capitolo 4 (1^parte)

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capitolo 4
IL DIVORATORE

La serata si era fatta ancora più afosa e correre verso casa era come nuotare dentro una zuppa calda. All'angolo del suo isolato, Clary fu fermata da un semaforo rosso e iniziò a saltellare nervosamente da un piede all'altro mentre il traffico le sfrecciava davanti in un vortice indistinto di fanali. Cercò di chiamare ancora a casa, ma Jace aveva detto la verità: il suo telefono non era un telefono. O almeno non assomigliava a nessun telefono che Clary avesse mai visto. I pulsanti del sensore non avevano numeri, ma solo una manciata di quei simboli bizzarri, e non c'era lo schermo.
Correndo verso casa vide che le finestre del secondo piano erano accese, il che solitamente voleva dire che sua madre èra in casa. Ok, si disse. Va tutto bene. Ma il suo stomaco si strinse nel momento in cui fece il primo passo nell'ingresso. La lampadina si era bruciata e l'anticamera era al buio. Le ombre sembravano piene di movimenti segreti. Rabbrividì e fece per salire le scale.
«E tu dove pensi di andare?» disse una voce.
Clary si voltò di scatto. «Cosa...»
Si interruppe. I suoi occhi si erano abituati alla semioscurità e riuscì a distinguere la forma di una grande poltrona che era stata trascinata di fronte alla porta chiusa dell'appartamento di Madame Dorothea. La vecchietta vi era poggiata sopra come un cuscino troppo imbottito. Nella penombra Clary riusciva a vedere solo il suo volto incipriato, il ventaglio di pizzo bianco che teneva in mano e il baratro sbadigliante della sua bocca quando iniziò a parlare. «Tua madre» disse Dorothea «ha fatto un bel trambusto lassù. Cosa sta combinando? Sposta i mobili?»
«Non credo...»
«E la luce delle scale si è bruciata, lo hai notato?» Dorothea batté il ventaglio sul bracciolo della poltrona. «Tua madre non può chiamare il suo fidanzato per fargli cambiare la lampadina?»
«Luke non è...»
«E il lucernario deve essere lavato. È lurido. Non c'è da stupirsi che sia buio pesto, qua dentro.»
Luke NON è il padrone di casa, avrebbe voluto dire Clary, ma non lo fece. Era tipico della sua anziana vicina. Se fosse riuscita a far venire Luke per cambiare la lampadina, gli avrebbe chiesto un centinaio di altre cose... di andare a farle la spesa, di stuccarle la doccia. Una volta gli aveva fatto fare a pezzi un vecchio divano con un'ascia in modo che potesse farlo uscire dall'appartamento senza togliere la porta dai cardini.
Clary sospirò. «Glielo dirò.»
«Sarà meglio.» Dorothea chiuse il ventaglio di scatto, con un movimento velocissimo del polso.
La sensazione di Clary che ci fosse qualcosa che non andava peggiorò quando raggiunse la porta di casa. Non era chiusa a chiave, era socchiusa, e disegnava un cuneo di luce sul pianerottolo. Sempre più in preda al panico, Clary aprì la porta.
Dentro l'appartamento tutte le luci erano accese al massimo della potenza. Il bagliore le ferì gli occhi.
Le chiavi e la borsetta rosa di sua madre erano sulla piccola mensola di ferro battuto accanto alla porta, dove le lasciava sempre. «Mamma?» chiamò Clary. «Mamma, sono tornata.»
Nessuna risposta. «Mamma?» Entrò in salotto. Entrambe le finestre erano aperte e c'erano metri di tende di garza bianca che si gonfiavano nella brezza come fantasmi irrequieti. Quando il vento calò e le tende si sgonfiarono, Clary vide che i cuscini erano stati strappati dal divano e sparsi per tutta la stanza. Alcuni erano stati sventrati e l'imbottitura di cotone era sparsa sul pavimento. Le librerie erano state ribaltate e il loro contenuto era finito dappertutto. Lo sgabello del pianoforte era rovesciato su un lato, spalancato come una ferita da cui sgorgavano gli adorati spartiti di Jocelyn.
Ma a fare più paura di tutto erano i quadri. Erano stati tutti tagliati via dalla cornice e fatti a brandelli, che poi erano stati sparsi sul pavimento. A fare quello scempio doveva essere stato un coltello... la tela è quasi impossibile da strappare a mani nude. Le cornici vuote sembravano ossa spolpate. Clary sentì un urlo che le nasceva in gola. «Mami!» gridò. «Dove sei?
Mami!»
Non chiamava sua madre "mami" da quando aveva otto anni.
Corse in cucina col cuore che pompava adrenalina. Era deserta, gli sportelli della credenza erano aperti, una bottiglia rotta di Tabasco versava il suo liquido rosso sul linoleum. Clary si sentiva le ginocchia come borse d'acqua. Sapeva che avrebbe dovuto uscire di corsa dall'appartamento, cercare un telefono e chiamare la polizia. Ma tutte quelle cose le sembravano distanti... e prima di tutto doveva trovare sua madre, doveva sapere se stava bene. E se fossero entrati in casa dei ladri? E se lei avesse opposto resistenza?
Ma che razza di ladri non porterebbero via un portafogli, il televisore, il lettore DVD e il computer portatile?
Ora si trovava sulla porta della camera da letto di sua madre. Per un istante le sembrò che almeno questa stanza fosse rimasta intonsa. La trapunta a fiori fatta a mano da Jocelyn era ripiegata alla perfezione sopra il piumone. Il volto di Clary sorrideva dal ripiano del comodino: aveva cinque anni e un sorriso sghembo incorniciato da una chioma color fragola. Un sospiro si levò dal petto di Clary. Mamma, urlò dentro di sé, dove sei?
Le rispose il silenzio. No, non il silenzio... un rumore risuonò in tutto l'appartamento, facendole correre un brivido lungo la schiena, come di qualcosa che veniva ribaltato... un oggetto pesante che colpiva il pavimento con un colpo sordo. Il colpo fu seguito da un rumore frusciante, di qualcosa che veniva trascinato... e stava venendo verso la camera da letto. Con lo stomaco contratto per il terrore, Clary si rimise in piedi e si voltò lentamente.
Per un momento pensò che sulla porta non ci fosse nessuno e provò un'ondata di sollievo. Poi guardò più in basso.
Era accucciata sul pavimento. Una creatura lunga, coperta di scaglie, con un grappolo di occhi neri al centro del cranio tondo. Una specie di incrocio tra un coccodrillo, un millepiedi e uno scorpione. Aveva un muso tozzo e piatto e una coda uncinata che serpeggiava minacciosamente da un lato all'altro. Una serie di zampe si raccolsero sotto quell'essere mentre si preparava a scattare.
Un urlo di terrore esplose dalla gola di Clary. Barcollò all'indietro, inciampò, e cadde proprio nell'istante in cui la creatura si lanciava su di lei. La ragazza rotolò di lato e la bestia la mancò di pochissimo. Scivolò sul parquet e i suoi artigli vi scavarono dei solchi profondi. Un ringhio basso gli gorgogliava in gola.
Clary si rialzò e corse verso il corridoio, ma la cosa era troppo veloce per lei. Balzò ancora e atterrò sopra la porta, dove restò appesa come un gigantesco ragno maligno, guardandola coi suoi occhi a grappolo. Le sue mandibole si aprirono lentamente, mostrando una fila di zanne che stillavano una bava verde. Una lunga lingua nera serpeggiò tra le mandibole, mentre la creatura gorgogliava e sibilava. Clary si rese conto che quei suoni orribili componevano delle parole.
«Ragazza» sibilò la bestia. «Carne. Sangue. Mangiare, oh, mangiare.»
Iniziò a strisciare lungo la parete. Una parte di Clary era ormai al di là del terrore, in una sorta di staticità glaciale. La creatura si alzò sulle zampe e iniziò ad avanzare verso di lei. Arretrando, Clary afferrò una pesante cornice dalla scrivania accanto a lei. Conteneva una foto di lei e sua madre e Luke a Coney Island. Stavano per salire sull'autoscontro. Lanciò la cornice contro il mostro.
La fotografia lo colpì a metà della schiena, rimbalzò via e atterrò sul pavimento producendo un rumore di vetri infranti. La creatura non sembrò nemmeno accorgersene e continuò ad avvicinarsi a Clary passando sopra i cocci di vetro. «Ossa, rompere, succhiare il midollo, bere il sangue...»
La schiena di Clary toccò il muro. Non poteva più arretrare. Sentì un tremito contro il proprio fianco e fece un salto. La tasca. Vi affondò la mano e tirò fuori l'oggetto che aveva preso a Jace. Sensore, l'aveva chiamato.
Stava vibrando come un cellulare con una chiamata in arrivo. Il materiale duro era rovente contro il suo palmo. Chiuse la mano attorno al sensore proprio nell'istante in cui la creatura spiccava il balzo.
L'essere le arrivò addosso e la buttò a terra. La testa e le spalle di Clary sbatterono contro il pavimento. La ragazza cercò di divincolarsi, ma la creatura era troppo pesante. Era sopra di lei, un peso opprimente, viscido, nauseante. «Mangiare, mangiare» gemette la creatura. «Ma Valentine dice che è proibito inghiottire, assaggiare...»

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