Capitolo 22 (3^parte)

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Gli artigli lacerarono, le zanne scavarono e strapparono. Clary vide uno dei guerrieri Dimenticati, una donna, cadere all'indietro con la gola aperta e le braccia che ancora si contorcevano. Un altro guerriero colpì un lupo con un moncone di braccio, mentre l'altro moncherino giaceva a terra a un metro di distanza, il sangue che schizzava pulsando. Il sangue nero e torbido come acqua di palude scorreva a fiumi, rendendo viscida l'erba e facendo scivolare Clary. Luke la prese prima che cadesse a terra. «Stammi vicina.»
Sono qui, avrebbe voluto dire lei, ma non le uscirono di bocca le parole. Stavano ancora attraversando il prato in direzione dell'ospedale. Procedevano lentissimi. La presa di Luke era rigida come il ferro. Clary non avrebbe saputo dire chi stesse vincendo: i lupi avevano dalla propria parte le dimensioni e la velocità, ma i Dimenticati erano implacabili e sorprendentemente difficili da uccidere. Vide il grande lupo chiazzato, che in forma umana era Alaric, abbattere un avversario strappandogli le gambe di sotto per poi balzargli alla gola. Il Dimenticato continuò a muoversi anche dopo esser stato fatto a pezzi, e la sua ascia aprì un lungo taglio rosso nella pelliccia del lupo.
Clary, distratta dalla battaglia, non notò quasi il Dimenticato che aveva superato il cerchio protettivo finché non se lo trovò di fronte, come se fosse spuntato da sottoterra. L'essere con gli occhi bianchi e i lunghi capelli sudici sollevò un coltello sporco di sangue...
Clary urlò. Luke si voltò di scatto, la spostò di lato, afferrò il polso della creatura e lo girò. La ragazza sentì lo schiocco dell'osso e il coltello cadde nell'erba. La mano del Dimenticato gli pendeva inerte dal polso, ma il mostro continuò ad avanzare verso di loro senza mostrare di provare alcun dolore. Luke stava urlando qualcosa ad Alaric. Clary cercò di prendere il pugnale che portava alla cintura, ma la presa di Luke sul suo braccio era troppo forte. Prima che potesse urlargli di lasciarla andare, un lampo di fuoco argentato si precipitò in mezzo a loro. Era Gretel. Atterrò con le zampe anteriori sul petto del Dimenticato e lo buttò a terra. Un uggiolio rabbioso sorse dalla gola di Gretel, ma il Dimenticato era molto forte, la gettò da parte come una bambola di pezza e si alzò in piedi...
Qualcosa sollevò Clary da terra. La ragazza urlò, ma era Alaric, metà umano e metà lupo. Le sue mani artigliate la sorressero delicatamente.
Luke stava gesticolando verso di loro. «Portala via di qui... alla porta» stava urlando.
«Luke!» Clary si dimenò in braccio ad Alaric.
«Non guardare» disse lui con un ringhio.
Ma lei guardò. Guardò abbastanza a lungo per vedere Luke avviarsi verso Gretel ed estrarre la spada dal fodero. Ma era troppo tardi. Il Dimenticato raccolse il suo coltello, caduto sull'erba insanguinata, e lo affondò nel dorso di Gretel più e più volte, mentre lei tirava artigliate e lottava. Alla fine crollò e la luce nei suoi occhi d'argento cedette il passo al buio. Luke con un urlo affondò la lama nella gola del Dimenticato...
«Ti ho detto di non guardare» ringhiò Alaric voltandosi, in modo che la vista di Clary fosse ostacolata dal suo corpo massiccio. Stavano correndo su per le scale e il suono dei suoi piedi artigliati sul granito ricordava quello dei gessi su una lavagna.
«Alaric» disse Clary.
«Sì?»
«Mi dispiace di averti tirato quel coltello.»
Nel petto del licantropo rombò una risata. «Lascia stare. È stato un buon lancio.»
Lei provò a guardare al di là delle sue spalle larghe. «Dov'è Luke?»
«Sono qui» disse Luke. Alaric si voltò. Luke stava salendo i gradini mentre infilava la spada nel fodero. La lama era nera e viscida.
