Capitolo 18 (1^parte)

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capitolo 18
LA COPPA MORTALE

Jace era steso sul suo letto e fingeva di dormire - anche se nessuno era lì ad assistere alla sua recita - quando i colpi alla porta divennero insopportabili. Si alzò in piedi con una smorfia. Per quanto nella serra avesse dato mostra di stare bene, gli faceva ancora male tutto il corpo per i colpi della notte precedente.
Sapeva chi era ancora prima di aprire la porta. Magari Simon era riuscito a farsi trasformare di nuovo in un topo. E questa volta, per quanto riguardava Jace Wayland, quell'imbecille poteva anche restare un topo per sempre.
Clary stringeva in mano il suo album da disegno e i capelli rossi le sfuggivano dalle trecce. Jace si appoggiò allo stipite della porta ignorando la botta di adrenalina prodotta dalla vista di lei. Si chiese perché, e non era la prima volta. Isabelle usava la sua bellezza allo stesso modo della sua frusta, ma Clary non sapeva nemmeno di essere bella. Forse era proprio quella la ragione.
Poteva pensare a un solo motivo per cui lei si trovava lì, anche se dopo quello che le aveva detto non aveva molto senso. Le parole sono armi, glielo aveva insegnato suo padre, e in quel momento aveva voluto ferirla più di quanto avesse mai desiderato fare con qualsiasi altra ragazza. In effetti non era sicuro di aver mai voluto ferire un'altra ragazza. Di solito si limitava prima a volerle e poi a volere che lo lasciassero in pace.
«Non mi dire» disse, pronunciando le parole nel modo più fastidioso possibile. «Simon si è trasformato in un ocelot e tu vuoi che io risolva la situazione prima che Isabelle ne faccia una stola. Be', dovrai aspettare fino a domani. Sono fuori servizio.» Si indicò: indossava un pigiama blu con un buco in una manica. «Guarda. Sono in pigiama.»
Clary sembrò non averlo neppure sentito. «Jace» disse. «È importante.»
«Davvero?» disse indicando l'album da disegno. «Hai un'emergenza artistica? Ti serve un modello che posi nudo? Be', non sono dell'umore. Potresti chiedere a Hodge» aggiunse, come se gli fosse appena venuto in mente. «Mi hanno detto che farebbe qualsiasi cosa per...»
«JACE» lo interruppe Clary urlando. «STAI ZITTO UN SECONDO E
ASCOLTA!»
Jace sbatté gli occhi.
Clary prese un bel respiro e lo guardò. Un bisogno poco familiare sorse dentro Jace, quello di abbracciarla e dirle che andava tutto bene. Non lo fece. In base alla sua esperienza, raramente andava tutto bene. «Jace» disse lei a voce così bassa che lui dovette chinarsi in avanti per sentirla. «Credo di sapere dove mia madre ha nascosto la Coppa Mortale. È dentro un quadro.»

