Capitolo 22 (2^parte)

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Lui la interruppe con un gesto. «È il vecchio nome di Roosevelt Island. Era di proprietà di un'antica famiglia di Shadowhunters. Avrei dovuto ricordarmene.» Si voltò verso Gretel. «Vai a chiamare Alaric. Abbiamo bisogno di tutti quanti, qui, il prima possibile.» Le sue labbra erano sollevate in un mezzo sorriso che ricordò a Clary il ghigno freddo di Jace durante i combattimenti. «Di' loro di prepararsi per la battaglia.»

Uscirono dalla cella e risalirono in strada passando per un labirinto di altre celle e corridoi che alla fine si aprì su quello che in passato era stato l'ingresso di una stazione di polizia. La luce obliqua del tardo pomeriggio gettava strane ombre sulle scrivanie vuote, sugli armadietti chiusi a chiave coi buchi neri delle termiti, sul pavimento crepato con le piastrelle che componevano il motto della polizia di New York: Fidelis ad mortem.
«Fedeli fino alla morte» tradusse Luke, seguendo lo sguardo di Clary.
«Lasciami indovinare» disse Clary. «All'interno è una stazione di polizia abbandonata, ma dall'esterno i mondani vedono solo un palazzo in attesa di demolizione o un cantiere o...»
«In effetti dall'esterno sembra un ristorante cinese» disse Luke. «Solo piatti da asporto, niente servizio ai tavoli.»
«Un ristorante cinese?» gli fece eco Clary incredula.
Luke scrollò le spalle. «Be', siamo a Chinatown. Questa una volta era la centrale del secondo distretto.»
«La gente troverà strano che non ci sia un numero di telefono da chiamare per le ordinazioni.»
Luke sorrise. «E invece c'è. Solo che non rispondiamo spesso. A volte, se si annoia, qualche lupacchiotto va a fare le consegne.»
«Mi stai prendendo in giro.»
«Per niente. Le mance tornano utili.» Aprì la porta d'ingresso, lasciando entrare un po' di luce solare.
Ancora incerta se Luke la stesse prendendo in giro o no, Clary lo seguì attraverso Baxter Street fino al punto in cui aveva parcheggiato. L'interno del furgone era piacevolmente familiare. Il vago odore di legno e carta vecchia e sapone, i vecchi dadi di peluche appesi allo specchietto retrovisore che lei gli aveva regalato quando aveva dieci anni perché assomigliavano ai dadi appesi allo specchietto del Millennium Falcon. Le cartine di cicca vuote e i bicchieri del caffè che rotolavano sul pavimento. Clary si issò al posto del passeggero e si accomodò contro il poggiatesta con un sospiro. Era più stanca di quanto fosse disposta ad ammettere.
Luke le chiuse la portiera. «Resta lì.»
Lei lo guardò parlare con Gretel e Alaric, in piedi sui gradini della vecchia stazione di polizia, in paziente attesa. Clary si divertì a lasciare che i suoi occhi vedessero al di là dell'incantesimo, per poi tornare all'immagine iniziale. Ora era una vecchia stazione di polizia, poi una vetrina male in arnese con un'insegna gialla che diceva CUCINA CINESE LUPO DI GIADA.
Luke stava indicando qualcosa lungo la strada ai suoi due ufficiali. Il suo pickup era il primo automezzo di una fila di furgoni, moto, fuoristrada, con anche un vecchio scuolabus mezzo scassato. La coda di veicoli si estendeva lungo tutto l'isolato, per poi svoltare l'angolo. Un convoglio di licantropi. Clary si chiese come avessero fatto a farsi prestare, rubare o requisire tutti quei mezzi in così poco tempo. Il lato positivo era che non avrebbero dovuto prendere i mezzi pubblici.
Luke prese un sacchetto di carta bianca da Gretel e con un cenno del capo indicò il furgone. Mentre incastrava il proprio corpo allampanato dietro il volante, consegnò il sacchetto a Clary. «Tu sei responsabile di questo.»
