Chapter eighty two

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I miei battiti venivano segnalati dall'elettrocardiogramma che, a intervalli regolari, produceva un breve suono. Un suono che mi fece capire che il mio cuore stava funzionando, un suono che esplicitò il fatto che fossi ancora viva. Il desiderio di svegliarmi da quel coma fu tale che le mie palpebre a un tratto si sollevarono piano senza nemmeno che il mio cervello inviasse informazioni al Sistema Centrale. Questo, perlomeno, fu il mio primo pensiero che fece capolino nella mia testa, dopo essere stata drogata da farmaci che mi avevano fatta dormire per un tempo che non riuscii a definire su due piedi. I miei occhi, annebbiati come se in quel momento fossi diventata cieca, cercarono di proteggersi dal fastidioso fascio di luce che mi sovrastava. Non appena misi leggermente più a fuoco, vidi solo il soffitto bianco sopra di me. Non capii. Mossi leggermente le dita delle mani, ma una presa su quella sinistra mi impedì di sollevale. Il mio cuore accelerò per alcuni secondi quando voltai la testa sul cuscino verso sinistra e, sopra alla mia mano, trovai quella di una persona che non conoscevo. Mi agitai e cercai di sottrarre le mie dita da quella presa che, nonostante tutto, era lieve, visto che il ragazzo si era addormentato con la testa appoggiata alle sbarre contenitive del letto. Gli occhi, finalmente, misero a fuoco del tutto, ma, in ogni caso, non riconobbi quei capelli neri. Cercai di parlare. Dalla mia bocca non uscì un solo fiato. La preoccupazione cominciò a salire. Tentai di svegliarlo con un altro strattone e, infine, fortunatamente, ci riuscii. Quando i suoi occhi entrarono in contatto con i miei ebbi un sussulto, un flashback non definito e offuscato che non mi permise di ricordare. Quello sguardo così bello da fare invidia al mondo mi fece rabbrividire. Lui scattò in piedi come se un attimo prima non fosse stato addormentato. "Amore mio" disse emozionato sorridendomi, poi uscì in corridoio correndo per chiamare le infermiere. Tornò incamera con il cellulare all'orecchio. "Mia si è svegliata! Mia è sveglia" avvisò qualcuno. Io non riuscii a ragionare, seguii solo le sue azioni. Mi venne in contro e si avvicinò pericolosamente al mio viso, ma, prima che potesse arrivare alle mie labbra, arrivarono le infermiere che lo distrassero. Un suo palmo mi accarezzò il viso. "Chi sei?" chiesi a me stessa, non potendo parlare a causa della voce morta in gola.

"Signore, le chiedo il favore di lasciare la stanza. Il medico sta arrivando e dobbiamo farle dei controlli. Quando avremo finito potrà tornare e stare con lei quanto vorrà" una delle due donne lo spinse fuori quasi con la forza. Qualche minuto dopo un uomo di una cinquantina d'anni fece capolino nella stanza. Il suo tono flemmatico mi fece desiderare di rimettermi a dormire.

"Ciao Mia, come ti senti?" mi chiese in un lasso di tempo che mi sembrò essere durato sette secondi, sette lunghi secondi, sette interminabili secondi. Cercai di rispondergli, invano. Aprii la bocca, ma nessun suono ne uscì. "E' normale, non ti preoccupare e non ti sforzare. Limitati a fare dei cenni di assenso o di dissenso con la testa per rispondere alle mie domande" mi rassicurò e io sospirai. "Il tuo cognome è Diener?" mi domandò. Annuii. "Bene, mi sapresti dire quanti anni hai? Diciannove?". Negai. "Siamo in gennaio?". Negai ancora una volta. "Flavia, mi potresti dare la cartellina e una penna, per favore?" domandò a una delle due donne quella volta. Subito dopo mi ritrovai quei due oggetti fra le mani. "Sei in grado di scrivere?" si riferì a me e io annuii facendo una piccola prova sul foglio che mi era stato dato. La mia scrittura era un po' malandata, ma avrebbe funzionato. "Dovresti scrivere la tua età e in che mese siamo oggi" disse cortesemente l'uomo. Due semplici cifre vennero disegnate sulla carta bianca e, sotto di loro, nove lettere: "18" e "settembre". Il medico prese il foglio dalle mie mani non appena glielo porsi e fece un cenno alle due infermiere che se ne andarono poco dopo. "Senti dolore alla testa o in altre parti del corpo?" mi domandò di nuovo e risposi di no scuotendo la testa. "Ora ti controllerò gli occhi, guarda dritto verso la luce, per favore" disse estraendo dalla tasca del suo camice una piccola torcia argentata. Il fascio fastidioso penetrò prepotentemente all'interno della mia pupilla lasciando delle piccole forme non definite quando sbattei le palpebre per qualche volta. "Okay, Mia. La visita è finita, parleremo domani delle tue condizioni. Mi raccomando di non sforzare la voce, ti lascio questo foglio e questa penna in caso tu voglia comunicare con qualcuno" mi sorrise debolmente porgendomi i due oggetti e, appena li afferrai, lui si voltò e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Rimasi da sola.

Mille volte ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora