Capitolo 10 (4^parte)

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«No» disse lui. Lo sportello si aprì, lasciando entrare una folata d'aria afosa. La carrozza si era fermata su un grande prato quadrato, circondato da pareti di marmo coperte di muschio. «Comunque, se potessi scegliere, sceglierei questo.»
«Perché?» domandò Clary.
Lui sollevò un sopracciglio, il che rese particolarmente invidiosa la ragazza. Aveva sempre desiderato esser capace di farlo. «Perché» disse Jace
«è la cosa che mi riesce meglio.»
Saltò giù dalla carrozza. Clary si spostò sul bordo del sedile e fece ciondolare fuori le gambe. Era un bel salto, fino all'acciottolato. Saltò. L'impatto le fece un po' male ai piedi, ma non cadde. Si voltò trionfante e vide che Jace la guardava. «Ti avrei aiutata io a scendere» le disse.
Lei socchiuse gli occhi. «Non c'è problema. Non era necessario.»
Lui si guardò alle spalle. Fratello Geremia stava scendendo dal sedile del conducente in un vortice silenzioso di stoffa nera. Non proiettava alcuna ombra sull'erba cotta dal sole. Jace abbassò la mano mentre l'archivista si avvicinava.
«Venite» disse Fratello Geremia. Si allontanò come scivolando dalla carrozza e dalle luci confortanti della 2nd Avenue alle sue spalle, per dirigersi verso il centro oscuro del giardino. Era evidente che si aspettava che lo seguissero.
L'erba era secca e scricchiolava sotto i loro piedi, i muri di marmo lisci e perlacei al chiaro di luna. C'erano delle date e dei nomi incisi nella pietra: PHELPS, ELLSWORTH, HALL. Clary impiegò un istante a capire che erano lapidi. Un brivido le corse lungo la schiena. Dov'erano i corpi? Dentro le pareti, sepolti in piedi, come se fossero stati murati vivi?
Dimenticò di guardare dove stava mettendo i piedi. Quando andò a sbattere contro qualcosa di inequivocabilmente vivo, lanciò un urlo.
Era Jace. «Non strillare a quel modo. Sveglierai i morti.»
Lei gli fece una smorfia. «Perché ci siamo fermati?»
Jace indicò Fratello Geremia, che si era bloccato davanti a una statua appena più alta di lui, la base coperta di muschio. Era un angelo. Il marmo era così liscio da sembrare trasparente. Il volto dell'angelo era insieme feroce, bellissimo e triste. Nelle sue lunghe mani bianche, stringeva una coppa con il bordo tempestato di gioielli. Qualcosa, in quella statua, solleticava la memoria di Clary con inquietante familiarità. C'era una data incisa sul basamento, 1234, e attorno a essa le parole: NEPHILIM: FACILIS DESCENSUS AVERNI. «Quella sarebbe la Coppa Mortale?» chiese
Clary.
Jace annuì. «E quello è il motto dei Nephilim... dei Cacciatori.»
«Cosa vuol dire?»
Il sorriso di Jace fu un lampo bianco nell'oscurità. «Significa "Cacciatori: strafighi in nero dal 1234".»
«Jace...»
«Significa» disse Geremia «"La discesa all'Inferno è facile".»
«Carino» disse Clary. La sua pelle fu percorsa da un brivido, nonostante il caldo.
«È uno scherzetto dei Fratelli, quella scritta» aggiunse Jace. «Vedrai.»
Clary guardò Fratello Geremia. Aveva estratto uno stilo lievemente luminoso da una tasca interna della tunica, e con la punta disegnò una runa sulla base della statua. La bocca dell'angelo di pietra si spalancò all'improvviso in un urlo silenzioso e questa volta Clary emise un grido soffocato di raccapriccio. Fece un passo indietro, mentre una nera cavità si apriva nella terra erbosa ai piedi di Geremia. Sembrava una tomba scoperchiata.
Si avvicinò lentamente al bordo e sbirciò dentro. Dei gradini di granito scendevano nella fossa, i bordi consunti dagli anni. A intervalli regolari c'erano delle torce che mandavano luci color verde e blu ghiaccio. Il fondo delle scale si perdeva nell'oscurità.
Jace iniziò a scendere con la tranquillità di chi trova una situazione familiare, anche se non del tutto gradevole. Non aveva ancora raggiunto la prima torcia quando si voltò e sollevò lo sguardo su Clary. «Vieni» disse impaziente.
Clary aveva appena messo piede sul primo gradino quando si sentì stringere il braccio in una morsa gelida. Alzò lo sguardo sbalordita. Fratello Geremia la teneva per un polso, le sue dita bianche e fredde che le affondavano nella pelle. Clary vide il bagliore ossuto del suo volto devastato oltre l'orlo del cappuccio.
«Non temere» disse la voce di Geremia dentro la testa della ragazza. «Ci vuol molto più di un urlo umano per svegliare questi morti.»
Quando le lasciò il braccio, Clary si affrettò giù per le scale all'inseguimento di Jace, col cuore che le martellava nel petto. La stava aspettando ai piedi delle scale. Aveva preso una delle torce dal suo anello e la teneva all'altezza degli occhi. Quel fuoco dava una sfumatura verde alla sua pelle e offuscava il colore dei suoi occhi. «Tutto bene?»
Clary annuì. Non osava parlare. Le scale terminavano in una sorta di pianerottolo: davanti a loro si allungava un tunnel, lungo e nero, venato dalle radici ricurve degli alberi. Una fioca luce bluastra era visibile in fondo. «È così... buio» disse Clary con un filo di voce.
«Vuoi che ti tenga la mano?»
Clary si portò entrambe le mani dietro la schiena, come una bambina. «Piantala di guardarmi dall'alto in basso.»
«Be', sarebbe difficile fare il contrario. Sei un tale tappo...» Jace guardò al di là di Clary. Dalla torcia piovevano scintille a ogni suo movimento. «Non c'è bisogno di fare cerimonie, Fratello Geremia» disse. «Vai avanti tu. Noi ti seguiamo.»
Clary fece un salto e si guardò alle spalle: non era ancora abituata ai movimenti silenziosi dell'archivista. Fratello Geremia si spostò senza produrre alcun suono dal punto in cui si era fermato, dietro di lei, e si incamminò lungo il tunnel. Dopo un istante Clary lo seguì, spostando con uno schiaffo la mano tesa di Jace.

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