Clary rivolse un'occhiata sospettosa al sacchetto. «Cosa sono? Armi?»
Le spalle di Luke vibrarono di una risata muta. «Panini cinesi al vapore» disse mentre partivano. «E caffè.»
Clary aprì il sacchetto mentre si dirigevano verso Uptown. Il suo stomaco stava rumoreggiando furiosamente. Divise in due un panino e gustò il ricco sapore salato del maiale e la gommosità dell'impasto bianco. Lo buttò giù con una sorsata di caffè nero dolcissimo e offrì un panino a Luke. «Ne vuoi uno?»
«Certo.» Era quasi come ai vecchi tempi, pensò Clary mentre si infilavano in Canal Street, quando prendevano un sacchetto di ravioli al vapore alla rosticceria Golden Carriage e ne mangiavano la metà mentre tornavano a casa passando per il Manhattan Bridge.
«Allora, raccontami di Jace» disse Luke.
Clary si strozzò quasi con il panino. Prese la tazza di caffè e affogò nel liquido caldo il boccone che le era rimasto in gola. «Cosa vuoi sapere?»
«Hai idea del perché Valentine possa volerlo?»
«So che odiava il padre di Jace» disse lei. «Anche se è morto, magari vuole vendicarsi tramite Jace.»
Luke aggrottò le sopracciglia. «Pensavo che Jace fosse uno dei figli dei Lightwood.»
«No.» Clary morse il terzo panino. «Di cognome fa Wayland. Suo padre era...»
«Michael Wayland?»
Clary annuì. «E quando Jace aveva dieci anni, Valentine lo uccise. Uccise Michael, voglio dire.»
«È il tipo di cosa che può benissimo aver fatto» disse Luke. Il suo tono era neutro, ma c'era qualcosa nella sua voce che spinse Clary a guardarlo di traverso. Non le credeva?
«Jace l'ha visto morire» aggiunse, come per avvalorare quello che affermava.
«Che cosa orribile» disse Luke. «Povero ragazzo.»
Stavano percorrendo il ponte della 59th Street. Clary guardò in basso e vide il fiume tinto d'oro e di sangue dal sole al tramonto. Da lì poteva vedere l'estremità meridionale di Roosevelt Island, anche se era solo una macchia indistinta verso nord. «Poteva andargli peggio» disse. «I Lightwood si sono presi cura di lui.»
«Lo immagino. Sono sempre stati molto vicini a Michael» osservò Luke mentre passava sulla corsia di sinistra. Nello specchietto retrovisore Clary poteva vedere il convoglio di veicoli che li seguivano. «Non mi stupisce che si siano voluti occupare di suo figlio.»
«Piuttosto, cosa succede quando sorge la luna?» gli chiese lei. «Vi trasformerete tutti in lupi all'improvviso o cosa?»
Luke sorrise. «Non esattamente. Solo i più giovani, quelli che sono appena cambiati, non riescono a controllare le loro trasformazioni. La maggior parte di noi ha imparato a farlo nel corso degli anni. Adesso solo il plenilunio potrebbe costringermi a trasformarmi.»
«Quindi quando la luna è piena solo in parte vi sentite tutti un po'... lupi?» chiese Clary.
«Diciamo così.»
«Be', se vuoi sporgere la testa fuori dal finestrino, fai pure.» Sorridere le faceva male, ma in un modo buono.
Luke scoppiò a ridere. «Guarda che sono un lupo mannaro, non un labrador.»
«Da quanto tempo sei il capo di questo branco?» chiese all'improvviso.
Luke esitò. «Da circa una settimana.»
Clary si voltò di colpo a guardarlo. «Una settimana?»
Lui sospirò. «Sapevo che era stato Valentine a prendere tua madre» disse. «Sapevo che da solo contro di lui non avevo molte chance e che non potevo aspettarmi aiuto da parte del Conclave. Ci ho messo un giorno per rintracciare il branco di licantropi più vicino...»
«E hai ucciso il capobranco per prendere il suo posto?»
«È il modo più veloce che mi sia venuto in mente per mettere insieme un buon numero di alleati in poco tempo» disse Luke senza alcun rimpianto ma anche senza traccia di orgoglio. Clary ripensò a quando lo avevano spiato a casa sua, ai graffi profondi che aveva sulle mani, al suo volto fasciato e al modo in cui sussultava quando muoveva il braccio. «L'ho già fatto una volta. Ero abbastanza sicuro di poterlo rifare.» Scrollò le spalle. «Tua madre era scomparsa. Sapevo di averti spinta a odiarmi. Non avevo niente da perdere.»
Clary appoggiò le scarpe da ginnastica verdi al cruscotto. Attraverso il parabrezza crepato, la luna si stava alzando sopra il ponte.
«Be'» disse. «Adesso sì.»

L'ospedale all'estremità meridionale di Roosevelt Island era illuminato da riflettori e il suo profilo spettrale era perfettamente visibile sullo sfondo buio del fiume e delle luci di Manhattan. Luke e Clary tacquero mentre il furgone costeggiava l'isoletta e la strada lastricata su cui viaggiavano lasciava il posto alla ghiaia e infine alla terra battuta. La strada seguiva la curva di un'alta staccionata di rete metallica, agghindata con festoni di filo spinato.
Quando il fondo si fece troppo sconnesso per procedere in auto, Luke fermò il furgone e spense le luci. Guardò Clary. «C'è una qualche possibilità che se ti chiedo di aspettare tu mi obbedirai?»
Clary scosse il capo. «Non è detto che sarò più al sicuro stando in macchina. Chissà chi hanno messo di pattuglia intorno all'ospedale...»
Luke rise piano. «Di pattuglia. Ma sentila.» Saltò giù dal furgone e fece il giro per aiutarla a scendere. Avrebbe potuto farlo da sola, ma era carino che lui la aiutasse come quando era piccola.
I piedi di Clary colpirono la terra battuta sollevando nuvolette di polvere. Il convoglio di auto che li aveva seguiti si stava fermando, creando una sorta di cerchio attorno al furgone di Luke. I fari delle macchine spazzarono il campo visivo della ragazza, dando alla rete metallica una sfumatura bianco-argentata. Dietro la staccionata, l'ospedale era una rovina inondata da luci fredde che ne evidenziavano lo stato di abbandono: le pareti senza tetto che spuntavano dal terreno sconnesso come denti rotti, i parapetti merlati di pietra coperti da un tappeto verde di edera. «È un rudere» sussurrò Clary, con un tremolio di apprensione. «Non vedo come Valentine possa nascondersi qui.»
Luke guardò l'ospedale alle sue spalle. «È un incantesimo forte» disse. «Cerca di guardare al di là delle luci.» Alaric stava camminando verso di loro e la brezza gli apriva il giubbotto di jeans, mostrando il suo petto pieno di cicatrici. I licantropi che camminavano alle sue spalle sembravano persone perfettamente normali, pensò Clary. Se li avesse visti tutti in gruppo da qualche parte, avrebbe potuto pensare che si conoscessero in qualche modo: c'era una certa rassomiglianza non fisica, un disincanto nei loro sguardi, un fatalismo nelle loro espressioni. Avrebbe potuto pensare che fossero agricoltori, dato che sembravano tutti più abbronzati, snelli e ossuti dei classici cittadini, o magari li avrebbe scambiati per una banda di motociclisti. Ma di certo non sembravano dei mostri.
Si radunarono intorno al furgone di Luke per una riunione volante, come una squadra di football. Clary, che si sentì decisamente esclusa, si voltò di nuovo a osservare l'ospedale. Questa volta provò a guardare oltre le luci, o attraverso di esse, come a volte si riesce a fare attraverso un sottile stato di vernice per vedere cosa è stato dipinto sotto. Come al solito, pensare alla pittura la aiutò: le luci parvero dissolversi, e ora vedeva un prato pieno di querce e, più oltre, un'elaborata struttura in stile neogotico che sembrava incombere sugli alberi come il parapetto di una grande nave. Le finestre dei piani più bassi erano buie e chiuse, ma attraverso le finestre ad arco del terzo piano si riversava all'esterno la luce, come una serie di fuochi accesi lungo il crinale di una catena montuosa in lontananza. Un massiccio portico di pietra sul fronte dell'edificio nascondeva la porta d'ingresso.
