Capitolo 7 (2^parte)

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«Già, a cosa?» La vecchia strizzò un occhio e fece per prendere un tramezzino dal vassoio, ma si accorse che era vuoto. Clary aveva mangiato tutto. Dorothea ridacchiò. «Fa piacere vedere una signorina che ci dà dentro col cibo. Ai miei tempi le ragazze erano creature robuste e ben piantate, non degli scheletri ambulanti come al giorno d'oggi.»
«Grazie» disse Clary. Pensò alle braccia snelle e alla vita sottile di Isabelle e si sentì improvvisamente enorme. Mise giù la tazzina del tè facendola tintinnare.
Madame Dorothea si chinò immediatamente sulla tazza e vi guardò dentro con grande attenzione. Tra le sopracciglia disegnate a matita le comparve una ruga.
«Cosa c'è?» domandò Clary nervosa. «Ho rotto la tazza?»
«Sta leggendo le tue foglie di tè» disse Jace. Aveva assunto un tono annoiato, ma si chinò lo stesso in avanti insieme a Clary, mentre Dorothea aggrottava la fronte e rigirava la tazzina tra le dita grassocce.
«Brutte notizie?» chiese Clary.
«Né brutte né belle. È tutto confuso.» Dorothea guardò Jace. «Dammi la tua tazza» ordinò.
Jace sembrò offeso. «Ma non ho ancora finito il...»
La vecchia gli strappò di mano la tazza e gettò il tè avanzato nella teiera. Sollevò le sopracciglia e guardò il fondo della tazza. «Nel tuo futuro vedo violenza, vedo molto sangue versato da te e da altri. Ti innamorerai della persona sbagliata. E hai un nemico.»
«Uno solo? È una buona notizia.» Jace si rilassò sulla sedia, mentre Dorothea metteva giù la sua tazza e riprendeva quella di Clary. Scosse il capo.
«Qui non c'è niente che io possa leggere. Le immagini sono confuse, prive di senso.» Alzò gli occhi verso Clary. «Hai un blocco mentale?» «Un cosa?» rispose Clary perplessa.
«Una specie di incantesimo per tenere nascosto un ricordo, o per bloccare la tua Vista.»
Clary scosse il capo. «No. Certo che no.»
Jace si chinò in avanti, improvvisamente all'erta. «Non essere precipitosa» disse. «In effetti Clary dice che non ricorda nemmeno di avere avuto la Vista, prima di questa settimana. Forse...»
«Forse ho soltanto uno sviluppo ritardato» sbottò Clary. «E non fare quella faccia, sai cosa voglio dire!»
Jace assunse un'espressione ferita. «Non stavo facendo nessuna faccia.» «E invece sì.»
«Forse» ammise Jace. «Ma questo non vuol dire che io abbia torto. C'è qualcosa che blocca i tuoi ricordi, ne sono quasi sicuro.»
«Va bene, allora proviamo qualcos'altro.» Dorothea mise giù la tazza e prese i tarocchi. Aprì le carte a ventaglio e le porse a Clary. «Fai passare la mano sopra queste carte finché non ne tocchi una che ti sembra calda o fredda o che resti attaccata alle dita. Poi prendila e fammela vedere.»
Clary obbedì. Fece scorrere le dita sopra le carte. Erano fresche e lisce, ma nessuna le parve particolarmente calda o fredda e nessuna le restò attaccata. Alla fine ne scelse una a caso e la tirò fuori dal mazzo.
«L'asso di coppe» disse Dorothea. Sembrava stupita. «La carta dell'amore.»
Clary la voltò per guardarla. Era pesante: l'immagine era dipinta con veri colori a tempera. Mostrava una mano che reggeva una coppa di fronte a un sole radioso dipinto in oro. Anche la coppa era d'oro, con dei piccoli soli incisi sopra, ed era tempestata di rubini. Lo stile del dipinto era familiare a Clary quanto il suo respiro. «È una buona carta, giusto?»
«Non necessariamente. Le cose peggiori gli uomini le fanno proprio in nome dell'amore» disse Madame Dorothea con gli occhi che scintillavano. «Però è una carta potente. Cosa significa per te?»
«Che l'ha dipinta mia madre» disse Clary lasciando cadere la carta sul tavolo. «È stata lei, vero?»
Dorothea annuì e le comparve in volto un'espressione compiaciuta. «Ha dipinto tutto il mazzo. Un regalo per me. Un gesto gentile, da parte sua.» «Questo è quello che dice lei.» Jace si alzò in piedi, gli occhi gelidi.
