Epilogo (2^parte)

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Simon annuì. «Non mi sembra male come idea.» Si chinò in avanti e le diede un bacio sullo zigomo. Fu un bacio leggero come una foglia al vento, ma lei sentì un brivido attraversarle le ossa. Lo guardò.
«Sulla tua maglietta c'è scritto THE RAT BASTARDS?» chiese. Lui annuì abbassando lo sguardo. «È il nuovo nome della band.»
«Non preferiresti non pensare più ai... sai... ai roditori?»
Simon scoppiò a ridere. «A New York? È impossibile.»
«Come nome» ammise lei «è meglio degli altri.»
«Grande successo di critica.»
«Ci puoi scommettere.» Saltò giù dal furgone e si sbatté la portiera alle spalle. Sentì Simon suonare il clacson mentre si avvicinava alla porta in mezzo all'erba troppo alta e lo salutò con una mano senza voltarsi.
L'interno della cattedrale era fresco e buio e odorava di pioggia e carta umida. I suoi passi echeggiavano sul pavimento di pietra e ripensò a Jace nella chiesa di Brooklyn. Dio forse esiste o forse no, ma in ogni caso ce la dobbiamo cavare da soli.
In ascensore si diede un'occhiata allo specchio mentre la porta le si chiudeva alle spalle. La maggior parte dei lividi e delle abrasioni era ormai invisibile. Si chiese se Jace l'avesse mai vista tutta linda come quel giorno. Per andare in ospedale si era messa una gonna nera a pieghe, il lucidalabbra rosa e una camicia vintage con il colletto alla marinara. Pensò che dimostrava più o meno otto anni.
Non che avesse molta importanza ciò che Jace pensava del suo aspetto, si disse, né ora né mai. Si chiese se sarebbero mai diventati come Simon e sua sorella: un misto di noia e amorevole fastidio. Non riusciva proprio a immaginarselo.
Sentì i miagolii prima ancora che le porte dell'ascensore si aprissero. «Ehi, Church» disse inginocchiandosi accanto alla palla di pelo grigia che si contorceva per terra. «Dove sono tutti quanti?»
Church, che evidentemente voleva che gli accarezzasse la pancia, emise un borbottio inquietante. Clary cedette con un sospiro. «Stupido di un gatto» disse strofinandolo con decisione. «Dove...»
«Clary!» Era Isabelle, che arrivò in picchiata nell'ingresso con addosso una lunga gonna rossa e i capelli raccolti in cima alla testa con delle mollette ingioiellate. «Che bello vederti!»
Le atterrò addosso con un abbraccio che la fece quasi cadere.
«Isabelle» sussultò Clary «Anch'io sono contenta di rivederti» aggiunse mentre Isabelle la rimetteva dritta.
«Ero così preoccupata per te» disse Isabelle tutta allegra. «Dopo che siete andati in biblioteca con Hodge e io sono rimasta con Alec, ho sentito un'esplosione spaventosa, e quando sono arrivata eravate scomparsi e c'era un caos pazzesco e sangue e robaccia nera dappertutto...» Ebbe un brivido.
«Che cos'era quello schifo?»
«Una maledizione» rispose Clary sottovoce. «La maledizione di Hodge.»
«Tranquilla» disse Isabelle. «Jace mi ha detto tutto di Hodge.»
«Ah, sì?» Clary era sorpresa.
«Che si è fatto togliere la maledizione e se n'è andato? Sì, me lo ha detto. È strano che non sia rimasto nemmeno per salutarci» aggiunse Isabelle. «Sono un po' delusa. Credo che avesse paura del Conclave. Prima o poi scommetto che si farà sentire.»
Così Jace non aveva detto loro che Hodge li aveva traditi e che aveva cercato di ucciderla. Clary non sapeva cosa pensare al riguardo. Comunque, se Jace stava cercando di risparmiare a Isabelle un po' di confusione e di dolore, forse non avrebbe dovuto interferire.
«Comunque» proseguì Isabelle «è stato orribile. Non so cosa avremmo fatto se non si fosse presentato Magnus e non avesse guarito Alec a colpi di magia, se così si può dire. Jace ci ha raccontato quello che è successo poi sull'isola. In effetti lo sapevamo anche prima, perché Magnus è stato tutta la notte al telefono. Nel Mondo Invisibile non si parlava d'altro. Sei famosa, sai?»
«Io?»
«Certo. La figlia di Valentine.»
Clary ebbe un brivido. «Quindi immagino sia famoso anche Jace.»
«Siete famosi tutti e due» disse Isabelle con lo stesso tono superallegro. «I fratelli famosi.»
Clary guardò Isabelle incuriosita. «Non mi aspettavo che saresti stata contenta di vedermi, lo devo ammettere.»
L'altra ragazza si portò le mani sui fianchi, offesa. «Perché no?»
«Non pensavo di piacerti molto.»
Isabelle la guardò per un momento, poi fu come se si sgonfiasse. La sua allegria svanì e abbassò lo sguardo sulle punte argentate dei piedi. «Anche io credevo che tu non mi piacessi» ammise. «Ma quando sono andata a cercare te e Jace, ed eravate scomparsi...» La sua voce si ridusse a un sussurro. «Non ero preoccupata solo per lui, lo ero anche per te. C'è qualcosa di così... rassicurante in te. E Jace è molto meglio, quando ci sei tu nei paraggi.»
Clary spalancò gli occhi. «Davvero?»
«Davvero. È meno intrattabile. Non che diventi più gentile, è solo che ti permette di vedere la sua gentilezza.»
