«Ma per questo...» Anche Jace doveva affrettarsi per tenere dietro alle lunghe falcate di Hodge. Clary era rimasta indietro e dovette tendere le orecchie per sentire ciò che stava dicendo. «Potrebbe morire.» «Potrebbe, sì» si limitò a dire Hodge.
La biblioteca era buia e odorava di pioggia: una delle finestre era stata lasciata aperta e una pozza d'acqua si era formata sotto le tende. Hugo emise uno stridio e saltellò sul suo posatoio mentre Hodge gli si avvicinava velocemente, fermandosi solo per accendere la lampada sulla scrivania. «È un peccato» disse Hodge prendendo un foglio di carta e una penna stilografica «che non abbiate recuperato la Coppa. Credo che darebbe qualche conforto ad Alec e certamente alla sua...»
«Ma io l'ho recuperata, la Coppa» lo interruppe Clary sbalordita. «Non glielo hai detto, Jace?»
Jace sbatté le palpebre, ma Clary non sapeva dire se era per la sorpresa o per la luce improvvisa. «Non c'è stato tempo... stavo portando di sopra Alec...»
Hodge si era bloccato, la penna immobile tra le sue dita. «Avete la Coppa?»
«Sì.» Clary aprì la giacca ed estrasse la Coppa dalla tasca interna: era ancora fredda, come se il contatto col suo corpo non potesse riscaldare il metallo. I rubini le ammiccarono come tanti occhi rossi. «Eccola.»
La penna scivolò dalla mano di Hodge e cadde a terra. Clary si chiese se si fosse rovinato il pennino, ma il modo in cui Hodge la guardava bandì subito quel pensiero dalla sua mente. La luce della lampada, diretta verso l'alto, non giovava al suo volto scavato e mostrava ogni centimetro delle sue rughe di severità e preoccupazione e disperazione. «Quella è la Coppa dell'Angelo?»
«Sì» disse Jace. «Era...»
«Adesso non importa» disse Hodge. Appoggiò la carta sulla scrivania, si avvicinò a Jace e gli strinse le spalle. «Jace Wayland, sai cos'hai fatto?»
Jace sollevò lo sguardo su Hodge, sorpreso. Clary notò il contrasto tra il volto devastato dell'uomo e quello perfetto del ragazzo. Le ciocche chiare che ricadevano sugli occhi di Jace lo facevano sembrare ancora più giovane. «Non capisco» disse.
Il respiro di Hodge sibilò tra i suoi denti. «Gli assomigli tantissimo.»
«A chi?» disse Jace confuso; evidentemente non aveva mai sentito Hodge parlare così prima di allora.
«A tuo padre» disse Hodge mentre sollevava lo sguardo sul punto in cui Hugo volteggiava con le ali nere che spostavano l'aria umida.
Hodge socchiuse gli occhi. «Hugin» disse, e con uno stridio ultraterreno l'uccello allargò gli artigli e si tuffò in picchiata verso il volto di Clary.
Clary sentì l'urlo di Jace e poi il mondo divenne tutto un turbinio di penne e artigli e un becco che colpiva a destra e a manca. Un dolore acuto le trafisse una guancia e strillò, sollevando d'istinto le mani a coprirsi il volto.
Sentì che la Coppa Mortale le veniva strappata via di mano. «No!» urlò afferrandola. Un dolore terribile le assalì il braccio. Le gambe le cedettero all'improvviso, scivolò e cadde a terra, picchiando forte le ginocchia contro il duro pavimento. Degli artigli le graffiarono la fronte.
«Basta così, Hugo» disse Hodge tranquillamente.
L'uccello si allontanò obbediente da Clary. La ragazza si pulì via il sangue dagli occhi singhiozzando. Si sentiva la faccia a pezzi.
Hodge non si era mosso: era in piedi, immobile, con in mano la Coppa Mortale. Hugo gli volteggiava sopra in ampi giri agitati, gracchiando piano. E Jace... Jace era a terra ai piedi di Hodge, perfettamente immobile, come se si fosse addormentato all'improvviso.
Ogni altro pensiero lasciò la mente di Clary. «Jace!» Parlare le faceva male: il dolore alla guancia era fortissimo e sentiva in bocca il sapore del sangue. Jace non si mosse.
«Non è ferito» disse Hodge. Clary si rimise in piedi con l'intenzione di lanciarsi contro Hodge... e rimbalzò indietro quando colpì qualcosa di invisibile ma duro e forte come vetro. Furente, tirò un pugno contro l'aria.
«Hodge!» urlò. Tirò un calcio, rompendosi quasi un piede contro il muro invisibile. «Non essere stupido. Quando il Conclave scoprirà quello che hai fatto...»