«Cosa?» Jace la stava ancora fissando come se gli avesse detto che aveva trovato uno dei Fratelli Silenti che faceva le capriole nudo in corridoio. «Vuoi dire che è nascosta dietro un quadro? Tutti i quadri a casa tua sono stati strappati via dalle cornici.»
«Lo so.» Clary diede uno sguardo alla sua camera, dietro di lui. Non sembrava ci fosse qualcun altro, con suo grande sollievo. «Senti, posso entrare? Voglio farti vedere una cosa.»
«Jace si scostò pigramente dalla porta.» Se proprio devi.
Clary si sedette sul letto e appoggiò l'album sulle ginocchia. I vestiti che Jace aveva addosso prima erano gettati sopra le coperte, ma il resto della stanza era ordinato come la cella di un monaco. Non c'erano quadri alle pareti, né poster né foto di amici o parenti. Le lenzuola erano bianche e perfettamente tese sul letto. Non era esattamente la tipica camera da letto di un ragazzo. «Ecco» disse Clary sfogliando l'album finché non ebbe trovato il disegno della tazza da caffè. «Guarda questo.»
Jace le si sedette accanto dopo avere spostato una maglietta sporca. «È una tazza.»
L'irritazione nella sua voce era evidente. «Lo so che è una tazza.»
«Non vedo l'ora che tu disegni qualcosa di davvero complicato, tipo il ponte di Brooklyn o un'aragosta. Probabilmente mi manderai un telegramma musicato.»
Clary lo ignorò. «Guarda. È questo che volevo farti vedere.» Passò la mano sopra al disegno e poi, con un movimento rapidissimo, la infilò dentro la carta. Quando la estrasse un istante dopo, c'era una tazza da caffè che le dondolava tra le dita.
Aveva immaginato che Jace sarebbe balzato su dal letto sbalordito e avrebbe urlato senza fiato qualcosa del tipo: «Santi numi!» Non successe. Soprattutto, sospettò Clary, perché Jace aveva visto cose molto più strane in vita sua e perché nessuno usava più l'esclamazione "Santi numi".
Però sgranò gli occhi dalla sorpresa. «Sei stata tu?» le chiese. Clary annuì.
«Quando?»
«Adesso, nella mia stanza, dopo... dopo che Simon se n'è andato.»
Lo sguardo di lui si fece più affilato, ma non fece alcun commento. «Hai usato le rune? Quali?»
Clary scosse il capo indicando la pagina che ora era bianca. «Non lo so. Mi sono venute in mente da sole e io le ho disegnate esattamente come le vedevo.»
«Erano rune che hai visto nel Libro Grigio?»
«Non lo so.» Stava scuotendo ancora il capo. «Non te lo so dire.»
«E nessuno ti ha mai insegnato a fare questa cosa? Tua madre, per esempio?»
«No. Te l'ho già detto, mia madre mi ha sempre ripetuto che non esisteva la magia...»
«Scommetto che te lo ha insegnato» la interruppe Jace «e poi te lo ha fatto dimenticare. Magnus ha detto che i tuoi ricordi torneranno un po' alla volta.»
«Forse.»
«Naturalmente.» Jace si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro. «Probabilmente la Legge non consente di usare le rune senza licenza. Ma adesso non importa. Pensi che tua madre abbia messo la Coppa
dentro un quadro? Come hai fatto tu con la tazza?»
Clary annuì. «Ma non in uno di quelli che avevamo a casa.»
«E dove, allora? In una galleria? In un murale? Potrebbe essere ovunque...»
«Non è esattamente un quadro» disse Clary. «È una carta.» Jace si zittì e si voltò verso di lei.
«Ti ricordi quando ti ho detto che avevo riconosciuto quel mazzo di tarocchi da Madame Dorothea?» Il ragazzo annuì.
«Era perché l'aveva dipinto mia madre per lei. E ricordi quando ho disegnato l'Asso di Coppe? Più tardi, quando ho visto la statua dell'Angelo, la Coppa mi è sembrata familiare. Era perché l'avevo già vista, sull'Asso. Mia madre ha dipinto la Coppa Mortale nel mazzo di tarocchi di Madame Dorothea.»
Jace la stava seguendo. «Perché sapeva che sarebbe stata al sicuro con una Guardiana e così avrebbe potuto darla a Dorothea senza dirle veramente cosa fosse e perché doveva tenerla nascosta.»
«E, a parte il perché, non doveva neppure dirle di tenerla nascosta. Dorothea non esce mai, non la darebbe mai via...»
«E tua madre era in una posizione perfetta per tenere sott'occhio sia Dorothea sia la carta.» Jace sembrava abbastanza colpito. «Una mossa niente male.»
«Direi di no.» Clary cercò di controllare il tremito della sua voce. «Vorrei non fosse stata così brava a nasconderla.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che se l'avessero trovata, forse non avrebbero portato via mia mamma. Se tutto ciò che volevano era la Coppa...»
«L'avrebbero uccisa, Clary» disse Jace con una specie di intensità monocorde. Clary sapeva che stava dicendo la verità. «Sono gli stessi uomini che hanno ucciso mio padre. L'unico motivo per cui tua madre è ancora viva è che non riescono a trovare la Coppa. Devi essere contenta che l'abbia nascosta tanto bene.»

