Capitolo 19 (1^parte)

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capitolo 19
IL DEMONE DEGLI ABISSI

Clary non sapeva bene cosa si aspettava... esclamazioni di tripudio, magari una salva di applausi. E invece vi fu il silenzio, spezzato solo quando Jace disse: «Però, pensavo fosse più grande.»
Clary guardò la Coppa che aveva in mano. Era grande come un qualsiasi bicchiere da vino, solo molto più pesante. Pulsava di potere, come il sangue nelle vene di un essere vivente. «Va benissimo così» disse indignata.
«Oh, sì, è grande abbastanza» disse lui con un tono paternalistico «ma in qualche modo mi aspettavo qualcosa... sai...» Fece un gesto con le mani a indicare più o meno le dimensioni di un gatto.
«È la Coppa Mortale, Jace, non la Tazza del Cesso Mortale» disse Isabelle. «Abbiamo finito qui? Possiamo andare?»
Dorothea aveva la testa piegata da un lato. I suoi occhi erano luccicanti e attenti. «Ma è rotta!» esclamò. «Come è successo?»
«Rotta?» Clary guardò la Coppa sconcertata. A lei sembrava a posto.
«Dammela» disse la strega. «Ti faccio vedere» e fece un passo verso Clary tendendo le lunghe mani dalle unghie rosse verso la Coppa. Clary, senza sapere il perché, si ritrasse. All'improvviso Jace si mise tra loro, la mano accanto alla spada che teneva alla cintura.
«Senza offesa» disse tranquillamente «ma nessuno tocca la Coppa Mortale a parte noi.»
Dorothea lo guardò per un istante con una strana assenza di espressione. «Cerchiamo di non farci prendere dalla fretta» disse. «Valentine non sarebbe contento se dovesse accadere qualcosa alla Coppa.»
«Valentine?» Fu Alec a parlare, allarmato. «Ma...»
Con un lieve snick la spada di Jace lasciò il proprio fodero. La sua punta si parcheggiò appena sotto il mento di Dorothea. Lo sguardo di Jace era tranquillo. «Non so cosa stia succedendo» disse. «Ma noi ce ne andiamo.»
Gli occhi della vecchia scintillarono. «Ma certo, mio piccolo Cacciatore» disse arretrando verso la parete coperta dalla tenda. «Vuoi usare il Portale?»
La punta della spada tentennò mentre Jace la guardava confuso. Poi Clary vide la sua mascella irrigidirsi. «Non lo tocchi...»
Dorothea ridacchiò. «Benissimo» disse per niente preoccupata, e con la velocità di un lampo strappò via le tende appese al muro, che caddero con un morbido fruscio. Il Portale dietro di esse era aperto.
Clary sentì Alec restare senza fiato alle sue spalle. «E quello cos'è?» La ragazza colse solo uno scorcio di ciò che si vedeva attraverso la Porta: nuvole rosse e turbinanti, attraversate da lampi neri, una forma scura e terrificante che avanzava a grande velocità verso di loro. Jace urlò all'improvviso di buttarsi a terra, si gettò sul pavimento e trascinò Clary con sé. Stesa sulla moquette a pancia in giù, la ragazza sollevò la testa e vide quella cosa scura colpire Madame Dorothea, che urlò e alzò le braccia di scatto. Anziché abbatterla, la cosa nera la avvolse come un sudario mentre la sua oscurità la pervadeva e la imbeveva come inchiostro che si spande su un foglio di carta. La schiena di Dorothea si ingobbì mostruosamente e tutto il suo profilo si allungò mentre saliva sempre più in alto e la sua grande massa si stirava e si deformava. Un tintinnio acuto di oggetti che colpivano il pavimento indusse Clary a guardare in basso: erano i braccialetti di Dorothea, contorti e spezzati. Sparse tra i gioielli c'erano quelle che sembravano piccole pietre bianche. Clary impiegò un momento per rendersi conto che erano denti.
Accanto a lei Jace sussurrò qualcosa. Le sembrò un'esclamazione di incredulità. Alec, lì vicino, disse con una voce strozzata: «Ma avevi detto che non c'era molta attività demoniaca... avevi detto che i livelli erano bassi!»
«Erano bassi» sibilò Jace.
«La tua idea di basso è molto diversa dalla mia, allora!» urlò Alec, mentre la cosa che era stata Dorothea ululava e si contorceva. Sembrava si stesse espandendo, piena di gobbe e bitorzoli e grottescamente deformata.
Clary distolse lo sguardo, mentre Jace si alzava e se la trascinava dietro. Isabelle e Alec si misero in piedi barcollando e afferrandosi alle loro armi. La mano di Isabelle che teneva la frusta tremava leggermente.
«Muoviti!» Jace spinse Clary verso la porta dell'appartamento. Quando provò a guardarsi alle spalle, Clary vide solo un grigiore denso e vorticante, come di nuvole temporalesche, con una forma scura al centro...
