Chapter eight

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“Probabilmente sarà una cosa temporanea, come quei colpi di fulmine che ti folgorano sul posto e per alcuni giorni non capisci più nulla. Sarà sicuramente così” dissi fra me e me ancora pensierosa nell'atto di inserire la chiave di casa nella toppa della porta. Appoggiai lo zaino in camera e mi diressi in cucina per prepararmi qualcosa di veloce per pranzo. Aprii il frigorifero per vedere cosa ci fosse all'interno e, alla fine, decisi di cucinare un piatto di pasta al pomodoro e basilico e, come contorno, condii alcune foglie di insalata. Accesi la televisione per avere un minimo di compagnia durante la semplice e veloce preparazione e capitai sul canale dello sport dove stavano trasmettendo una maratona che si stava svolgendo in Piemonte. Ecco cosa avrei fatto quel pomeriggio, sarei andata a correre e avevo già in mente quale sarebbe stata la mia meta: sarei passata per Castelvecchio, o, meglio, per Ponte Scaligero per poi andare ai Giardini Arsenale. Era davvero tanto tempo che non mi dedicavo all'attività fisica al di fuori delle due ore di lezione a scuola e, sinceramente, mi mancava un po'. Amavo stare all'aria aperta e correre perché mi permetteva di rimanere sola con me stessa, di poter pensare e chiarirmi le idee. Non ci sarebbe stato un momento migliore in cui avrei potuto avere un'idea del genere, ne sentivo il bisogno sia fisico che mentale. Non vidi la conclusione della maratona anche perché, francamente, non potevo ritenermi davvero interessata a quel genere di sport, nonostante altri - come la pallavolo, il tennis, il nuoto e le varie discipline olimpiche - mi interessassero molto. Appena finii di mangiare, lavai ciò che avevo sporcato, rimisi tutto al proprio posto e andai a mettermi qualcosa di più consono per la corsa. Prima di uscire presi con me cellulare e cuffie e, dato che al mio ritorno mia mamma sarebbe già stata a casa, non presi le chiavi. Mi lasciai dietro il palazzo in cui abitavo e cominciai a correre. Il sole era ancora alto nel cielo, d'altronde erano quasi le 15:00 di pomeriggio, ma iniziava a raffreddarsi rispetto all'estate che ormai era già finita. La brezza cominciava a farsi più fresca e gli alberi erano già pronti per accogliere l'autunno. Notai che per il centro non vi era un gran viavai di gente, probabilmente ero uscita per l'orario di pranzo di quei poveretti che avevano la pausa così tardi, o, comunque, la maggior parte delle persone era ancora chiusa nei propri uffici. Il mio fiato cominciò a farsi corto quando arrivai nei pressi di Castelvecchio perciò ne approfittai per rallentare il passo e godermi la vista di quel magnifico edificio che non avevo ancora avuto l'occasione di visitare, ma che dava alla città un'aria magica, soprattutto al calare della luce solare. La mia abitudine era di cercare di fotografare con gli occhi ciò che non potevo fotografare con la mia macchina fotografica per ricordarmi certi soggetti e ritrarli non appena mi sarei trovata nuovamente nelle vicinanze e fossi stata dotata della mia inseparabile Canon. Proseguii di passo fino al Ponte Scaligero sul quale mi fermai per ammirare la maestosità del paesaggio sottolineato dalla lucentezza delle acque sottostanti che fluivano verso sud e dall'incredibile cielo azzurro tipico delle giornate primaverili. Quello era sicuramente il paesaggio più affascinante di Verona, capace di evocare emozioni e sensazioni sconosciute a moltissimi altri luoghi. Appoggiai le mani sulla fredda superficie del parapetto e inspirai profondamente, chiusi gli occhi per qualche secondo e mi concentrai sui suoni che mi circondavano. A prevalere vi fu quello prodotto dallo scorrimento dell'acqua, poi, alla mia destra, il fragore prodotto da una folata di vento che mi scompigliò i capelli e che mosse le fronde degli alberi che costeggiavano il fiume e, infine, il cinguettio di alcuni passerotti proveniente da nord-est. Pace. Questa fu l'unica parola che potei associare all'immagine poco prima descritta e ai suoni che fecero da cornice al tutto. Riaprii gli occhi e il pensiero per il quale avevo deciso di andare a correre e di sfogarmi tornò a occupare la mia mente. "Chissà qual'è il suo nome, chissà quanti anni ha, chissà quale profumo indossa solitamente, chissà quali sono