«Quanto conosceva la madre di Clary?»
Clary sollevò il capo per guardarlo. «Jace, non devi...»
Dorothea si accomodò meglio sulla sedia, le carte aperte a ventaglio davanti al petto imponente. «Jocelyn sapeva cos'ero io e io sapevo cos'era lei. Non ne parlavamo molto. A volte mi faceva dei favori, ad esempio dipingermi questo mazzo di carte, e io in cambio le raccontavo qualche pettegolezzo sul Mondo Invisibile. Mi aveva chiesto di tenere le orecchie aperte riguardo un certo nome, e io lo facevo.»
L'espressione di Jace era imperscrutabile. «Quale nome?»
«Valentine.»
Clary si drizzò sulla sedia. Jace sembrava imperturbabile. «E quando dice di sapere cos'era Jocelyn, cosa vuol dire? Cos'era?»
«Jocelyn era quello che era» disse Dorothea. «Ma in passato era come te, una Cacciatrice. Un membro del Conclave.» «No» sussurrò Clary.
Dorothea le rivolse uno sguardo triste, quasi gentile. «È così. È venuta a vivere in questa casa proprio perché...»
«Perché questo è un Rifugio» la interruppe Jace. «È così, vero? Sua madre era una Guardiana, vero? Ha creato questo spazio protetto... il posto ideale in cui rifugiarti se sei un Nascosto in fuga. È questo che fa, nasconde qui dei criminali, giusto?»
«Siete voi a chiamarli così» disse Dorothea. «Ti ricordi il motto dell'Alleanza?»
«Dura lex sed lex» rispose automaticamente Jace. «La Legge è dura, ma è la Legge.»
«Certe volte la Legge è troppo dura. Io so che il Conclave mi avrebbe portato via da mia madre, se avesse potuto. Vuoi che permetta loro di fare la stessa cosa a qualcun altro?»
«Quindi lei è una benefattrice.» Jace arriccio le labbra. «E magari si aspetta che io creda che i Nascosti non la paghino profumatamente per il privilegio di usare il suo Rifugio.»
Dorothea esibì un sorriso tanto largo da lasciar intravedere l'oro dei suoi molari. «Non possiamo vivere tutti di sola bellezza, come te.»
Jace non sembrò colpito dal complimento. «Dovrei dire di lei al Conclave...»
«Non puoi!» Clary scattò in piedi. «Hai promesso.»
«Io non ho promesso niente.» Jace assunse un'aria ribelle. Si avvicinò al muro e scostò bruscamente una delle tende di velluto. «Mi vuol dire cos'è questa?» chiese.
«È una porta, Jace» disse Clary. E in effetti era proprio una porta, stranamente posta nella parete fra le due finestre a bovindo. Evidentemente non portava da nessuna parte, perché altrimenti sarebbe stata visibile dall'esterno della casa. Sembrava fatta di un qualche metallo lucido, più morbido dell'ottone ma pesante come il ferro. La maniglia era a forma di occhio.
«Zitta» Jace era furente. «È un Portale, vero?»
«È una Porta Pentadimensionale» disse Dorothea, rimettendo il mazzo dei tarocchi sul tavolo. «Le varie dimensioni non sono fatte solo di linee rette» aggiunse in risposta allo sguardo interrogativo di Clary. «Ci sono avvallamenti e pieghe e angoli e fessure dappertutto. È un po' difficile da spiegare, se non hai mai studiato Teoria Dimensionale, ma in sostanza questa porta ti può portare ovunque tu voglia. È...»
«Un'uscita di sicurezza» disse Jace. «È per questo che tua madre ha deciso di vivere qui. Poteva sempre scappare all'ultimo momento.»
«Ma allora perché non...» Clary si interruppe in preda all'orrore. «Per me» disse. «Non voleva andarsene senza di me, quella sera. Così è rimasta.»
Jace scosse il capo. «Non puoi prenderti la colpa...»
Gli occhi di Clary si riempirono di lacrime. La ragazza superò Jace e si avvicinò alla porta. «Voglio vedere dove sarebbe andata» disse allungando una mano verso la porta. «Voglio vedere dove sarebbe fuggita...»
«Clary no!» Jace cercò di prenderla, ma le dita di Clary si erano già chiuse attorno alla maniglia. Il pomello girò rapidamente sotto la sua mano e la porta si spalancò come se l'avesse spinta. Dorothea si alzò in piedi con un urlo, ma era troppo tardi. Prima ancora che potesse terminare la frase, Clary si ritrovò sbalzata in avanti, nello spazio vuoto.

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