«Pensavo...» Ora si sentiva ancora più imbarazzata. «Simon era curioso di saperlo.»
«Forse dovrebbe chiederlo a Isabelle.»
«Non sono sicura che voglia farlo» disse Clary. «Comunque lascia stare.
Non sono affari miei.»
Jace sorrise nervosamente. «La risposta è no. Voglio dire, possono esserci stati dei momenti in cui l'uno o l'altra hanno considerato la cosa, ma lei per me è quasi una sorella. Sarebbe strano.» «Vuoi dire che tu e Isabelle non avete mai...» «Mai» disse Jace con lo stesso sorrisetto nervoso.
«Lei mi odia» osservò Clary.
«No, non ti odia» la stupì lui. «È solo che la rendi nervosa perché è sempre stata l'unica ragazza in un gruppo di maschi adoranti e adesso non lo è più.»
«Ma è così bella...» Clary era davvero stupita.
«Anche tu» disse Jace. «E in un modo molto diverso da lei, e lei non può fare a meno di notarlo. Ha sempre desiderato essere minuta e delicata, sai? Detesta il fatto di essere più alta della maggior parte dei ragazzi.»
Clary non disse nulla, perché non aveva niente da dire. Bella. Lui aveva detto che era bella. Nessuno glielo aveva mai detto prima, a parte sua madre, che però non contava. Le madri pensano che sei bella per contratto. Fissò Jace.
«Probabilmente dovremmo scendere di sotto» ripeté il ragazzo. Clary era sicura che fissandolo lo metteva a disagio, ma non riusciva proprio a smettere.
«Va bene» disse alla fine. Con suo grande sollievo, la sua voce sembra-
va normale. E fu un sollievo ancora maggiore distogliere lo sguardo da lui e voltarsi. La luna, che ora si trovava proprio sopra di loro, illuminava tutto quasi a giorno. Tra un passo e l'altro, Clary vide una scintilla bianca sprigionarsi da qualcosa sul pavimento. Era il coltello che Jace aveva usato per tagliare le mele. Clary scattò velocemente indietro per evitare di calpestarlo e le sue spalle andarono a sbattere contro quelle di lui... Jace allungò una mano per sorreggerla proprio mentre lei si voltava per scusarsi e in qualche modo Clary si ritrovò nel cerchio delle sue braccia e lui la baciò.
All'inizio fu quasi come se non avesse voluto farlo: la sua bocca era rigida contro quella di lei. Poi le mise tutte e due le braccia attorno e la tirò contro di sé. Le sue labbra si ammorbidirono. Clary sentì il battito rapido del suo cuore, assaggiò la dolcezza delle mele ancora nella sua bocca. Infilò le mani nei capelli di Jace come aveva desiderato fare dalla prima volta che lo aveva visto. Li arricciò attorno alle dita, serici e sottili. Il suo cuore martellava e si sentiva un rombo nelle orecchie, come un battito d'ali...
Jace si staccò da lei con un'esclamazione soffocata, anche se non smise di tenerla abbracciata. «Non farti prendere dal panico, abbiamo degli spettatori.»
Clary voltò il capo. Appollaiato su un ramo lì vicino c'era Hugo che li guardava fisso coi suoi luminosi occhietti neri. Ma allora il suono che aveva sentito era veramente quello di un paio d'ali, e non della sua folle passione. Che delusione!
«Se l'uccello è qui, Hodge non può essere lontano» disse Jace sottovoce.
«Dobbiamo andare.»
«Ti spia?» sussurrò Clary. «Hodge, voglio dire.»
«No... è solo che gli piace venire quassù a pensare. Peccato... stavamo avendo una conversazione davvero brillante.» Rise sommessamente.
Ridiscesero le scale seguendo la strada da cui erano saliti, ma a Clary parve un tragitto del tutto diverso. Jace le teneva la mano e le dava minuscole scosse elettriche che le attraversavano le vene partendo da tutti i punti in cui lui la sfiorava: le dita, il polso, il palmo della mano. La mente di Clary ronzava di domande, ma aveva troppa paura che se le avesse poste avrebbe rovinato l'atmosfera. Jace aveva detto "peccato", per cui Clary supponeva che la loro serata fosse finita, perlomeno per quanto riguardava i baci.
