Avevano raggiunto delle porte di legno ad arco. Un gatto persiano blu con gli occhi gialli era acciambellato lì davanti. Quando si avvicinarono, sollevò la testa e miagolò languido. «Ciao, Church» lo salutò Jace accarezzando la schiena del gatto con un piede nudo.
«Miao.» Il gatto socchiuse gli occhi estatico.
«Aspetta» disse Clary. «Alec e Isabelle e Max... sono gli unici Cacciatori della tua età che conosci? Gli unici con cui passi il tempo?»
Jace smise di accarezzare il gatto. «Sì.»
«Ti sentirai solo.»
«Ho tutto quello che mi serve.» Jace aprì la porta. Dopo una breve esitazione, Clary lo seguì all'interno.
La biblioteca era una sala circolare con il soffitto a cono, come se fosse stata costruita dentro una torre. Le pareti erano tappezzate di libri e gli scaffali erano così alti che a intervalli regolari c'erano delle scalette su rotelle per raggiungere i volumi che non erano a portata di mano. Anche i libri non erano libri qualsiasi, ma tomi rilegati in pelle e velluto, chiusi da solidi lucchetti e cerniere di ottone e argento. Le loro coste erano tempestate di gioielli scintillanti e incise da scritte in caratteri dorati. Avevano un'aria consunta, ed era evidente che quei libri non erano solo antichi, ma anche molto consultati e amati.
Il parquet lucidato era impreziosito da intarsi in vetro, marmo e pietre dure. Questi formavano un disegno che Clary non riusciva bene a decifrare: potevano essere delle costellazioni o anche una mappa del mondo. Intuiva che se fosse salita in cima alla torre e avesse guardato in basso tutto le sarebbe risultato più chiaro.
Al centro della stanza c'era una magnifica scrivania. Era ricavata da un'unica lastra di legno, un grande e massiccio pezzo di rovere che rimandava il tenue barlume degli anni. La lastra poggiava sulle schiene di due angeli intagliati nello stesso legno, le ali dorate e i volti sofferenti, come se il peso che sostenevano stesse spezzando loro la schiena. Dietro la scrivania era seduto un uomo magro coi capelli brizzolati e un lungo naso aquilino.
«Vedo che ti piacciono i libri» disse sorridendo a Clary. «Questo non me lo avevi detto, Jace.»
Jace ridacchiò. Clary sentì che le era arrivato dietro le spalle e se ne stava lì con le mani in tasca, sorridendo con quella sua aria terribilmente irritante. «Non abbiamo parlato molto nel corso della nostra breve frequentazione» disse lui. «Temo che abbiamo tralasciato di discutere delle nostre abitudini di lettura.»
Clary gli lanciò un'occhiataccia.
«Come ha fatto a capirlo?» chiese all'uomo alla scrivania. «Che mi piacciono i libri, voglio dire.»
«Dall'espressione che avevi quando sei entrata» spiegò lui, alzandosi in piedi. «Chissà perché, ma ho pensato che non fossi io il motivo di tanta ammirazione.»
Clary soffocò un sussulto mentre l'uomo si alzava. Per un istante le sembrò che fosse deforme e che avesse la spalla sinistra più alta dell'altra. Quando si avvicinò si rese conto che la gobba era in realtà un uccello appollaiato sulla sua spalla, una creatura lucida e piumata con luccicanti occhi neri.
«Lui è Hugo» disse l'uomo toccando l'uccello. «Hugo è un corvo, e in quanto tale sa molte cose. Io invece sono Hodge Starkweather, insegnante di storia, e in quanto tale non so quasi nulla.»
Clary non poté fare a meno di sorridere mentre gli stringeva la mano.
«Clary Fray.»
«Sono onorato di fare la tua conoscenza» disse lui. «Come lo sarei di fare la conoscenza di chiunque sia in grado di uccidere un Divoratore a mani nude.»
«Non l'ho ucciso a mani nude» disse Clary imbarazzata. Le dava una sensazione strana essere lodata per avere ucciso qualcosa. «È stato il... quel coso di Jace... non ricordo come si chiama, ma...»
