Clary si abbassò il vestito, felice che lui non potesse vederla, al buio. Le sue calze a rete avevano una grossa smagliatura. «Sì.»
Jace estrasse la spada angelica, che emetteva una luce fioca, e la sollevò per cercare di capire dove si trovassero. Erano in uno spazio dal soffitto basso con il pavimento di cemento pieno di crepe. Riquadri di terra polverosa indicavano i punti in cui il cemento si era rotto, e Clary vide che dei rampicanti neri avevano già cominciato a risalire le pareti. Un vano privo di porta si apriva su un'altra stanza.
Un forte colpo sordo la fece sobbalzare. Quando si voltò vide Raphael che atterrava con le ginocchia piegate, a pochi centimetri da lei. Li aveva seguiti attraverso la grata. Il ragazzo si rialzò e rivolse loro un sorriso folle: «Holà!»
Jace, con la stregaluce in una mano e la spada angelica nell'altra, lo guardò furente. «Ti avevo detto...»
«E io ti ho sentito.» Raphael liquidò la frase di Jace con un movimento della mano. «Cosa pensi di fare? Non posso uscire da dove siamo entrati e non puoi lasciarmi qui da solo per farmi trovare dai morti... vero?»
«Non è detto» disse Jace, ma il suo tono non era troppo minaccioso. Aveva un'aria stanca, notò Clary con un certo stupore, e le ombre sotto i suoi occhi erano più pronunciate.
Raphael indicò la strada. «Dobbiamo andare da quella parte, verso le scale. Loro stanno ai piani più alti dell'albergo. Vedrete.» Superò Jace e oltrepassò il vano della porta. Jace lo guardò scuotendo il capo. «Sto decisamente iniziando a odiare i mondani» disse.
Il piano più basso dell'albergo era un dedalo di corridoi labirintici che si aprivano su magazzini vuoti, su una lavanderia deserta - con pile di asciugamani di lino ammuffiti ammucchiati dentro cesti di vimini marci - e su una cucina spettrale, i cui banchi di acciaio inossidabile affondavano nell'ombra. Quasi tutte le scale che portavano al piano di sopra erano scomparse: non marcite, ma abbattute deliberatamente, ridotte a mucchi di legna da ardere impilati alle pareti, con attaccati pezzi di tappeti persiani un tempo preziosi e ora ridotti a infiorescenze di muffa pelosa.
Le scale mancanti sconcertarono Clary. Cosa avevano i vampiri contro le scale? Alla fine ne trovarono una integra, nascosta dietro la lavanderia. Probabilmente le cameriere la usavano per trasportare la biancheria su e giù dai piani, prima dell'introduzione degli ascensori. I gradini erano ricoperti di polvere, come uno strato di neve grigia e asciutta che fece tossire Clary.
«Ssh» sibilò Raphael. «Ti sentiranno. Siamo vicini al posto dove dormono.»
«Come fai a saperlo?» gli sussurrò lei scocciata. Quel tipo non avrebbe dovuto nemmeno essere lì, cosa gli dava il diritto di darle lezioni su cosa fare e cosa non fare?
«Lo sento.» L'angolo dell'occhio di Raphael ebbe uno spasmo e Clary capì che era spaventato quanto lei. «Tu no?»
La ragazza scosse il capo. Non sentiva niente, a parte uno strano freddo:
dopo il caldo soffocante all'esterno, il fresco dentro l'albergo era notevole.
In cima alle scale c'era una porta con la parola HALL appena leggibile sotto la polvere accumulata negli anni. Quando Jace la aprì, schizzò ruggine dappertutto. Clary si strinse le braccia al petto...
Ma la hall era vuota. Erano in un grande ingresso con la moquette marcia e sollevata a mostrare il parquet scheggiato sottostante. Un tempo l'elemento centrale della sala era stata la grande scalinata dalle curve aggraziate, affiancata da corrimano dorati e con una ricca passatoia rossa e dorata. Ora restavano solo i gradini più alti, che portavano verso il buio. La scala, infatti, finiva a mezz'aria, appena sopra le loro teste. Era una visione surreale che sembrava uscire da uno di quei quadri di Dalì o di Magritte che a Jocelyn piacevano tanto. Questo, pensò Clary, si sarebbe intitolato La scala per il nulla.
La sua voce suonò secca e polverosa come quell'ambiente. «Cos'hanno i vampiri contro le scale?»
«Niente» disse Jace. «Solo che non hanno bisogno di usarle.»
