Capitolo 2 (3^parte)

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Dalla porta socchiusa che dava sull'atrio del palazzo usciva un dolce e denso odore d'incenso. Clary sentì anche un basso mormorio.
«Sono contento che le cose le vadano alla grande» disse Simon. «Il settore profetesse è un po' in crisi, di questi tempi.»
«Devi per forza fare del sarcasmo su qualsiasi cosa?» scattò Clary.
Simon sbatté gli occhi, evidentemente colto di sorpresa dalla reazione dell'amica. «Credevo ti piacesse la mia vena spiritosa e ironica.»
Clary stava per rispondere, quando la porta di Madame Dorothea si spalancò e ne uscì un uomo. Era alto, con una pelle color sciroppo d'acero, occhi verdi e dorati come quelli di un gatto e capelli neri arruffati. Sorrise distrattamente alla ragazza, mostrandole denti bianchi e affilati. Mentre si avviava verso la porta d'ingresso del condominio, Clary vide che aveva i piedi nudi e le unghie ricurve come artigli.
Fu colta da un capogiro ed ebbe la sensazione di essere sul punto di svenire.
Simon la guardò a disagio. «Va tutto bene? Hai l'aria di una che potrebbe cadere a terra da un momento all'altro.»
Lei sbatté gli occhi e lo guardò. «Cosa? No, sto bene.»
Lui non sembrava intenzionato a lasciar cadere la questione. «Sembra che abbia visto un fantasma.»
Clary scosse il capo. Il ricordo di qualcosa che aveva appena visto la sfiorò, ma quando cercò di concentrarsi le sfuggì come acqua tra le mani. «Niente. Mi è sembrato di vedere il gatto di Dorothea, ma mi sa che era soltanto un gioco di luce.» Simon la stava fissando. «È da ieri che non mangio niente» aggiunse Clary sulla difensiva. «Mi sa che ho un calo di zuccheri.»
Lui le mise un braccio attorno alle spalle. «Andiamo. Ti offro qualcosa.»

«Non ci posso credere che si comporti così» disse Clary per la quarta volta, mentre dava la caccia all'ultimo rimasuglio di guacamole con la punta di un nacho. Erano in un locale messicano del quartiere, un posto piccolissimo che si chiamava Nacho Mama. «Come se non le bastasse mettermi in castigo una settimana sì e una no; adesso mi tocca pure andare in esilio per tutta l'estate.»
«Be', lo sai che tua madre fa così, ogni tanto» disse Simon. «Be', ogni poco, a dire la verità.» Le sorrise da dietro il suo burrito vegetariano.
«Oh, certo, divertiti pure» lo gelò Clary. «Non sei mica tu che verrai trascinato nel mezzo del nulla per chissà quanto tempo...»
«Clary.» Simon interruppe la sua tirata. «Non è colpa mia, sai? E poi non sarà una cosa definitiva.»
«E tu come fai a saperlo?»
«Be', perché conosco tua madre» rispose Simon dopo una pausa. «Voglio dire, io e te siamo amici da quanto? Dieci anni? Lo so che a volte lei fa così, ma poi ci ripensa.»
Clary prese un peperoncino dal piatto e ne mordicchiò distrattamente la punta. «Credi davvero?» chiese. «Di conoscerla, voglio dire. Certe volte mi domando se qualcuno la conosca veramente.»
«Non ti seguo.»
Clary risucchiò un po' d'aria per raffreddare la bocca in fiamme. «Voglio dire che lei non parla mai di sé. Io non so niente di quando era giovane, della sua famiglia, e so pochissimo anche di come ha incontrato mio padre. Non ha neanche visto le foto del matrimonio. È come se la sua vita fosse iniziata quando sono nata io. È quello che mi dice sempre quando le faccio qualche domanda.»
«Wow.» Simon fece una faccia buffa. «Che cosa dolce.»
«No, non è una cosa dolce» replicò Clary decisa. «È strana. Ed è strano anche che io non sappia niente dei miei nonni. Voglio dire, so che i genitori di papà non sono stati molto carini con lei, ma erano davvero così pessimi? Che razza di persone dovevano essere per non voler nemmeno conoscere la loro nipote?»
«Magari lei li odia. Magari erano violenti o qualcosa del genere» suggerì
Simon. «Lei ha quelle cicatrici...»
Clary lo fissò. «Che cosa?»
Simon inghiottì un boccone di burrito. «Quelle piccole cicatrici sulla schiena e sulle braccia. Guarda che l'ho vista, tua madre, in costume da bagno, sai?»
«Io non ho notato nessuna cicatrice» disse Clary decisa. «Te le sei immaginate.»
Lui la fissò e sembrò che stesse per dire qualcosa, quando il cellulare di Clary, sepolto nella borsa, iniziò a suonare. Clary lo ripescò, guardò i numeri che lampeggiavano sullo schermo e fece una smorfia. «È mia mamma.»
«Bastava guardarti in faccia per capirlo. Hai intenzione di parlarle?»
«Non ora» disse Clary sentendo la ben nota fitta allo stomaco di senso di colpa mentre il telefono smetteva di suonare e partiva la segreteria. «Non voglio litigare con lei.»
«Puoi sempre stare da me» disse Simon. «Per tutto il tempo che vuoi.»
«Be', prima vediamo se mia mamma si è calmata un po'.» Clary premette il pulsante della segreteria telefonica sul cellulare. La voce di sua madre era tesa, ma si stava evidentemente sforzando di mostrare un po' di leggerezza: "Piccola, mi dispiace di aver rovinato i piani delle tue vacanze. Vieni a casa e parliamone." Clary riappese prima della fine del messaggio, sentendosi ancora più in colpa e più arrabbiata insieme. «Ne vuole parlare» disse a Simon.
«E tu vuoi parlare con lei?»
«Non lo so.» Clary si strofinò il dorso della mano sugli occhi. «Hai sempre intenzione di andare al reading di poesia?»
«Ho promesso di andarci.»
Clary si alzò in piedi e spinse indietro la sedia. «Allora vengo con te. La chiamerò dopo.» La tracolla della borsa le scivolò giù dal braccio. Simon gliela rimise a posto e le sue dita indugiarono sulla pelle nuda della spalla.
L'aria fuori era densa di un'umidità che increspava i capelli di Clary e appiccicava la maglietta blu di Simon alla schiena. «Come va con la band?» chiese la ragazza. «Ci sono novità? Prima al telefono c'era un casino pazzesco in sottofondo.»
Il volto di Simon si illuminò. «Va alla grande» disse. «Matt ha detto che conosce un tizio che potrebbe farci suonare allo Scrap Bar. E poi stiamo ancora discutendo sul nome.»
«Ma va?» Clary nascose un sorriso. Il gruppo di Simon non suonava mai un granché. Se ne stavano quasi sempre seduti nel salotto di Simon a litigare sul nome e sul logo della band. A volte Clary si chiedeva se qualcuno di loro sapesse davvero suonare uno strumento. «Cosa c'è sul piatto?»
«Siamo indecisi tra Sea Vegetable Conspiracy e Rock Solid Panda.»
Clary scosse il capo. «Fanno schifo tutt'e due.»
«Eric ha proposto Lawn Chair Crisis.»
«Forse Eric farebbe meglio a tornare a dedicarsi ai videogiochi.»
«Ma poi ci toccherebbe trovare un altro batterista.»
«Ah, allora è questo che fa Eric? Credevo che si limitasse a scroccarvi soldi e ad andarsene in giro per la scuola a dire alle ragazze che suona in un band per fare colpo su di loro.»
«Ma no» disse allegro Simon. «Eric ha voltato pagina. Ha una ragazza. Escono insieme da tre mesi.»
«Praticamente sposati» commentò Clary, mentre passavano accanto a una coppia che spingeva un passeggino con dentro una bambina coi capelli fissati da mollette gialle di plastica e con in mano una fatina dalle ali color zaffiro e venature dorate. A Clary sembrò di avere visto con la coda dell'occhio le ali della fatina che frullavano. Si voltò di colpo.
«Il che significa» proseguì Simon «che io sono l'ultimo membro della band a non avere una ragazza. È per questo che la gente suona in un gruppo, no? Per le ragazze.»
«E io che pensavo che fosse per la musica...» Un uomo con un bastone da passeggio le passò davanti, diretto verso Berkeley Street. Clary distolse lo sguardo: temeva che se avesse guardato qualcuno troppo a lungo gli sarebbero spuntate le ali, delle nuove braccia o una lingua biforcuta da serpente. «E a chi interessa se hai o no una ragazza?»
«A me, per esempio» disse cupo Simon. «Tra un po' gli unici rimasti senza ragazza saremo io e Wendell, il bidello. E lui puzza di detersivo per pavimenti.»
«Almeno sai che lui è ancora disponibile.»
Simon la guardò male. «Non è divertente, Fray.»
«C'è sempre Sheila "Tanga" Barbarino» suggerì Clary. Al primo anno delle superiori stava seduta dietro di lei, a matematica, e ogni volta che Sheila lasciava cadere la penna - il che succedeva spesso - Clary poteva godersi lo spettacolo delle sue mutande che svettavano al di sopra dei jeans a vita superbassa.
«È con lei che è uscito Eric in questi tre mesi» disse Simon. «Il consiglio che mi ha dato lui è stato di decidere qual era la ragazza con il corpo più da paura e di chiederle di uscire il primo giorno di scuola.»
«Eric è un maiale sessista» sentenziò Clary, accorgendosi di colpo che non voleva affatto sapere quale fosse secondo Simon la ragazza con il corpo più da paura della scuola. «Forse dovreste chiamarvi proprio così: I Maiali Sessisti.»
«Non è male.» Simon sembrò pensarci seriamente. Clary gli fece una smorfia e in quell'istante la borsa iniziò a vibrare e il cellulare a suonare.
«È ancora tua mamma?» chiese lui.
Clary annuì. Rivide sua madre, piccola e sola, sulla porta del loro appartamento. Il senso di colpa le inondò il petto.
Guardò Simon, che la stava fissando con gli occhi resi più scuri dalla preoccupazione. Il volto di Simon le era così familiare che avrebbe potuto disegnarlo nel sonno. Clary pensò alle settimane solitarie che l'aspettavano senza di lui e rimise il telefono nella borsa. «Andiamo» disse. «O faremo tardi.»

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