«A quel punto me ne sarò già andato» disse inginocchiandosi accanto a Jace.
«Ma...» Fu attraversata da uno shock, un'illuminazione dolorosamente elettrica. «Non hai mai mandato un messaggio al Conclave, vero? È per questo che ti sei comportato in modo tanto strano quando ti ho fatto delle domande in proposito. Volevi la Coppa per te.»
«No» disse Hodge. «Non per me.»
La gola di Clary era asciutta come la sabbia. «Lavori per Valentine» sussurrò.
«Non lavoro per Valentine» disse Hodge. Sollevò una mano di Jace e prese qualcosa. Era l'anello inciso che Jace portava sempre. Hodge se lo infilò al dito. «Ma sono un uomo di Valentine, è vero.»
Con un movimento agile si fece girare l'anello tre volte intorno al dito. Per un istante non accadde nulla. Poi Clary sentì il rumore di una porta che si apriva e si voltò d'istinto per vedere chi stava entrando in biblioteca. Quando si girò di nuovo verso Hodge, vide che l'aria accanto a lui stava brillando, come la superficie di un lago vista da lontano. Il muro d'aria scintillante si aprì come una tenda argentata e un uomo alto comparve accanto a Hodge, come se si fosse materializzato dal nulla.
«Starkweather» disse l'uomo. L'aria alle sue spalle scintillava ancora.
«Hai la Coppa?»
Hodge sollevò la Coppa tra le mani ma non disse nulla. Sembrava paralizzato, ed era impossibile dire se fosse per la paura o lo stupore. A Clary era sempre sembrato alto, ma adesso sembrava piccolo e ingobbito. «Mio Signore Valentine» disse infine. «Non ti aspettavo così presto.»
Valentine. Assomigliava poco al bel ragazzo della fotografia, anche se i suoi occhi erano ancora neri. Il suo volto non era come se lo era aspettato. Era il volto trattenuto, chiuso e spirituale di un prete con gli occhi tristi. Dai polsini neri del suo abito di sartoria spuntavano le cicatrici bianche che raccontavano di anni passati a usare lo stilo. «Ti avevo detto che sarei venuto da te attraverso un Portale» disse. La sua voce era risonante. «Non mi credevi?»
«Sì. È solo che... pensavo che avresti mandato Pangborn o Blackwell, non che saresti venuto di persona.»
«Pensavi che li avrei mandati a prendere la Coppa? Non sono un idiota. Conosco le sue tentazioni.» Valentine allungò una mano e Clary vide sul suo dito un anello identico a quello di Jace. «Dammela.»
Ma Hodge la strinse a sé. «Voglio prima quello che mi avevi promesso.»
«Prima? Non ti fidi di me, Starkweather?» Valentine sorrise, e nel suo sorriso non c'era traccia di divertimento. «Farò come hai chiesto. Un patto è un patto. Anche se devo dire che il tuo messaggio mi ha sbalordito. Non immaginavo certo che ti sarebbe dispiaciuta una vita di contemplazione appartata, per così dire. Non sei mai stato portato per i campi di battaglia.»
«Tu non sai cosa vuol dire» disse Hodge con un sospiro che sembrava un sibilo «avere sempre paura...»
«È vero, non lo so.» La voce di Valentine era triste come i suoi occhi, come se provasse pietà per Hodge... Ma in essi c'era anche dell'avversione, una traccia di disprezzo. «Se non avevi intenzione di darmi la Coppa» disse «non avresti dovuto chiamarmi. Sei stato tu a contattarmi, e non viceversa.»
Hodge fece una smorfia. «Non è facile tradire ciò in cui credi... le persone che si fidano di te...»
«Stai parlando dei Lightwood o dei loro figli?» «Di entrambi» disse Hodge.
«Ah, i Lightwood.» Valentine allungò un braccio e accarezzò con una mano il mappamondo di ottone appoggiato sulla scrivania, le lunghe dita che tracciavano i confini di continenti e mari. «La tua punizione avrebbe dovuto toccare a loro. Se non avessero avuto tutte quelle conoscenze altolocate nel Conclave sarebbero stati maledetti insieme a te. E invece sono liberi di andare e venire, di camminare alla luce del sole come chiunque altro. Sono liberi di tornare a casa.» Aveva pronunciato la parola "casa" con tutta la sua carica di significati. Il suo dito smise di muoversi lungo la superficie del mappamondo. Clary era certa che stesse toccando il punto in cui si trovava Idris.
Gli occhi di Hodge ebbero un lampo. «Hanno fatto quello che avrebbe fatto chiunque.»