Raggiunsero la porta della sua camera da letto. Clary si appoggiò al muro accanto alla porta, guardandolo. «Grazie per il picnic di compleanno» disse. Si stupì di constatare che la sua voce suonava perfettamente normale.
Jace sembrava riluttante a lasciarle la mano. «Vai a dormire?»
Vuole solo essere educato, si disse lei. Ma si trattava di Jace. Jace non era mai educato. Decise di rispondere alla domanda con una domanda. «Tu non hai sonno?»
«Non sono mai stato più sveglio» disse lui a voce bassa.
Si chinò per baciarla, prendendole il volto con la mano libera. Le loro labbra si toccarono, prima leggermente e poi con più forza. Fu proprio in quell'istante che Simon spalancò la porta della camera da letto e uscì in corridoio.
Aveva gli occhi semichiusi e i capelli scompigliati ed era senza occhiali, ma li vide perfettamente. «Ma cosa diavolo...?» chiese a voce tanto alta che Clary si staccò da Jace con un salto, come se le sue mani l'avessero bruciata.
«Simon! Cosa... voglio dire... pensavo che stessi...»
«Dormendo? Infatti» disse lui. Le guance gli erano diventate rossissime come succedeva sempre quando era imbarazzato o arrabbiato. «Poi mi sono svegliato e tu non c'eri, così ho pensato...»
A Clary non venne in mente niente da dire. Perché non aveva pensato che avrebbe potuto succedere una cosa del genere? Perché non aveva proposto a Jace di andare in camera da lui? La riposta era semplice quanto orribile: si era completamente dimenticata di Simon.
«Mi dispiace» disse a bassa voce senza sapere bene a chi lo stesse dicendo. Con la coda dell'occhio le sembrò che Jace le stesse lanciando uno sguardo di pura rabbia, ma quando lo guardò sembrava lo stesso di sempre: tranquillo, sicuro di sé, un po' annoiato.
«In futuro, Clarissa» disse «potrebbe essere saggio far presente che c'è già un uomo nel tuo letto, per evitare queste situazioni incresciose.» «Lo hai invitato a letto?» chiese Simon, che sembrava scosso.
«Che cosa ridicola, vero?» disse Jace. «Non ci saremmo stati tutti e tre.»
«Non l'ho invitato a letto» scattò Clary. «Ci stavamo solo baciando.»
«Solo baciando?» Jace la prese in giro adottando un tono falsamente ferito. «Come fai in fretta a liquidare il nostro amore...»
«Jace...»
Clary vide la malevolenza negli occhi di lui e si interruppe. Non serviva a nulla. Si sentì improvvisamente un peso allo stomaco. «Simon, è tardi» disse con un'aria stanca. «Mi dispiace di averti svegliato.»
«Anche a me.» Simon rientrò in camera di gran carriera, sbattendosi la porta alle spalle.
Il sorriso di Jace era stucchevole come la melassa. «Prego, seguilo pure. Accarezzagli la testa e digli che è ancora il tuo amichetto superspeciale.
Non è quello che vorresti fare?»
«Smettila» disse Clary. «Smettila di fare così.»
Il sorriso di Jace si allargò. «Così come?»
«Se sei arrabbiato, dillo e basta. Non fare come se niente ti potesse mai toccare. È come se non provassi mai nulla.»
«Forse avresti dovuto pensarci prima di baciarmi.»
Clary lo guardò incredula. «Io ho baciato te?»
Jace la guardò con una scintillante malizia. «Non preoccuparti» le disse. «Non è stato troppo memorabile nemmeno per me.»
Clary lo guardò allontanarsi sentendo allo stesso tempo il bisogno di scoppiare a piangere e di corrergli dietro per tirargli un calcio negli stinchi. Sapendo che entrambe le cose gli avrebbero fatto solo piacere, non fece né l'una né l'altra, ma tornò mesta in camera sua.