«È un modo di mostrare che questo posto è loro.» Gli occhi di Raphael erano luminosi. Sembrava eccitato. Jace lo guardò di traverso.
«Hai mai visto un vampiro, Raphael?» chiese.
Raphael lo guardò con un'espressione quasi assente. «So che aspetto hanno. Sono più pallidi e più magri degli esseri umani, ma molto forti. Camminano come gatti e scattano con l'agilità dei serpenti. Sono belli e terribili. Come questo albergo.»
«Tu lo trovi bello?» chiese Clary sorpresa.
«Puoi vedere com'era anni fa. È come una donna anziana che in passato è stata bella, ma ormai il tempo le ha portato via la sua bellezza. Immagina questa scala com'era un tempo, con le lampade a gas accese come lucciole nel buio, e le terrazze piene di persone. Non com'è adesso, così...» Si interruppe, alla ricerca della parola giusta.
«Monco?» suggerì secco Jace.
Raphael sembrò quasi spaventato, come se Jace lo avesse risvegliato da un sogno a occhi aperti. Fece un risolino incerto e si voltò.
Clary si rivolse a Jace. «Dove sono? I vampiri, voglio dire.»
«Di sopra, probabilmente. A loro piace stare in alto quando dormono, come ai pipistrelli. Ed è quasi giorno.»
Come burattini attaccati a dei fili, Clary e Raphael guardarono contemporaneamente in alto. Sopra di loro non c'era nulla, a parte il soffitto affrescato, crepato e a tratti annerito come se vi fosse scoppiato un incendio. Un arco alla loro sinistra dava su uno spazio buio: le colonne malconce sui due lati erano coperte di bassorilievi di foglie e fiori. Mentre Raphael abbassava lo sguardo, una cicatrice alla base della sua gola, bianchissima contro la pelle scura, lampeggiò come se le facesse l'occhiolino. Clary si chiese come se la fosse fatta.
«Credo che dovremmo tornare alla scala di servizio» sussurrò la ragazza.
«Qui mi sento troppo esposta, e poi non c'è modo di salire.»
Jace annuì. «Lo sai, vero, che quando ci arriveremo dovrai chiamare Simon e sperare che ti senta? Non c'è altro modo di trovarlo.»
Clary si chiese se le si vedeva in faccia la paura che provava. «Io...»
Le sue parole furono interrotte da un urlo da gelare il sangue. Clary si voltò di scatto.
Raphael. Era scomparso, nemmeno un'impronta nella polvere a indicare da che parte fosse andato... o fosse stato trascinato. Istintivamente allungò una mano verso Jace, ma lui si stava già muovendo, correva verso l'arco che si apriva nella parete opposta e verso le ombre dietro di esso. Clary non riusciva a vederlo, ma seguì la stregaluce che aveva in mano, come un viaggiatore guidato attraverso una palude da un inaffidabile fuoco fatuo.
Dietro l'arco c'era quella che un tempo doveva essere stata una grandiosa sala da ballo. Il pavimento in rovina era di marmo bianco, ma ora era così distrutto da sembrare un tratto di iceberg alla deriva. Lungo le pareti correvano terrazze curve con balaustre velate di ruggine, e a intervalli regolari c'erano specchi con le cornici dorate, tutti sormontati da una testa di cupido anch'essa dorata. L'aria stagnante era attraversata da ragnatele che ricordavano antichi veli nuziali.
Raphael era in piedi al centro della sala, le braccia lungo i fianchi. Clary corse da lui, con Jace che la seguiva più piano. «Stai bene?» chiese la ragazza senza fiato.
Il ragazzo annuì lentamente. «Mi era sembrato di vedere qualcosa che si muoveva nell'ombra. Non era niente.»
«È tutto a posto» disse Clary, senza riuscire a convincere nemmeno se stessa. C'era qualcosa nell'espressione di Jace...
«Abbiamo deciso di tornare alle scale di servizio» disse Jace. «Non c'è niente su questo piano.»
Raphael annuì. «Ottima idea.»
Si diresse verso la porta senza guardare se qualcuno li seguiva. Aveva fatto solo qualche passo quando Jace chiamò il suo nome. «Raphael?»
Raphael si voltò, gli occhi spalancati come a chiedere cosa stava succedendo, e Jace lanciò il suo pugnale.
I riflessi di Raphael furono veloci, ma non abbastanza. La lama colpì il bersaglio e la forza dell'impatto lo gettò a terra. I piedi gli si sollevarono dal pavimento e cadde pesantemente sul marmo crepato. Nella penombra della stregaluce il suo sangue sembrava nero.