«Tu non l'avresti fatto. Io non l'avrei fatto. Lasciar soffrire un amico al mio posto? E certamente deve averti amareggiato, Starkweather, sapere che hanno lasciato con tanta leggerezza che questo fato toccasse a te...»
Hodge scrollò le spalle. «Ma non è colpa dei ragazzi. Loro non hanno fatto niente...»
«Non ho mai saputo che ti piacessero tanto i bambini, Hodge» disse Valentine, come se quell'idea lo divertisse.
Hodge sembrava respirare a fatica. «Jace...»
«Non parlare di Jace.» Per la prima volta Valentine sembrava arrabbiato. Guardò la figura immobile sul pavimento. «Sta sanguinando» osservò. «Perché?»
Hodge si strinse la Coppa al cuore. Le sue nocche erano bianche. «Non è sangue suo. È svenuto ma non è ferito.»
Valentine sollevò la testa con un sorriso affabile. «Mi stavo chiedendo» disse «cosa penserà di te quando si sveglierà. Il tradimento non è mai una bella cosa, ma tradire un ragazzo... è come un doppio tradimento, non pensi?»
«Non gli farai del male» sussurrò Hodge. «Hai giurato di non fargli del male.»
«Non l'ho mai giurato» disse Valentine. «E adesso...» Si allontanò dalla scrivania e si avvicinò a Hodge, che si ritrasse come un animaletto in trappola. I suoi occhi incontrarono quelli di Clary alle spalle di Valentine. La ragazza vide la sua infelicità. «E cosa faresti se ti dicessi che ho deciso di fargli del male? Combatteresti contro di me? Non mi daresti la Coppa? Anche se riuscissi a uccidermi, il Conclave non ritirerebbe mai la sua maledizione. Cosa non saresti disposto a dare pur di non avere più paura? Cosa non daresti per tornare di nuovo a casa?»
Clary distolse lo sguardo. Non sopportava più la vista del volto di Hodge. Con voce strozzata, questi disse: «Dimmi che non gli farai del male e io te la darò...»
«No» disse Valentine con un tono ancora più morbido. «Me la darai in ogni caso.» E allungò una mano.
Hodge chiuse gli occhi. Per un istante il suo volto fu quello di uno degli angeli sotto la scrivania, addolorato e grave, e schiacciato da un peso terribile. Poi imprecò tra i denti e porse la Coppa a Valentine.
Clary urlò. Si lanciò contro il muro invisibile e vi rimbalzò contro. Urlò a Hodge di non farlo, che lui era migliore di così, che era migliore di Valentine. Hodge non la guardò, ma la mano che stringeva la Coppa tremò come una foglia al vento.
«Grazie» disse Valentine. Prese la Coppa e la guardò soprappensiero.
«Temo che tu abbia sbeccato il bordo.»
Hodge non disse nulla. Il suo volto era grigio. Valentine si chinò a raccogliere Jace. Mentre lo sollevava senza alcuno sforzo, Clary vide la sua giacca impeccabile tendersi sulle braccia e sulla schiena e si rese conto che era un uomo molto più massiccio di quanto non sembrasse a prima vista, con un torso come il tronco di una quercia. Jace, privo di sensi tra le sue braccia, sembrava un bambino piccolo.
«Sarà presto insieme a suo padre» disse Valentine guardando il volto bianco di Jace. «Nel posto che gli spetta.»
Hodge fece una smorfia. Valentine gli diede le spalle e si incamminò verso il sipario d'aria luccicante da cui era entrato. Doveva essersi lasciato il Portale aperto alle spalle, pensò Clary. Guardarlo era come guardare il sole riflettersi sulla superficie di uno specchio.
Hodge allungò una mano implorante. «Aspetta!» urlò. «E quello che mi avevi promesso? Avevi giurato di porre fine alla mia maledizione...»
«È vero» disse Valentine. Si fermò per un istante, guardando fisso in faccia Hodge, che arretrò con un sussulto, la mano che correva al petto come se qualcosa l'avesse colpito al cuore. Un fluido nero colò fuori dalle sue dita e sgocciolò sul pavimento. Hodge sollevò il volto pieno di cicatrici su Valentine. «È finita?» chiese. «La maledizione... è scomparsa?»
«Sì» disse Valentine. «E ti auguro che la libertà che ti sei comprato possa darti la felicità.» E con quelle parole oltrepassò il sipario di aria scintillante. Per un istante sembrò scintillare anche il suo corpo, come se fosse sotto un getto d'acqua. Poi scomparve, e con lui scomparve anche Jace.
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Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasyavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