«Lo vedi?» Era Luke, che le era arrivato alle spalle con la grazia silenziosa di... be'... un lupo.
Clary stava ancora fissando davanti a sé. «Sembra più un castello che un ospedale.»
Luke la prese per le spalle e la fece girare verso di sé. «Clary, ascoltami.» La sua presa era dolorosamente stretta. «Voglio che tu stia vicino a me. Muoviti quando mi muovo io. Tieniti alla mia manica, se devi farlo. Gli altri ci staranno attorno, ci proteggeranno, ma se esci dal cerchio non potranno difenderti. Ci accompagneranno verso la porta.» Abbassò le mani e le liberò le spalle, e quando si mosse, lei vide qualcosa di metallico all'interno della sua giacca. Non si era accorta che portasse un'arma, ma ricordò quello che le aveva detto Simon sul contenuto della vecchia borsa di stoffa verde di Luke e pensò che aveva un senso. «Mi prometti che farai quello che ti dico?» le chiese lui.
«Lo prometto.»
La rete metallica era vera, non faceva parte dell'incantesimo. Alaric, ancora in prima fila, la scosse un po', poi sollevò pigramente una mano. Da sotto le unghie delle mani gli spuntarono dei lunghi artigli e con essi colpì la recinzione, facendo a fette il metallo. I pezzi di rete caddero a terra in una pila tintinnante, come elementi del meccano.
«Via.» Fece cenno agli altri di passare. Scattarono in avanti come un sol uomo, una grande onda coordinata in movimento. Luke strinse il braccio di Clary e la spinse davanti a sé, chinandosi per seguirla. Una volta superata la rete si raddrizzarono e guardarono verso l'ospedale, dove alcune figure scure, ammassate sotto il portico, stavano iniziando a scendere i gradini...
Alaric sollevò la testa e annusò il vento. «L'aria è appesantita dal fetore della morte.»
Luke emise una specie di sibilo. «I Dimenticati.»
Spinse Clary dietro di sé e lei gli obbedì, inciampando un po' sul terreno sconnesso. Il branco iniziò a muoversi verso lei e Luke. Mentre si avvicinavano, si buttarono carponi, le lingue che si ritraevano dalle fauci a ogni secondo più lunghe, gli arti che si trasformavano in lunghe estremità pelose, gli abiti che cadevano. Una vocetta istintiva in fondo al cervello di Clary le stava urlando: Lupi! Scappa!, ma lei non le obbedì e restò dov'era, anche se sentiva i sussulti e il tremore dei nervi delle sue mani.
Il branco li circondò, un anello di lupi rivolto verso l'ospedale. Altri lupi si accostarono al cerchio su entrambi i lati. Era come se lei e Luke fossero il centro di una stella che si irradiava verso l'esterno. Iniziarono a muoversi verso il portico dell'ospedale. Sempre alle spalle di Luke, Clary nemmeno si accorse quando il primo dei Dimenticati li attaccò. Sentì un lupo ululare, come in preda al dolore... l'ululato si fece sempre più forte, fino a trasformarsi in un ringhio. Vi fu un rumore sordo e poi un urlo gorgogliante, e un suono come di carta strappata...
Clary si ritrovò a chiedersi se i Dimenticati fossero commestibili.
Guardò Luke. Il suo volto era determinato. Ora Clary li poteva vedere, al di là dell'anello dei lupi, illuminati a giorno dai riflettori e dal bagliore di Manhattan: decine di Dimenticati, la pelle pallida come quella di un cadavere al chiaro di luna, ricoperti di rune che sembravano tante ferite. I loro occhi erano vuoti, mentre si scagliavano verso i lupi. I lupi li affrontarono a testa bassa.

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