«Il mio sensore» intervenne Jace. «Lo ha ficcato in gola alla creatura. Le rune devono averlo soffocato. Credo che me ne serva uno nuovo» aggiunse, come se ci avesse pensato solo in quel momento. «Avrei dovuto dirlo prima.»
«Ce ne sono alcuni nell'armeria» disse Hodge. Quando sorrise a Clary, un migliaio di minuscole rughe si irradiarono dai suoi occhi come le crepe di un dipinto antico. «Sei stata brillante. Come ti è venuto in mente di usare il sensore come arma?»
Prima che potesse rispondere, una risata tagliente risuonò nella stanza. Clary era stata così colpita dai libri e distratta da Hodge che non aveva visto Alec stravaccato su un'enorme poltrona rossa accanto al caminetto spento. «Non posso credere che tu ti sia bevuto questa storia» disse.
All'inizio Clary non capì cosa stesse dicendo. Era troppo impegnata a fissarlo. Come molti figli unici, era affascinata dalla somiglianza tra fratelli, e ora, nella piena luce del giorno, aveva notato quanto Alec fosse simile a sua sorella. Avevano gli stessi capelli corvini, le stesse sopracciglia sottili che si sollevavano agli angoli, la stessa carnagione pallida. Ma se Isabelle era tutta arroganza, Alec se ne stava insaccato in quella poltrona come sperando che nessuno si accorgesse di lui. Aveva ciglia lunghe e scure come quelle di Isabelle, ma al posto del nero degli occhi di sua sorella c'era un blu scuro simile a quello di certe bottiglie. E guardava Clary con un'ostilità pura e concentrata come acido.
«Non capisco cosa vuoi dire, Alec.» Hodge sollevò un sopracciglio grigio. Clary si chiese quanti anni avesse: era come senza età, nonostante i capelli grigi e l'azzurro scolorito degli occhi. Indossava un abito di tweed grigio perfettamente stirato, con la punta triangolare di un fazzoletto che spuntava dal taschino. Poteva avere l'aspetto di un affabile docente universitario se non fosse stato per la grossa cicatrice che gli attraversava il lato destro del volto. Clary si chiese come se la fosse fatta. «Pensi che non sia stata lei a uccidere quel demone?»
«Certo che non è stata lei. Guardala, è una mondana, Hodge, e per di più una ragazzina. Non esiste proprio che sia riuscita a far fuori un Divoratore.»
«Non sono una ragazzina» lo interruppe Clary. «Ho sedici anni... be', li avrò domenica.»
«La stessa età di Isabelle» disse Hodge. «Isabelle ti sembra una bambina?»
«Isabelle viene da una delle più grandi dinastie di Cacciatori della storia» ribatté Alec. «Questa ragazza invece viene dal New Jersey.»
«Sono di Brooklyn» lo corresse Clary furente. «E con questo? Ho appena ucciso un demone a casa mia e tu mi vieni a rompere le scatole solo perché non sono una ragazza ricca e viziata come te e tua sorella?»
Alec era sbalordito. «Cosa hai detto?»
«Sono felice che questa conversazione sia iniziata sotto i migliori auspici.» Sembrava che Jace faticasse a trattenere le risate. «La ragazza non ha torto, Alec. C'è un sacco di attività demoniaca, nei sobborghi. Dobbiamo sempre prestare molta attenzione ai demoni pendolari...»
«Non è divertente, Jace» lo interruppe Alec alzandosi rabbioso. «Hai intenzione di permettere che se ne stia lì a insultarmi?»
«Sì» rispose Jace molto tranquillamente. «Ti farà bene... Cerca di considerarla una prova di resistenza.»
«Saremo anche parabatai» disse secco Alec «ma la tua sfrontatezza sta mettendo a dura prova la mia pazienza.»
La voce di Jace si fece gelida. «E la tua cocciutaggine sta mettendo a dura prova la mia. Quando l'ho trovata era a terra in una pozza di sangue con un demone praticamente addosso. Se non l'ha ucciso lei, chi è stato?»