Simon era in piedi al centro della stanza, con un'aria persa. Si era rimesso gli occhiali. Clary risentì nella propria testa la voce di Jace: Cosa hai intenzione di fare? Accarezzargli la testa e dirgli che è ancora il tuo amichetto superspeciale?
Clary fece un passo verso di lui, ma si fermò quando vide cosa aveva in mano. Il suo album, aperto sul disegno che stava facendo, quello in cui Jace aveva le ali da angelo. «Bel disegno» disse. «Tutte quelle lezioni con la Tisch stanno dando i loro frutti.»
Normalmente Clary gli avrebbe detto che aveva fatto male a guardare il suo album, ma non era il momento giusto. «Simon, senti...»
«Riconosco che andare in camera tua a mettere il broncio non è stata una gran mossa» la interruppe mentre buttava l'album sul letto. «Ma dovevo prendere la mia roba.»
«Dove vai?» chiese lei.
«A casa. Sono rimasto qui già troppo. I mondani come me non dovrebbero stare in un posto come questo.»
Clary sospirò. «Senti, mi dispiace, va bene? Non avevo intenzione di baciarlo, è successo e basta. Lo so che Jace non ti piace.»
«No» disse Simon, sempre più impettito. «La coca sgasata non mi piace. Le orrende canzoni delle boy band non mi piacciono. Non mi piace restare imbottigliato nel traffico. Non mi piacciono i compiti di matematica. Jace lo odio. È chiara la differenza?»
«Ti ha salvato la vita» gli fece notare Clary, anche se sapeva di barare: in fondo Jace aveva partecipato a quella missione perché temeva di finire nei guai se lei si fosse fatta ammazzare.
«Dettagli» disse Simon noncurante. «È un cretino. Pensavo che tu fossi meglio.»
Clary perse la pazienza. «Oh, adesso vieni a farmi la predica proprio tu?» scattò. «Sei tu quello che aveva intenzione di invitare a uscire la ragazza "con il corpo più da paura" della scuola» disse mimando il tono di voce pigro di Eric. La bocca di Simon si tese per la rabbia. «E anche se Jace ogni tanto è un po' uno stronzo? Tu non sei mio fratello e neanche mio padre e non ti deve piacere per forza. A me le tue ragazze non sono mai piaciute, ma almeno ho avuto la decenza di tenermelo per me.» «Questa» disse Simon tra i denti «è un'altra faccenda.»
«Ah, sì? E perché?»
«Perché ho visto come lo guardi!» urlò lui. «E io non ho mai guardato così nessuna di quelle ragazze! Era solo una cosa da fare, per me, un modo per tenermi occupato finché...»
«Finché cosa?» Clary si rendeva conto che si stava comportando in modo orribile, che tutta quella situazione era orribile. Non avevano mai litigato prima per qualcosa di più serio di chi aveva mangiato l'ultimo biscotto della scatola nel loro fortino. Ma non riusciva a smettere. «Finché non fosse arrivata Isabelle? Non posso credere che tu mi stia facendo la predica su Jace quando hai fatto la figura del cretino sbavando dietro a lei!» Clary stava ormai urlando.
«Stavo cercando di ingelosirti!» gridò Simon. Aveva le mani strette a pugno lungo i fianchi. «Sei così stupida, Clary, sei così stupida! Ma non capisci proprio niente?»
Lei lo fissò sbalordita. Cosa diavolo voleva dire? «Stavi cercando di ingelosirmi? E perché avresti dovuto fare una cosa del genere?» Capì subito che era la cosa peggiore che potesse chiedergli.
«Perché» rispose lui con tanta amarezza da scioccarla «sono dieci anni che sono innamorato di te e mi sembrava che fosse ora di scoprire se anche tu provavi lo stesso per me. E direi che la risposta è no.»
Era come se le avesse tirato un calcio allo stomaco. Clary non riusciva a parlare. L'aria le era stata risucchiata fuori dai polmoni. Lo fissò cercando di mettere insieme una risposta, una risposta qualsiasi.
Simon la bloccò in malo modo. «Lascia perdere. Non c'è niente che tu possa dire.» Clary lo guardò avvicinarsi alla porta come se fosse stata paralizzata: non riusciva a muovere un muscolo per trattenerlo, per quanto desiderasse farlo. Cosa avrebbe potuto dirgli? Anche io ti amo? Ma non era vero. Oppure sì?