i suoi interessi". Un ammasso di domande si stava appropriando della mia mente. “Magari si chiama Marco, oppure Simone...” feci una smorfia “Nah, non può essere.” continuai con i miei ragionamenti “Forse il suo nome è Andrea, proprio come il mio ex o come posso definirlo. E se si chiamasse Venceslao?” a quell'opzione ridacchiai, scossi la testa e ripresi la mia corsa. Entrai subito nel cuore del parco e rallentai per ammirare la bellezza della natura. Quelle domande si stavano impadronendo di me, credevo di impazzire e l'unica soluzione che trovai fu quella di riprendere a correre più velocemente di prima. Terminai il giro all'interno del parco e, prima di allontanarmi, decisi di fare alcuni giri al di fuori di esso proprio sulle sponde del fiume. Mi diressi verso una panchina poco più avanti per trovare un appoggio e allacciare meglio i lacci delle scarpe che si erano allentati. Il viale era deserto, notai tuttavia la sagoma di qualcuno che si trovava dietro all'albero vicino alla panchina dove avevo trovato sostegno. Udii una voce maschile, probabilmente era al telefono dato che non riuscivo a intravedere nessun altro. Mi sporsi curiosa, ma riuscii a scorgere solamente le scarpe. In quel momento mi si gelò il sangue e il cuore per poco non schizzò fuori dal petto: quelle erano le scarpe del ragazzo dello scontro. Feci qualche passo veloce nella sua direzione e notai che portava una giacca simile a quella che indossava quel giorno; qualche altro passo e mi trovai a un metro scarso da lui. La figura continuò tranquilla la telefonata e rimase a fissare l'acqua che scorreva poco più avanti. “Se solo fossi stata attenta alla sua voce la prima volta, ora potrei riconoscerla...!” mi dannai fremendo dalla voglia e della paura di rincontrarlo. Pochi secondi dopo terminò la chiamata e io mi avvicinai a lui, gli picchiettai con le dita un braccio ed esordii con un “Scuuu...” che interruppi non appena l'uomo si voltò. Non era lui, lo avevo scambiato per quello sconosciuto. Deglutii a fatica sentendo che le forze e la tensione stavano abbandonando il mio corpo, poi mi schiarii la voce. “Scusi il disturbo, sa che ore sono, per favore?” cercai nella mia mente una domanda che mi salvasse dalla situazione. “Certo!” mi sorrise l'uomo prendendo fuori il cellulare che aveva appena chiuso nella tasca della giacca. Avrà avuto più o meno trentacinque anni, portati benissimo. “Sono le 15:45” rispose lui e, ringraziandolo, mi allontanai riprendendo a correre. Quando non fui più nel suo raggio visivo, imboccai Ponte Scaligero e mi fermai nello stesso punto di prima. Feci un respiro che mi fece quasi male ai polmoni, appoggiai i gomiti sulla stessa superficie fredda che avevano trovato le mie mani, ma questa volta le portai alla fronte inserendo le dita fra i capelli. Incurvai leggermente la schiena, piegai allo stesso modo le ginocchia e chiusi gli occhi che, in ogni caso, non avrebbero visto che il parapetto data la posizione che avevo assunto. Il mio battito rallentò e così fece il mio respiro, non potevo credere al fatto di aver creduto di essere a pochi centimetri da lui. “Stupida. Cosa avevi intenzione di fare?” nonostante mi stessi ponendo questa domanda, ero perfettamente consapevole della risposta che sarebbe seguita. Mi concessi altri cinque minuti per riflettere sull'accaduto e, con quella speranza che avevo perso, riacquistato e di nuovo perso – questa volta per sempre -, tornai a casa. Suonai il citofono a cui inizialmente non rispose nessuno, poi mamma mi diede il tiro. “Ciao! Dove sei stata?” mi accolse sorridente come al solito “Sono andata a correre, era da tanto che non lo facevo e mi mancava.” le risposi con un sorriso tirato, cercando di dargliela a bere per far sì che non si accorgesse della delusione che avevo stampata sul viso. Speravo non chiedesse nulla per non dover spiegare niente a nessuno, altrimenti chissà quali film mentali si sarebbe fatta e, in questa casa, bastavo io ad aggiudicarmi l'oscar per la migliore regia. Chiacchierammo ancora per qualche minuto poi mi chiusi in bagno per farmi una doccia chiarificatrice, dato che il pomeriggio non aveva funzionato. Misi la musica a tutto volume come il mio solito ed entrai in quell'ambiente umido e avvolgente.

Mille volte ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora