Capitolo 3 (2^parte)

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«Io pericolosa?» gli fece eco Clary sbalordita. «Ti ho visto uccidere una persona, ieri sera. Ti ho visto piantargli un coltello nelle costole e...» E ho visto lui tagliarti con unghie che sembravano lame di rasoio. Ho visto che sanguinavi, e adesso sembra che non ti sia fatto nemmeno un graffio.
«Io sarò anche un assassino» disse Jace. «Ma so quello che sono. Tu puoi dire altrettanto?»
«Io sono un essere umano qualsiasi, proprio come hai detto tu. Chi è Hodge?»
«Il mio tutore. E non mi darei dell'essere umano qualsiasi tanto in fretta, se fossi in te.» Si chinò verso di lei. «Fammi vedere la mano destra.»
«La mano destra?» ripeté Clary. Lui annuì. «Se ti faccio vedere la mano mi lascerai in pace?»
«Certo.» La voce di Jace aveva una sfumatura divertita.
Clary gli tese la mano con un'espressione guardinga. Era pallida nella debole luce che usciva dalle finestre, le nocche punteggiate da una lieve spolverata di lentiggini. In qualche modo si sentì esposta, come se si fosse sollevata la camicetta e gli avesse mostrato il seno nudo. Lui le prese la mano tra le sue e la girò. «Niente.» Sembrava deluso. «Tu non sei mancina, vero?»
«No. Perché?»
Le lasciò andare la mano con una scrollata di spalle. «La maggior parte degli Shadowhunters vengono marchiati sulla mano destra, o sulla sinistra, se sono mancini come me, quando sono ancora molto piccoli. È una runa permanente che dà un'abilità speciale con le armi.» Le mostrò il dorso della mano sinistra, che a lei parve assolutamente normale.
«Non vedo niente» disse.
«Rilassa la mente» le suggerì lui. «Aspetta che arrivi da solo. Come se fossi al mare e aspettassi che qualcuno torni in superficie.»
«Tu sei pazzo» disse Clary. Però si rilassò, continuò a fissare la mano di Jace, le righe sottili sulle nocche, le giunture affusolate delle dita...
Le balzò davanti agli occhi all'improvviso, luminoso come un semaforo: un marchio nero simile a un occhio sul dorso della mano. Sbatté gli occhi e il marchio scomparve. «Un tatuaggio?»
Lui sorrise divertito e abbassò la mano. «Lo sapevo che ci saresti riuscita. No, non è un tatuaggio... è un marchio. Sono rune che vengono incise a fuoco sulla nostra pelle.»
«E ti rendono più bravo con le armi?» Clary trovava difficile crederlo, anche se forse era più facile che credere all'esistenza degli zombi.
«Marchi diversi hanno effetti diversi. Alcuni sono permanenti, ma gli altri di solito scompaiono dopo essere stati usati.»
«È per questo che oggi non hai le braccia piene di segni?» chiese Clary.
«Neanche se mi concentro?»
«Esatto.» Jace sembrava fiero di sé. «Lo sapevo che avevi almeno la Vista.» Sollevò lo sguardo verso il cielo. «È quasi buio. È meglio che andiamo.»
«Andiamo? Avevi detto che mi avresti lasciata in pace!»
«Mentivo» disse Jace senza un'ombra di imbarazzo. «Hodge ha detto che devo portarti con me all'Istituto. Ti vuole parlare.»
«E perché mi vorrebbe parlare?»
«Perché adesso conosci la verità» disse Jace. «Saranno almeno cent'anni che nessun mondano sa di noi.»
«Di noi?» gli fece eco Clary. «Vuoi dire di quelli come te? Di quelli che credono nei demoni?»
«No, di quelli che li uccidono» disse Jace. «Siamo Shadowhunters, Cacciatori. O almeno è così che ci chiamiamo fra noi. I Sotterranei ci danno dei nomi molto più sgradevoli.»
«Chi sono i Sotterranei?»
«I Figli della Notte. Stregoni. Esseri magici. Il popolo magico di questa dimensione.»
Clary scosse il capo. «Ma certo, come no? E immagino che ci siano anche vampiri, lupi mannari e zombi, vero?»
«Naturalmente» la informò Jace con aria distaccata. «Anche se gli zombi si trovano quasi tutti più a sud, dove vivono i sacerdoti vudù.»
«E le mummie? Se ne vanno in giro per l'Egitto?»
«Non essere ridicola. Nessuno crede alle mummie.»
«Ah, no?»
«Certo che no» la fulminò Jace impaziente. «Senti, Hodge ti spiegherà tutto quando sarai arrivata all'Istituto.»
Clary incrociò le braccia davanti al petto. «E se io non volessi venire?»
«È un problema tuo. Ci verrai, volente o nolente.»
Clary non credeva alle proprie orecchie. «Stai minacciando di rapirmi?» «Se la vuoi mettere in questi termini...» rispose Jace impassibile «... sì.»
Clary aprì la bocca per protestare, ma fu interrotta da un ronzio stridulo.
Il suo telefono stava squillando di nuovo.
«Rispondi, se vuoi» le concesse Jace.
Il telefono tacque. Poi ripartì, forte e insistente. Clary corrugò la fronte: sua madre stava proprio sclerando. Si voltò un po' di lato e iniziò a rovistare nella borsa. Quando trovò il telefono, era già alla terza chiamata. Se lo portò all'orecchio. «Mamma?»
«Oh, Clary. Oh, grazie a Dio!» Un brivido di paura corse lungo la spina dorsale di Clary. Sua madre sembrava in preda al panico. «Ascoltami...»
«È tutto a posto, mamma. Sto bene. Torno a casa subito...»
«No!» La voce di Jocelyn era arrochita dal terrore. «Non tornare a casa! Hai capito cosa ho detto, Clary? Non tornare a casa. Vai da Simon... Vai dritta a casa di Simon e restaci finché io...» Fu interrotta da un rumore di sottofondo, il suono di qualcosa che cadeva, qualcosa che andava in frantumi, qualcosa di pesante che colpiva il pavimento...
«Mamma!» urlò Clary nel telefono. «Mamma, stai bene?»
Dal telefono uscì un forte ronzio. La voce della madre di Clary riuscì a superare le scariche elettrostatiche: «Promettimi che non tornerai a casa. Vai da Simon e chiama Luke... digli che lui mi ha trovata...» Le sue parole furono coperte da un forte rumore, come di legno che viene fatto a pezzi.
«Chi ti ha trovata? Mamma, hai chiamato la polizia? Hai...»
Le sue domande concitate furono interrotte da un rumore che Clary non avrebbe mai dimenticato: un suono acuto, strisciante, seguito da un colpo secco. Clary sentì sua madre respirare a fatica prima di parlare con una voce di una calma inquietante: «Ti voglio bene, Clary.» E poi cadde la comunicazione.

«Mamma!» strillò Clary nel telefono. «Mamma, ci sei?» CHIAMATA INTERROTTA, diceva lo schermo del cellulare. Ma perché sua madre le aveva riappeso in faccia a quel modo? A meno che...
«Clary» disse Jace. Era la prima volta che gli sentiva pronunciare il suo nome. «Cosa succede?»
Clary lo ignorò. Premette freneticamente il pulsante che componeva il suo numero di casa. Il telefono squillò una volta prima che rispondesse una voce metallica: "In questo momento l'utente non è raggiungibile. Vi preghiamo di riagganciare e..."
Le mani di Clary iniziarono a tremare in modo incontrollabile. Quando cercò di comporre di nuovo il numero, il telefono le scivolò di mano e cadde a terra. Si buttò in ginocchio per recuperarlo, ma aveva una lunga crepa, davanti, e non funzionava più. «Maledizione!» Sul punto di piangere, Clary gettò di nuovo il telefono a terra.
«Smettila.» Jace la rimise in piedi. «Cosa è successo?»
«Dammi il tuo cellulare» disse Clary prendendo l'oggetto di metallo nero dalla forma allungata dal taschino della camicia di Jace. «Devo...»
«Non è un telefono» disse Jace senza nemmeno accennare a riprenderselo. «È un sensore. E tu non saresti in grado di usarlo.»
«Ma devo chiamare la polizia!»
«Prima dimmi cosa è successo.» Clary cercò di liberarsi il polso, ma la presa di Jace era incredibilmente forte. «Ti posso aiutare.»
La rabbia si impadronì di Clary, come una marea ardente nelle vene. Senza pensarci colpì il volto del ragazzo e vi affondò le unghie. Lui scattò all'indietro, sorpreso. Clary si divincolò e corse verso le luci della 7th Avenue.
Quando raggiunse la strada si voltò, aspettandosi di vedere Jace che la rincorreva. Ma il vicolo alle sue spalle era deserto. Per un istante restò ferma a fissare le ombre. Non si mosse nulla. Girò sui tacchi e corse verso casa.

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