«I Divoratori sono stupidi. Forse si è colpito da solo il collo con il suo stesso pungiglione... Non sarebbe la prima volta...»
«Mi stai dicendo che si è suicidato?»
Alec strinse le labbra. «Non è giusto che lei sia qui. I mondani non sono ammessi all'Istituto, Jace, e ci sono ottime ragioni, per questo. Se qualcuno lo venisse a sapere, verremmo denunciati al Conclave. L'unica ragione per cui Hodge ti ha consentito di portarla qui è perché tu hai detto che ha ucciso quel demone.»
«Non è del tutto vero» disse Hodge. «La Legge ci consente di offrire rifugio ai mondani in determinate circostanze. Un Divoratore ha attaccato la madre di Clary... e lei poteva benissimo essere la prossima.»
Attaccato. Clary si chiese se non fosse un eufemismo per ucciso. Il corvo sulla spalla di Hodge gracchiò piano.
«I Divoratori sono macchine da guerra» replicò Alec. «Agiscono al comando di stregoni o di potenti signori dei demoni. Che interesse potrebbe avere uno stregone o un signore dei demoni verso una qualsiasi famiglia di mondani?» Quando guardò Clary, i suoi occhi scintillavano di disprezzo.
«Qualche suggerimento?»
Clary disse: «Deve essere stato un errore.»
«I demoni non fanno quel genere di errori. Se hanno attaccato tua madre, deve esserci stata una ragione. Se lei fosse stata innocente...» «In che senso innocente?» La voce di Clary era ferma.
Alec parve colto alla sprovvista. «Io...»
«Quello che intende dire» intervenne Hodge «è che è del tutto insolito che un demone potente, un demone che potrebbe avere ai propri ordini parecchi demoni inferiori, si interessi agli affari degli esseri umani. Nessun mondano può evocare un demone - non ne avrebbe il potere - ma ci sono stati dei pazzi disperati che hanno trovato una strega o uno stregone che lo facesse per loro.»
«Mia madre non conosce nessuno stregone. Non crede neanche alla magia.» A Clary venne in mente una cosa. «Madame Dorothea... vive al piano di sotto... lei è una strega. Forse i demoni stavano cercando lei e hanno attaccato mia mamma per sbaglio...»
Le sopracciglia di Hodge si sollevarono tanto da raggiungergli quasi l'attaccatura dei capelli. «Una strega vive al piano sotto casa tua?»
«È una copertura... una falsa strega» disse Jace. «Ho già indagato. Uno stregone non avrebbe alcun motivo di interessarsi a lei, a meno che non abbia una passione per le sfere di cristallo tarocche.»
«E così ci ritroviamo al punto di partenza.» Hodge allungò una mano per accarezzare l'uccello che portava appollaiato sulla spalla. «Direi che è giunto il momento di fare rapporto al Conclave.»
«No!» disse Jace. «Non possiamo...»
«Tenere segreta la presenza di Clary qui aveva senso finché non sapevamo se si sarebbe ripresa» disse Hodge. «Ma adesso sta bene, ed è la prima mondana a varcare la porta dell'Istituto da più di un secolo. Conosci le regole sulle conoscenze dei mondani a proposito degli Shadowhunters, Jace. Il Conclave deve essere informato.»
«Assolutamente» concordò Alec. «Potrei mandare un messaggio a mio padre...»
«Non è una mondana» disse Jace a voce bassa.
Hodge assunse un'espressione sbalordita. Alec, interrotto a metà frase, quasi si strozzò per lo stupore. Nel silenzio improvviso, Clary riuscì a sentire il fruscio delle ali di Hugo. «Sì che lo sono» disse.