Schizzarono fuori nell'ingresso, Isabelle in testa. La ragazza corse verso la porta, provò ad aprirla e si voltò con un'espressione sconvolta. «È bloccata.»
Jace imprecò e rovistò nella giacca. «Dove diavolo è il mio stilo?»
«Ce l'ho io» disse Clary mentre glielo porgeva. Jace fece per prenderlo quando un rumore come di tuono esplose nella stanza. Il pavimento si sollevò sotto i loro piedi. Clary barcollò e stava per cadere, ma riuscì ad aggrapparsi alla balaustra. Quando sollevò lo sguardo vide, nella parete che separava l'ingresso dall'appartamento di Dorothea, un buco dai bordi frastagliati contornato da macerie di legno e plastica. E attraverso il buco stava strisciando... quasi colando... qualcosa.
«Alec!» urlò Jace. Alec era di fronte al buco, con il volto bianco e un'espressione di puro orrore. Jace imprecò e corse a prenderlo per poi trascinarlo indietro proprio mentre la cosa colante si liberava dal muro e raggiungeva l'ingresso.
Clary dimenticò di respirare. La carne della creatura era livida, simile al colore delle escoriazioni. Dalla sua pelle sgocciolante fuoriuscivano delle ossa... non ossa bianche e vive, ma ossa che sembravano essere state sotto terra mille anni, nere e crepate e luride. Le sue dita erano ridotte al loro scheletro, le braccia scarne punteggiate da vesciche nere suppuranti attraverso le quali si vedevano altre ossa gialle. Il volto era un teschio, il naso e gli occhi delle cavità. Le dita artigliate strisciavano sul pavimento. Attorno ai polsi e alle spalle erano avviluppati pezzi di stoffa colorata: era tutto ciò che restava delle sciarpe di seta e del turbante di Madame Dorothea. Il mostro era alto quasi tre metri.
Guardò i quattro adolescenti con le sue orbite vuote. «Datemi la Coppa Mortale» disse con una voce che ricordava la spazzatura soffiata dal vento lungo una strada deserta. «Datemela e vi lascerò vivere.»
Clary, in preda al panico, guardò i suoi compagni. Isabelle dava l'impressione che la vista di quella cosa l'avesse colpita come un pugno allo stomaco. Alec era immobile. Fu Jace, come sempre, a parlare. «Che cosa sei?» chiese con voce ferma, anche se Clary non l'aveva mai visto così turbato.
La cosa inclinò il capo. «Io sono Abbadon. Io sono il Demone degli Abissi. Miei sono gli spazi deserti tra i mondi. Mio è il vento e l'ululante tenebra. Io sono differente da quelle cose miagolanti che voi chiamate demoni quanto un'aquila è diversa da una mosca. Non potete sperare di sconfiggermi. Datemi la Coppa o morirete.»
La frusta di Isabelle tremò. «È un Demone Superiore» disse rivolgendosi ai ragazzi. «Jace, se noi...»
«E Dorothea?» La voce di Clary le uscì tremula dalla bocca prima che potesse impedirsi di parlare. «Cosa le è successo?»
Gli occhi vuoti del demone si voltarono per guardarla. «Lei era solo un vettore» disse. «Ha aperto il Portale e io ho preso possesso di lei. La sua morte è stata veloce.» Il suo sguardo passò alla Coppa che Clary aveva in mano. «La vostra non lo sarà.»
Iniziò a muoversi verso di lei. Jace gli bloccò la strada con la spada luminosa in una mano e quella angelica nell'altra. Alec lo guardò con un'espressione sconvolta dall'orrore.
«Per l'Angelo» disse Jace guardando il demone da capo a piedi. «Sapevo che i Demoni Superiori erano brutti, ma nessuno mi aveva mai parlato della puzza.»
Abbadon aprì la bocca e sibilò. Dentro la sua bocca c'erano due file di denti irregolari e affilati come cocci di vetro. «Tu osi...»
«Ma in realtà» proseguì Jace «non posso dare a te la colpa del tuo aspetto. La colpa è di tua madre, del troll e del barista...»
Il demone gli balzò addosso. Jace fece scattare le sue lame in fuori e verso l'alto a una velocità spaventosa. Affondarono entrambe nella parte più carnosa del demone, il suo addome. Il mostro ululò e colpì il ragazzo, gettandolo da parte come un gatto potrebbe fare con un topo. Jace rotolò su un fianco e si rimise in piedi, ma Clary vide dal modo in cui si teneva il braccio che si era fatto male. Il suo volto era bianco.
Poi Isabelle ne ebbe abbastanza. Sfrecciò in avanti e attaccò il demone con un colpo di frusta. Colpì la sua pelle grigia e vi disegnò una scudisciata rossa da cui sgorgava sangue. Abbadon la ignorò e si mosse verso Jace.
Lo aveva fatto infuriare e ora il demone era deciso a ucciderlo.
