri del Circolo a essere sfuggiti alla morte quella notte nella Sala. Michael, distrutto dal dolore per la perdita della moglie, si era rifugiato nella sua tenuta di campagna insieme al figlio. Il Conclave aveva punito gli altri tre con l'esilio: sarebbero partiti per New York, dove avrebbero gestito l'Istituto. I Lightwood, che avevano delle conoscenze tra le famiglie più in vista del Conclave, se la cavarono con una sentenza decisamente più mite di quella di Hodge. Su di lui venne scagliata una maledizione: sarebbe andato con loro ma se mai avesse lasciato la terra consacrata dell'Istituto sarebbe stato immediatamente abbattuto. Si era molto dedicato agli studi, dissero, e sarebbe stato un buon tutore per i loro figli.
«È una fortuna per lui che Valentine sia morto» dissi a Lightwood, ricordando come Hodge era fuggito dalla Sala non appena erano iniziati i combattimenti. «La sua vendetta sarebbe stata molto più severa della giustizia del Conclave.»
Vidi la mano di Robert Lightwood tremare mentre firmava gli Accordi. «Sì» disse senza convinzione. «Forse siamo stati tutti fortunati.»
Poi ricordai le ultime parole che mi aveva detto Jocelyn nella spaventosa sala d'aspetto dell'aeroporto di Parigi: Valentine non è morto. Mi alzai dalla sedia, uscii dalla Sala e scesi al fiume, dove l'avevo incontrata la notte della Rivolta. Guardando scorrere le acque scure, capii che non avrei mai potuto trovare pace nella mia patria: dovevo stare con lei o da nessun'altra parte. Decisi che l'avrei cercata.
Il mio viaggio verso New York fu molto lento. Lasciai il mio branco, nominando un altro al mio posto: credo fossero sollevati di vedermi partire, anche se finsero di essere dispiaciuti e mi caricarono di regali d'addio. Viaggiai come viaggiano i lupi senza un branco: da solo, di notte, per strade secondarie e viottoli di campagna. Tornai a Parigi, ma non vi trovai alcun indizio, poi a Londra. Da Londra presi una nave per Boston e passai una settimana a barcollare per i ponti, nauseato e in preda ai deliri. I lupi non si adattano bene ai viaggi per mare.
Restai per un po' nelle città, poi sulle Montagne Bianche del gelido nord. Viaggiai molto, ma mi ritrovai sempre più spesso a pensare a New York e ai Cacciatori esiliati in quella città. Anche Jocelyn, in un certo senso, era in esilio. Alla fine arrivai a New York con solo una borsa di tela e senza la minima idea di dove cercare tua madre. Per me sarebbe stato facile trovare un branco a cui unirmi, ma resistetti alla tentazione. Come avevo fatto in altre città, diffusi nel Mondo Invisibile la notizia che cercavo qualsiasi segno di Jocelyn, ma non trovai nulla, come se fosse semplicemente scomparsa tra i mondani senza lasciare traccia. Iniziai a disperare.
Alla fine la trovai per caso. Stavo vagando per le strade di SoHo. In Broome Street un dipinto appeso nella vetrina di una galleria d'arte catturò la mia attenzione.
Era lo studio di un paesaggio che riconobbi immediatamente: la vista dalle finestre della magione di Valentine, i prati verdi che scendevano fino alla linea di alberi che nascondeva la strada retrostante. Riconobbi il suo stile, la sua pennellata, tutto quanto. Bussai alla porta della galleria, ma era chiusa. Tornai a guardare il dipinto e questa volta vidi la firma. Era la prima volta che vedevo il suo nuovo nome: Jocelyn Fray.
La trovai quella sera stessa in un appartamento senza ascensore al quinto piano nel quartiere degli artisti, il West Village. Salii quelle scale tetre e semibuie con il cuore in gola e bussai alla sua porta. Mi aprì una bambina con le trecce rosso scuro e uno sguardo indagatore. E poi, dietro di lei, vidi Jocelyn che veniva verso di me, le mani sporche di vernice e il volto identico a come era quando eravamo bambini.
Il resto lo sai.

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