Simon si fermò sulla porta, una mano sulla maniglia, e si voltò verso di lei. I suoi occhi, dietro gli occhiali, ora sembravano più stanchi che arrabbiati. «Vuoi sapere qual era l'altra cosa che mia mamma diceva su di te?» Clary scosse il capo.
Lui sembrò non accorgersene. «Diceva che mi avresti spezzato il cuore» disse, e poi uscì dalla stanza. La porta si chiuse dietro di lui con un clic deciso e Clary restò sola.
Quella sì, pensò con un sarcasmo che apparteneva più a Jace che a lei, che era una battuta fulminante per un'uscita di scena.
Dopo che Simon se ne fu andato, Clary sprofondò nel letto e raccolse l'album. Se lo strinse al petto: non aveva voglia di disegnare, aveva solo bisogno di sentire e annusare qualcosa di familiare: inchiostro, carta, gesso.
Pensò di rincorrere Simon, di cercare di raggiungerlo. Ma cosa gli avrebbe detto? Cosa gli poteva dire? Sei così stupida, Clary, le aveva detto lui. Come fai a essere così stupida?
Pensò a centinaia di cose che Simon aveva detto o fatto, alle battute che Eric e altri avevano fatto su di loro, alle conversazioni interrotte quando lei entrava in una stanza. Jace lo aveva capito dall'inizio. Stavo ridendo perché le dichiarazioni d'amore mi divertono, soprattutto quando si tratta di amori non corrisposti. Lei non si era fermata a chiedersi di cosa stesse parlando, ma ora lo sapeva. Per quello che poteva servirle...
Aveva detto a Simon che in vita sua aveva amato solo tre persone: sua madre, Luke e lui. Si chiese se fosse veramente possibile perdere nello spazio di una settimana tutte le persone che amavi. Si chiese se era il genere di cosa a cui si riusciva a sopravvivere. Eppure per quei brevi istanti nella serra con Jace aveva dimenticato sua madre. Aveva dimenticato Luke. Aveva dimenticato Simon. Ed era stata felice. Quella era la cosa peggiore: era stata felice.
Forse questa cosa... pensò ...il fatto di perdere Simon... forse è la mia punizione per l'egoismo di essere felice, anche solo per un momento, mentre mia madre è ancora chissà dove. Ma in ogni caso non c'era stato niente di reale. Jace poteva anche essere bravissimo a baciare, ma non le importava nulla di lei, lo aveva detto molto chiaramente.
Clary si abbassò l'album da disegno in grembo. Simon aveva ragione: quello di Jace era un bel ritratto. Aveva colto la linea dura della sua bocca, gli occhi incoerentemente vulnerabili. Le ali sembravano così reali che Clary pensò che se vi avesse passato sopra le dita sarebbero state morbide. Lasciò che la sua mano vagasse sopra la pagina, che la sua mente viaggiasse...
E poi ritrasse la mano all'improvviso. Le sue dita non avevano trovato carta, ma morbide piume. I suoi occhi corsero alle rune che aveva scarabocchiato nell'angolo della pagina. Erano luccicanti come quelle disegnate da Jace con il suo stilo.
Il cuore di Clary aveva iniziato a battere con un ritmo rapido e regolare. Se una runa poteva portare in vita un disegno, allora forse...
Senza togliere gli occhi dal foglio, cercò le sue matite. Senza fiato, cercò una pagina intonsa e iniziò a disegnare in fretta la prima cosa che le venne in mente. Era la tazza da caffè appoggiata al comodino accanto al suo letto. Attingendo ai suoi ricordi del corso di natura morta, la disegnò in ogni dettaglio: il bordo sbeccato, la crepa nella maniglia. Quando ebbe finito era il massimo della precisione che lei fosse in grado di ottenere. Guidata da un istinto che non comprendeva bene, allungò una mano verso la tazza e la appoggiò sopra la carta. Poi, facendo molta attenzione, iniziò a tracciare le rune accanto a essa.
STAI LEGGENDO
Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasyavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