Alaric lasciò che Clary scivolasse giù. Lei, una volta atterrata, si voltò.
Da dove si trovavano non riusciva a vedere Gretel né il Dimenticato che l'aveva uccisa, solo una massa ondeggiante di carne e metallo. Il suo volto era bagnato. Si portò una mano al viso per capire se stesse sanguinando, ma si rese conto che stava piangendo. Luke la guardò incuriosito. «Era solo una Nascosta» disse.
Gli occhi di Clary divennero due tizzoni ardenti. «Non dirlo.»
«Capisco.» Si voltò verso Alaric. «Grazie per esserti occupato di lei. Ora noi andiamo...»
«Io vengo con voi» disse Alaric. Si era quasi completamente trasformato in uomo, ma gli occhi erano ancora quelli di un lupo e le labbra erano sollevate sopra denti lunghi come stuzzicadenti. Strinse le mani dalle lunghe unghie.
Lo sguardo di Luke era preoccupato. «Alaric, no.»
La voce ringhiante di Alaric era piatta. «Tu sei il capobranco. Adesso che Gretel è morta, io sono il tuo secondo. Non sarebbe giusto lasciarti andare da solo.»
«Io...» Luke guardò Clary e poi tornò a guardare il campo di fronte all'ospedale. «Ho bisogno di te qua fuori, Alaric. Mi dispiace. È un ordine.»
Gli occhi di Alaric ebbero un lampo risentito, ma si fece da parte. La porta dell'ospedale era di legno intagliato. Clary conosceva quei disegni: rose di Idris, rune svolazzanti, soli irradianti. Luke tirò un calcio alla porta, che cedette col rumore secco di un chiavistello che saltava. Luke spinse avanti Clary mentre la porta si spalancava. «Entra.»
Lei gli passò davanti incespicando e si voltò sulla soglia. Colse una visione fugace di Alaric che li guardava coi suoi occhi di lupo che scintillavano. Alle sue spalle, il prato di fronte all'ospedale era disseminato di corpi, la terra era macchiata di sangue, nero e rosso. Quando la porta si chiuse dietro di lei, escludendo la vista sull'esterno, Clary ne fu confortata.
Lei e Luke si fermarono nella semioscurità, in un ingresso di pietra illuminato da un'unica torcia. Dopo il frastuono della battaglia, il silenzio all'interno era come una cappa soffocante. Clary si ritrovò a inspirare freneticamente quell'aria che non odorava più di umidità e di sangue.
Luke le strinse la spalla con una mano. «Tutto bene?»
Lei si asciugò le guance. «Non avresti dovuto dirla, quella cosa che Gretel è solo una Nascosta. Io non lo penso.»
«Lo so.» Allungò una mano per prendere la torcia dall'anello di metallo cui era fissata. «E mi dispiace. Detestavo l'idea che i Lightwood ti avessero potuto trasformare in una loro copia.»
«Be', non l'hanno fatto.»
«Sono felice di sentirtelo dire.» La torcia non voleva saperne di staccarsi dalla parete. Clary affondò le mani in tasca, prese la pietra runica che Jace le aveva regalato per il suo compleanno e la sollevò in alto. La luce le esplose tra le sue dita come se avesse rotto un seme di oscurità liberando un raggio che vi era prigioniero. Luke lasciò andare la torcia.
«Stregaluce?» chiese.
«Me l'ha regalata Jace.» La sentiva pulsare nella sua mano, come il cuore di un uccellino. Si chiese dove fosse Jace, in questo ammasso pietroso di stanze, se avesse paura, se si stesse chiedendo se l'avrebbe rivista ancora.
«Sono passati anni da quando combattevo al chiaro di stregaluce» disse Luke avviandosi su per le scale. I gradini scricchiolarono sotto i suoi scarponi. «Seguimi.»
Il bagliore della stregaluce disegnava le loro ombre, bizzarramente allungate, sulle pareti di granito liscio. Si fermarono su un pianerottolo di pietra che formava un arco. Sopra di loro Clary vide della luce. «Questo è l'aspetto che aveva l'ospedale centinaia di anni fa?» chiese sottovoce.