Con la sua mano ferita, Jace estrasse una seconda spada angelica. Sussurrò qualcosa alla spada e questa si fece luminosa. La sollevò mentre il demone gli si piazzava davanti: Jace sembrava un bambino incredibilmente piccolo davanti al mostro. E sorrideva, anche quando il demone cercò di afferrarlo e Isabelle con un urlo lo colpì di nuovo con la frusta, schizzando una sventagliata di sangue sul pavimento...
Il demone attaccò e la sua mano simile a un rasoio si abbatté su Jace. Il ragazzo barcollò all'indietro, ma restò illeso. Qualcosa si era lanciato tra lui e il demone, un'ombra nera e snella con una spada luminosa in mano. Alec. Il demone urlò... la picca di Alec gli aveva trapassato la pelle. Con un ringhio colpì di nuovo e i suoi artigli d'osso inflissero ad Alec un colpo terribile che lo sollevò per aria e lo scagliò contro la parete opposta. Il ragazzo colpì il muro con un orribile scricchiolio e scivolò a terra come se fosse stato disossato.
Isabelle urlò il nome del fratello. Lui non si mosse. La ragazza abbassò
la frusta e iniziò a correre verso di lui. Il demone si voltò e le tirò un colpo che la gettò a terra. Isabelle cercò di rimettersi in piedi, sputando sangue. Abbadon la atterrò di nuovo, e questa volta la giovane Cacciatrice restò immobile.
Il demone iniziò ad avanzare verso Clary.
Jace era immobile. Fissava il corpo accartocciato di Alec come se fosse stato prigioniero di un incubo. Clary urlò quando Abbadon le si avvicinò. Iniziò ad arretrare su per le scale, inciampando nei gradini sconnessi. Lo stilo le bruciava contro la pelle. Se solo avesse avuto un'arma... qualsiasi cosa...
Isabelle era riuscita a mettersi a sedere. Si gettò i capelli insanguinati all'indietro e urlò qualcosa a Jace. Clary sentì Isabelle che gridava il suo nome e vide Jace sbattere gli occhi come se fosse stato svegliato da uno schiaffo, voltarsi verso di lei e iniziare a correre. Il demone ora era tanto vicino che Clary poteva vedere le vesciche nere sulla sua pelle, vedere che c'erano delle cose che strisciavano al loro interno. Il mostro allungò gli artigli verso di lei...
Ma Jace la raggiunse in quel momento e colpì la mano di Abbadon. Poi lanciò contro il mostro la spada angelica, che gli si piantò nel petto, accanto alle altre due. Il demone ringhiò come se quelle lame fossero un semplice fastidio. «Cacciatore» sibilò. «Pioverò piacere a ucciderti, a sentire scricchiolare le tue ossa come hanno fatto quelle del tuo amico...»
Jace saltò la balaustra e si lanciò contro Abbadon. La forza del salto gettò il demone all'indietro: il mostro barcollò, con Jace aggrappato alla schiena. Il ragazzo strappò una spada angelica dal petto del demone facendo zampillare liquidi organici e poi infilò più e più volte la lama nella schiena del mostro, le cui spalle si coprirono di fluido nero...
Abbadon ringhiò e indietreggiò verso il muro. Jace dovette saltare giù per non essere schiacciato, riuscendo ad atterrare con una certa leggerezza e a sollevare di nuovo la lama... ma Abbadon era troppo veloce per lui: la sua mano compì un arco e sbatté Jace contro le scale. Il ragazzo cadde a terra, un cerchio di artigli attorno alla gola.
«BASTA!» urlò il demone.
Isabelle, vedendo il pericolo, si bloccò. Quegli artigli erano lunghi più di venti centimetri e affilati come coltelli. «Di' loro di darmi la Coppa» sibilò il demone con gli artigli a pochissima distanza dalla gola di Jace. «Di' loro di darmela e io li lascerò vivere...»
Jace deglutì. «Clary...»
Ma Clary non seppe mai cosa avrebbe fatto, perché in quell'istante si spalancò la porta d'ingresso. Per un istante tutto ciò che vide fu la luce. Poi, strizzando gli occhi per oscurare i riflessi del sole, vide Simon in piedi sulla porta aperta. Simon. Aveva dimenticato che era là fuori, aveva quasi dimenticato che esistesse.
Lui la vide accucciata sulle scale e il suo sguardo si spostò da lei ad Abbadon e a Jace. Portò una mano dietro le spalle. Clary si accorse che Simon impugnava l'arco di Alec e aveva la faretra a tracolla sulla schiena. Il ragazzo tirò fuori una freccia, la appoggiò alla corda e sollevò l'arco con un'aria esperta, come se l'avesse già fatto centinaia di volte prima d'allora.
La freccia partì. Produsse un ronzio basso, come quello di un enorme calabrone, mentre passava alta sopra la testa di Abbadon, proseguiva verso il soffitto e...
E rompeva il vetro del lucernario. Vetri neri caddero come pioggia e attraverso il pannello rotto si riversò un'ondata di luce solare, grandi strisce dorate che allagarono l'ingresso.

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