«Non capisco proprio cosa abbia a che fare questa cosa con noi» disse Alec guardando confuso attraverso un ciuffo dei suoi capelli. Jace aveva svegliato gli altri abitanti dell'Istituto all'alba e li aveva trascinati in biblioteca per - come aveva detto lui - "ideare una strategia". Alec era ancora in pigiama, Isabelle in accappatoio rosa. Hodge, con addosso il suo solito abito di tweed, stava bevendo un caffè da una tazza sbeccata di ceramica blu. Solo Jace, con lo sguardo acceso nonostante i lividi in via di guarigione, sembrava ben sveglio. «Pensavo che ormai la ricerca della Coppa fosse nelle mani del Conclave.»
«È meglio se ce ne occupiamo noi» rispose Jace impaziente. «Io e Hodge ne abbiamo già discusso e abbiamo deciso così.»
«Bene.» Isabelle si infilò dietro l'orecchio una treccina legata con un nastro rosa. «Io ci sto.»
«Be', io no» disse Alec. «Ci sono degli agenti del Conclave in questa città in cerca della Coppa. Passiamo l'informazione a loro e lasciamo che vadano a prendersela.»
«Non è così semplice» disse Jace.
«E invece sì.» Alec si drizzò a sedere con un'espressione furente. «Questo non c'entra niente con noi, c'entra solo con la tua... la tua dipendenza dal pericolo.»
Jace scosse il capo, palesemente esasperato. «Non capisco perché tu ti opponga tanto a questa cosa.»
Perché non vuole che tu ti faccia male, pensò Clary, stupita dalla totale incapacità di Jace di capire cosa stesse succedendo ad Alec. Ma in fondo anche a lei era capitata la stessa cosa con Simon. Chi era quindi per parlare? «Senti, Dorothea... la proprietaria del Rifugio... non si fida del Conclave. Anzi, lo odia. Però si fida di noi» disse Jace.
«Si fida di me» aggiunse Clary. «Non so se si fida di te. Non so nemmeno se le piaci.»
Jace la ignorò. «Dai, Alec, sarà divertente. E pensa alla gloria se riporteremo la Coppa Mortale a Idris! I nostri nomi non saranno mai dimenticati.»
«Non mi interessa la gloria» disse Alec senza smettere di guardare il volto di Jace. «Mi interessa non fare niente di stupido.»
«In questo caso però Jace ha ragione» disse Hodge. «Se il Conclave dovesse andare al Rifugio sarebbe un disastro. Dorothea fuggirebbe con la Coppa e probabilmente non verrebbe mai più ritrovata. No, Jocelyn voleva che una sola persona fosse in grado di ritrovare la Coppa, e questa persona è Clary e Clary soltanto.»
«E allora che ci vada da sola» disse Alec.
Anche Isabelle ebbe un sussulto nell'udire quella frase. Jace, che era piegato in avanti con le mani appoggiate alla scrivania, si raddrizzò e guardò Alec con aria noncurante. Solo Jace, pensò Clary, poteva assumere un'aria noncurante con addosso dei pantaloni del pigiama e una vecchia maglietta, ma lui ci riusciva con un puro esercizio di volontà.
«Se hai paura di qualche Dimenticato, resta a casa, mi raccomando» sussurrò.
Alec sbiancò. «Io non ho paura.»
«Bene» disse Jace. «Allora non c'è problema, giusto?» Si guardò attorno. «Ci stiamo tutti?»
Alec borbottò un sì e Isabelle annuì vigorosamente. «Certo» disse.
«Sembra divertente.»
«Non so se sarà divertente» disse Clary. «Però ovviamente io ci sto.»
«Clary» intervenne subito Hodge. «Se sei preoccupata per i pericoli che potresti correre, non devi andare per forza. Possiamo avvisare il Conclave...»

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