«Oh, le ossa di ciò che Renwick costruì sono ancora qui» disse Luke. «Ma immagino che Valentine, Blackwell e gli altri abbiano ristrutturato questo posto per renderlo più rispondente ai loro gusti. Guarda qui.» Strofinò il pavimento con uno scarpone: Clary guardò in basso e vide una runa incisa nel granito sotto i loro piedi: un cerchio, al centro del quale si trovava un motto latino: In hoc signo vinces.
«Cosa vuol dire?»
«"Sotto questo segno, vincerai". Era il motto del Circolo.»
Clary sollevò lo sguardo verso la luce. «Quindi sono qui.»
«Sono qui» disse Luke, e nel nervosismo del suo tono c'era anche una sorta di impazienza. «Andiamo.»
Risalirono la scala a chiocciola, girando in cerchio sotto la luce finché non fu tutta attorno a loro, e si trovarono all'ingresso di un corridoio lungo e stretto. Il passaggio era illuminato da numerose torce. Clary chiuse la mano sopra la stregaluce, che si spense come una scintilla bagnata.
Lungo il corridoio, a intervalli regolari, si trovavano delle porte, tutte chiuse. Clary si chiese se quando l'edificio era un ospedale, quello fosse un reparto, o magari delle camere private. Mentre percorrevano il corridoio, Clary vide delle impronte di scarpe infangate. Qualcuno era stato lì di recente.
La prima porta che provarono si aprì facilmente, ma la prima stanza era vuota: c'erano solo il parquet lucido e le pareti di pietra illuminate in modo un po' inquietante dalla luce lunare che entrava dalla finestra. Il ruggito smorzato della battaglia penetrava da fuori, ritmico come il rumore dell'oceano. La seconda stanza era piena di armi, come l'armeria dell'Istituto. Il chiaro di luna scorreva come acqua argentata su file e file di acciaio freddo e sguainato. Luke fischiò piano. «Una bella collezione.»
«Pensi che Valentine le usi tutte?»
«È improbabile. Credo che siano per il suo esercito.» Luke si voltò.
La terza stanza era una camera da letto, anche se evidentemente non ci aveva mai dormito nessuno. Le tende del letto a baldacchino erano blu, il tappeto persiano aveva un disegno blu, nero e grigio, e i mobili erano bianchi, come quelli della cameretta di un bambino. Un sottile strato di polvere copriva tutto quanto, e le pesanti tende blu nascondevano il cielo notturno.
E sul letto dormiva Jocelyn.
Era sdraiata sulla schiena, una mano appoggiata con noncuranza al petto, i capelli aperti a ventaglio sul cuscino. Indossava una specie di camicia da notte bianca che Clary non aveva mai visto e il suo respiro era regolare e tranquillo... alla luce penetrante della luna, Clary vide muoversi le ciglia di sua madre: stava sognando.
Clary lanciò un urletto e schizzò in avanti, ma il braccio di Luke le si strinse attorno al petto come una sbarra di ferro, trattenendola. «Aspetta» disse, la voce tesa per lo sforzo. «Dobbiamo stare attenti.»
Clary gli lanciò un'occhiataccia, ma lui stava guardando al di là della ragazza con un'espressione rabbiosa e addolorata. Clary seguì la linea del suo sguardo e vide ciò che non aveva voluto vedere prima. I ceppi stretti attorno ai polsi e alle caviglie di Jocelyn, le estremità delle loro catene affondate in profondità nel pavimento di pietra ai due lati del letto. Il tavolo accanto al letto era coperto da un bizzarro campionario di tubetti e bottiglie, vasetti di vetro e strumenti a punta di acciaio chirurgico. Un tubetto di gomma usciva da uno dei vasetti di vetro per finire in una vena del polso di Jocelyn...
Clary si liberò dalla stretta di Luke, si lanciò verso il letto e gettò le braccia attorno al corpo inerte di Jocelyn... ma fu come abbracciare un manichino, una bambola costruita male. Jocelyn restò immobile e rigida, il respiro regolare.