«Isabelle... hai detto una cosa bellissima.»
Isabelle scrollò le spalle. «È la verità. Insomma, all'inizio credo che ce l'avessi un po' con te, ma adesso mi rendo conto che era una cosa stupida. Solo perché non ho mai avuto un'amica non vuol dire che non possa imparare ad averne una.»
«Anche per me è lo stesso, a dire la verità» disse Clary. «E... Isabelle...» «Sì?»
«Non devi sforzarti di essere carina. Mi piaci di più quando sei te stessa.»
«Insopportabile, vuoi dire?» disse Isabelle scoppiando a ridere.
Clary stava per dire qualcosa, quando Alec arrivò nell'ingresso dondolandosi su un paio di stampelle. Aveva una gamba fasciata, i jeans arrotolati fino al ginocchio, e un'altra fasciatura alla tempia, sotto i capelli scuri. A parte questo, sembrava in ottima salute per essere una persona che quattro giorni prima era quasi morta. Agitò una stampella in segno di saluto.
«Ciao» lo salutò Clary, stupita di vederlo in piedi. «Come...»
«Come sto? Abbastanza bene» disse Alec. «Ancora qualche giorno e non mi serviranno più nemmeno queste» aggiunse indicando una stampella.
Clary era devastata dal senso di colpa. Se non fosse stato per lei, Alec non sarebbe stato ferito a quel modo. «Sono davvero contenta che tu stia bene» disse con assoluta sincerità.
Alec sbatté le palpebre. «Grazie.»
«Quindi ti ha rimesso a posto Magnus?» disse Clary. «Ha detto Luke...»
«Cavoli se lo ha rimesso a posto!» intervenne Isabelle. «È stato fantastico. È arrivato e ha detto a tutti di uscire dalla stanza e ha chiuso la porta. In corridoio continuavano a esplodere scintille blu e rosse e il pavimento tremava.»
«Io non ricordo niente» disse Alec.
«Poi è stato seduto al capezzale di Alec fino al mattino per assicurarsi che al suo risveglio stesse bene» aggiunse Isabelle.
«Non ricordo neanche questo» si affrettò a dire Alec.
Le labbra rosse di Isabelle si curvarono in un sorriso. «Chissà come ha fatto a venirlo a sapere Magnus? Gliel'ho chiesto, ma non me lo ha detto.»
Clary pensò al foglietto ripiegato che Hodge aveva gettato nel caminetto dopo che Valentine se n'era andato. Era uno strano uomo, pensò: si era preoccupato di salvare lei e Alec anche mentre stava tradendo tutti e tutto ciò a cui teneva. «Non lo so» disse.
Isabelle scrollò le spalle. «L'avrà sentito da qualche parte. A quanto pare ha degli agganci in un'enorme rete di pettegolezzi. È una tale ragazzaccia...»
«È il Sommo Stregone di Brooklyn, Isabelle» le ricordò Alec, non senza una nota di divertimento nella voce. Poi si rivolse a Clary. «Jace è nella serra, se vuoi vederlo» disse. «Ti accompagno.» «Davvero?» Clary non ci poteva credere.
«Ma certo.» Alec scrollò le spalle. Sembrava solo vagamente a disagio. «Perché no?»
Clary guardò Isabelle, che fece spallucce. Qualsiasi cosa stesse tramando Alec, non ne aveva parlato con sua sorella. «Andate» disse Isabelle. «Io in ogni caso ho delle cose da fare.» Li liquidò con un cenno della mano.
«Sciò.»
Si incamminarono insieme lungo il corridoio. Il passo di Alec era veloce, anche con le stampelle. Clary faticava a stargli dietro. «Ho le gambe corte» gli ricordò ansimando.
«Scusa.» Alec rallentò, contrito. «Senti» le disse. «Quelle cose che mi hai detto, quando ti ho urlato addosso, a proposito di Jace...» «Lo so» disse lei con un filo di voce.
«Quando mi hai detto che tu... sai... che io ero... che era perché...» Sembrava avere difficoltà a formare una frase completa. Ci riprovò. «Quando hai detto che ero...»
«Alec, lascia stare.»
«Certo, va bene.» Serrò le labbra. «Non ti va di parlarne.»
Lei si rese conto di averlo turbato. «Non è quello. È che mi sento così in colpa per quello che ho detto, è stato orribile, non era affatto vero...»
«Invece era tutto vero» disse Alec. «Fino all'ultima parola.»
«Questo non mi giustifica, comunque» disse lei. «Non è obbligatorio dire qualsiasi cosa solo perché è vera. Sono stata cattiva. E quando ho raccontato che Jace mi aveva rivelato che tu non avevi mai ucciso un demone, mi aveva detto che era così perché tu proteggevi sempre lui e Isabelle. Era una cosa bella su di te, quella che mi aveva detto. Jace può essere uno stronzo, ma lui...» Ti vuole bene, stava per dire, ma si fermò. Forse era troppo complicato. «... non mi ha mai detto una parola cattiva su di te, mai, lo giuro» concluse, un po' a corto di fiato.
«Non c'è bisogno che giuri» disse lui. «Lo so già.» Sembrava tranquillo e sicuro di sé come non lo aveva mai sentito prima. Lo guardò, sorpresa. «So anche di non essere stato io a uccidere Abbadon. Ma ho apprezzato il fatto che tu me l'abbia fato credere.»
Clary scoppiò in una risata incerta. «Hai apprezzato il fatto che ti abbia mentito?»

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