«Jace!» sibilò Clary incredula e scioccata. Aveva detto che odiava i mondani, ma non avrebbe mai...
Mentre si voltava per andare a soccorrere Raphael, Jace la gettò brutalmente da una parte, si lanciò sul ragazzo a terra e afferrò il pugnale che spuntava dal suo petto.
Ma Raphael fu più veloce. Prese il coltello e urlò quando la sua mano entrò in contatto con l'elsa a forma di croce. L'arma cadde sul pavimento di marmo, la lama sporca di nero. Jace aveva una mano chiusa sulla stoffa della camicia di Raphael e la Sanvi nell'altra. La spada brillava di una luce tanto intensa che Clary riuscì a distinguere i colori: il blu elettrico stinto della carta da parati, gli intarsi dorati del pavimento di marmo, la macchia rossa che si allargava sul petto di Raphael.
Ma Raphael stava ridendo. «Hai sbagliato mira» disse con un ghigno che gli scoprì per la prima volta un paio di incisivi bianchi e appuntiti. «Hai mancato il cuore.»
Jace strinse la presa. «Ti sei mosso all'ultimo momento» disse. «Decisamente maleducato.»
Raphael fece una smorfia e sputò rosso. Clary indietreggiò guardandolo con orrore man mano che capiva.
«Quando lo hai capito?» chiese Raphael. Il suo accento era scomparso, le sue parole erano diventate più precise.
«Ci ho pensato nel vicolo» disse Jace. «Ma immaginavo che ci avresti fatti entrare nell'albergo, prima di attaccarci. Una volta entrati non saremmo più stati protetti dall'Alleanza. Bella mossa. Quando non l'hai fatto ho pensato che forse mi ero sbagliato. Poi ho visto la cicatrice sulla gola.» Si rilassò un po', senza spostare la lama dalla gola di Raphael. «Quando ho visto quella catenella ho pensato che era una di quelle a cui si appendono le croci. Ed era così, vero? C'era una croce appesa alla catenella, quando sei uscito per andare dalla tua famiglia. In fondo è domenica sera, e cos'è la cicatrice di una piccola bruciatura per quelli come te che guariscono così in fretta?»
Raphael scoppiò a ridere. «Tutto qui? La mia cicatrice?»
«Quando sei uscito dalla hall, i tuoi piedi non hanno lasciato tracce nella polvere. A quel punto non ho più avuto dubbi.»
«Non è stato tuo fratello a entrare qui alla ricerca dei mostri, vero?» disse Clary. «Eri tu.»
«Siete tutt'e due molto intelligenti» sogghignò Raphael. «Ma non abbastanza. Guardate su» disse sollevando una mano per indicare il soffitto.
Jace allontanò quella mano senza spostare lo sguardo da Raphael. «Clary. Cosa vedi?»
La ragazza sollevò lentamente la testa con il terrore che le stringeva la bocca dello stomaco.
Devi immaginare questa scala com'era un tempo, con le lampade a gas accese come lucciole nel buio e le terrazze piene di persone. E adesso erano piene di persone, file su file di vampiri con i loro volti bianchi e morti, le loro bocche rosse spalancate, che li guardavano sbalorditi.
La bocca di Clary era così asciutta che fece fatica a farne uscire delle parole. «Sono qui. Sono tutti qui, Jace.»
Jace stava ancora guardando Raphael. «Li hai chiamati tu, vero?»
Raphael stava ancora sorridendo. Il sangue aveva smesso di scorrere dal-
la ferita al petto. «Ha importanza? Sono in troppi anche per te, Wayland.»
Jace non disse nulla. Sebbene non si fosse mosso, aveva il respiro accelerato, e Clary sentiva quasi la forza del suo desiderio di uccidere il ragazzo vampiro, di infilargli il pugnale nel cuore e cancellare per sempre quel sorriso dal suo volto. «Jace» gli disse. «Non ucciderlo.»
«Perché no?»
«Forse possiamo usarlo come ostaggio.»
Gli occhi di Jace si spalancarono. «Come ostaggio?»
Clary li vide stagliarsi sulla porta ad arco, ancora più numerosi, silenziosi come i Fratelli della Città di Ossa. Ma i Fratelli non avevano la pelle così bianca e incolore e nemmeno mani ripiegate a formare degli artigli...
Clary si leccò le labbra secche. «So quello che dico. Fallo alzare in piedi, Jace.»
Jace la guardò, poi scrollò le spalle. «Come vuoi.»
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Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasiavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