Una settimana prima Clary avrebbe pianto, come aveva fatto in quella prima, terribile notte in cui scoprì che sua madre era scomparsa. Avrebbe pianto e urlato. Ma ora non le uscì nemmeno una lacrima, mentre si staccava da sua madre e si raddrizzava stringendosi le braccia al petto. In lei ora non c'erano né terrore né autocommiserazione, solo una rabbia amara e il bisogno di trovare l'uomo che aveva fatto questo, il responsabile di tutto.
«Valentine» disse.
«Certo.» Luke era accanto a lei e stava toccando delicatamente il volto di Jocelyn, sollevandole le palpebre. Gli occhi di sua madre erano azzurri e inespressivi come biglie. «Non è drogata» disse Luke. «Un incantesimo, credo.»
Clary emise un mezzo sospiro. «Come facciamo a portarla fuori di qui?»
«Io non posso toccare i ceppi» disse Luke. «Argento. Tu hai...?»
«La stanza delle armi» si ricordò Clary rimettendosi in piedi. «Ho visto un'ascia là dentro. Anzi, più di una. Potremmo tagliare le catene...»
«Queste catene non si possono rompere.» La voce che aveva parlato dalla soglia era bassa, pietrosa e familiare. Clary si voltò e vide Blackwell. Stava sogghignando e indossava lo stesso mantello color sangue coagulato dell'altra volta, il cappuccio abbassato sulle spalle, gli stivali infangati visibili sotto l'orlo. «Graymark» lo salutò. «Che bella sorpresa!»
Luke si alzò. «Se sei sorpreso, sei un idiota» disse. «Non sono esattamente arrivato di soppiatto.»
Le guance di Blackwell divennero violacee, ma non si avvicinò a Luke. «Di nuovo capobranco, vero?» disse con una risata sgradevole. «Non riesci a liberarti dell'abitudine di far fare il lavoro sporco ai Nascosti, eh? Le guardie di Valentine sono occupate a spargere i loro pezzi per tutto il prato e tu sei quassù al sicuro con la tua amichetta.» Rivolse un'occhiata a Clary. «Mi sembra un po' giovane per te, Lucian.»
Clary arrossì, furente, e le sue mani si chiusero a pugno, ma la voce di Luke, quando rispose, era educata. «Non le chiamerei esattamente guardie, Blackwell» disse. «Sono Dimenticati. Tormentati esseri ex umani. Se ricordo bene, il Conclave non vede di buon occhio tutta quella faccenda di torturare le persone e usare la magia nera. Non credo che saranno contenti...»
«Al diavolo il Conclave!» ringhiò Blackwell. «Non abbiamo bisogno di loro e dei loro atteggiamenti da amichetti dei mezzosangue. E poi i Dimenticati non resteranno Dimenticati ancora per molto. Quando Valentine userà la Coppa su di loro, saranno Cacciatori come noi... meglio di quelli che il Conclave fa passare per guerrieri al giorno d'oggi. Mammolette amiche dei Nascosti.» Scoprì i denti smussati.
«Se il suo piano con la Coppa era questo» disse Luke «perché non lo ha già fatto? Cosa sta aspettando?»
Le sopracciglia di Blackwell si alzarono. «Non lo sapevi? Ha trovato suo...»
Una risata di seta li interruppe. Pangborn era comparso accanto a lui, tutto in nero, con una cinghia di cuoio attorno alle spalle. «Basta così, Blackwell» disse. «Parli troppo, come sempre.» Mostrò i denti appuntiti a Luke. «Mossa interessante, Graymark. Non pensavo che avessi il fegato per guidare il tuo nuovo branco in una seconda missione suicida.»
Un muscolo guizzò nella guancia di Luke. «Jocelyn» disse. «Cosa le ha fatto?»
Pangborn ridacchiò allegramente. «Credevo che non te ne importasse nulla.»
«Non capisco cosa voglia ancora da lei, a questo punto» proseguì Luke ignorando la frase di Pangborn. «Ha la Coppa. Lei non gli serve più. Valentine non è mai stato un uomo dedito a omicidi inutili. Gli omicidi utili, be', quelli sono tutta un'altra storia, per lui.»

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