«No» disse Jace. «Non lo sei.» Si voltò verso Hodge, e Clary vide il lieve movimento della sua gola quando deglutì. Trovo stranamente rassicurante il nervosismo di Jace. «La notte scorsa... c'erano dei demoni Du'sien vestiti da poliziotti. Dovevamo evitarli. Clary era troppo debole per correre e non c'era tempo per nascondersi... sarebbe morta. Così ho usato il mio stilo... e le ho messo una runa mendelin all'interno del braccio. Ho pensato...»
«Sei pazzo?» Hodge picchiò la mano sul ripiano della scrivania con tanta violenza che Clary pensò che il legno potesse rompersi. «Lo sai cosa dice la Legge sul fatto di marchiare i mondani! Tu... tu più di chiunque altro dovresti saperlo!»
«Ma ha funzionato» disse Jace. «Clary... fa' vedere il braccio.»
Con un'occhiata sconcertata verso Jace, la ragazza allungò il braccio nudo. Ricordava di averlo guardato, quella sera nel vicolo, pensando a quanto apparisse vulnerabile. Ora, appena sotto la piega del gomito, vide tre cerchi sovrapposti appena accennati, linee bianche come il ricordo di una cicatrice scomparsa col passare degli anni. «Vedete, è quasi andato» disse Jace. «E non le ha fatto alcun male.»
«Non è questo il punto.» Hodge riusciva a stento a trattenere la rabbia. «Avresti potuto trasformarla in una Dimenticata.»
Due macchie rosse si stamparono sulle guance di Alec. «Non ci posso credere, Jace. Solo i Cacciatori possono ricevere i marchi dell'Alleanza... Un mondano morirebbe...»
«Ma lei non è una mondana, lo capisci o no? Il che spiega anche perché ci poteva vedere. Deve avere del sangue del Conclave.»
Clary abbassò il braccio. All'improvviso ebbe freddo. «Ma non è così.
Non è possibile.»
«Deve esserlo» disse Jace senza guardarla. «Se non fosse così, il marchio che ti ho fatto sul braccio...»
«Basta così, Jace» lo azzittì Hodge. Era evidentemente turbato. «Non è necessario spaventarla ancora di più.»
«Ma ho ragione, no?» Jace era arrossito. «E questo spiega anche quello che è successo a sua madre. Se era una Cacciatrice in esilio poteva avere dei nemici negli Inferi.»
«Mia madre non è mai stata una Cacciatrice!»
«Allora tuo padre» disse Jace. «Cosa mi dici di lui?»
Clary rispose al suo sguardo con un'occhiataccia. «È morto. Quando ero piccola.»
Jace fece una smorfia quasi impercettibile. Fu Alec a rispondere. «È possibile» disse incerto. «Se suo padre era un Cacciatore e sua madre una mondana, be', sappiamo tutti che è contro la Legge sposare un mondano. Forse erano latitanti.»
«Mia madre me lo avrebbe detto» disse Clary, ma le venne in mente che in casa c'era solo una foto di suo padre e che sua madre non parlava mai di lui, e capì che non era vero.
«Non necessariamente» disse Jace. «Abbiamo tutti dei segreti.»
«Luke» disse Clary. «Il nostro amico. Lui lo saprebbe.» Al pensiero di Luke, Clary fu colta da un lampo di senso di colpa e di orrore. «Sono passati tre giorni... deve essere impazzito per la preoccupazione. Posso chiamarlo? C'è un telefono qui?» Si voltò verso Jace. «Per favore.»
Jace esitò, poi guardò Hodge, che annuì e si scostò dalla scrivania. Alle sue spalle c'era un mappamondo di ottone che non assomigliava agli altri mappamondi che Clary aveva visto in passato: c'era qualcosa di strano nella forma dei paesi e dei continenti. Accanto a esso c'era un telefono nero dall'aria antiquata, con una rotella d'argento per comporre i numeri. Clary si portò il ricevitore all'orecchio e il familiare segnale acustico la rinfrancò come acqua fresca.
Luke rispose al terzo squillo. «Pronto?»
STAI LEGGENDO
Shadowhunters - Città di Ossa
Fantasíaavevo bisogno di trascrivere la storia per poterla leggere, non è mia, ovviamente🙃