Chapter sixty seven

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"Paris sera toujours Paris", proprio come dice ZAZ e, prima di lei, l'elegante e brioso Maurice Chevalier nell'omonima canzone. 

Ebbene sì, ecco il regalo di Natale che ci facemmo, nonostante il ritardo (che pagammo caro al momento della prenotazione del volo e dell'albergo, ma, voglio dire, Natale è pur sempre Natale, no?). 

Quella canzone ci fece da colonna sonora per i cinque giorni che dedicammo a noi e a un romanticissimo soggiorno nella Ville Lumière. Ci coprimmo al meglio e ci facemmo trasportare dal fiume di luci che, lungo il viale degli Champs-Elysées, sembrarono segnare di diamanti la città durante la notte. Dall'Arco di Trionfo, passando per Place de la Concorde, fino ai giardini delle Tuileries, camminammo per più di due chilometri dal nostro alloggio. La miriade di decorazioni dei negozi di Bercy, Montmartre e Montparnasse non smisero di sbalordirmi per un attimo, come se fossi stata una bambina, mentre, per quanto riguarda i mercatini allestiti di fronte alla Tour Eiffel, beh, dovetti lasciarci il cuore. Filippo, da bravo gentiluomo, mi accompagnò a fare shopping in Boulevard Haussman dove, impotente, fu costretto a passare due ore e mezza dentro le Galeries Lafayette. In effetti mi sentii un po' in colpa, anche se pensai che, in qualche modo, mi sarei fatta perdonare. Visitammo Notre-Dame il cui immenso albero di Natale addobbato alla perfezione ci fece sentire come delle piccole formiche a confronto. Pattinammo sul ghiaccio, ci ingozzammo di delizie come tacchini per il giorno del Ringraziamento e ci divertimmo come pazzi a farci notare per le strade facendo gli stupidi. 

"Ultima uscita" disse il mio migliore amico sedendosi di fianco a me sul bordo del letto sul quale mi stesi a stella. "Ho mangiato troppo" mi lamentai facendo una smorfia dopo essermi sentita in colpa. "Non lamentarti, oggi è Natale!" esclamò punzecchiandomi il ventre. "Però sono felice" affermai abbracciando un cuscino e sorridendo "Quello è l'importante" mi rispose. "Allora, ti rimetteresti le scarpe? Abbiamo ancora poche ore da passare qui, non vorrei rimanere a letto" insistette. "Hai ragione" lo guardai negli occhi e mi sollevai piano "Anche se devo ammettere che questo materasso è comodissimo. Se potessi, me lo porterei a casa come ulteriore souvenir" obiettai, dopodiché mi sedetti di fianco a lui e mi infilai gli scarponcini. "Meta?" gli domandai scattando in piedi e facendo due saltelli. Filippo mi guardò silenzioso, poi, come me, abbandonò il letto, fece un paio di passi nella mia direzione e mi abbracciò. "Lo scoprirai" mi fece un sorrisetto, poi mi baciò la punta del naso. Una decina di minuti dopo, uscimmo dall'hotel e ci incamminammo alla volta dell'ignoto. Percorremmo gli Champs-Elysées di nuovo, ma, quella volta, ci fermammo in Place de la Concorde, davanti alla grande ruota panoramica sulla quale avevo desiderato salire fin dal primo giorno. "Bene, ora dovresti chiedere due biglietti" mi sussurrò all'orecchio Filippo. "Davvero? Mi ci porti?" gli domandai entusiasta stampandogli un bacio sulle labbra e guadagnandomi un suo bellissimo sorriso a cui rimasi agganciata con gli occhi per qualche secondo. Gli afferrai una mano e, con una breve corsetta, arrivammo sotto all'imponente struttura argentea. "Bonsoir. Nous voudrions deux billets, s'il vous plaît" dissi al ragazzo che ci servì. "Ça fait vingt euros" rispose lui, ma non rimasi sbalordita, dopotutto, conoscevo già i prezzi del London Eye sul quale ero stata due anni prima grazie allo stage a cui avevo partecipato con la scuola. In confronto, avrei potuto dire che, a confronto, quella parigina era persino economica. Non sapevo il perché, ma amavo alla follia le ruote panoramiche. Il fascino delle città viste dall'alto mi aveva sempre fatto battere il cuore. Io e Filippo aspettammo che le cabine si fermassero, poi, una volta trovatane una vuota, vi entrammo. "Comunque, buon Natale, amore" il respiro caldo di Filippo mi sfiorò il viso quando mi abbracciò da dietro la schiena e lui appoggiò il suo sulla mia spalla destra. Nel frattempo cominciammo a salire poco alla volta. "Comunque, buon Natale anche a te, amore mio" risposi alla stessa maniera, coprendo i dorsi delle sue mani con i miei e incastrando come ingranaggi le mie dita con le sue. Sorrisi non appena vidi il nostro riflesso sul vetro di fronte a noi. "E grazie per questo magnifico regalo" aggiunsi riferendomi al viaggio. "Grazie anche a te, dal momento che è anche mio" ridacchiò. "Spero ti sia divertita" mi disse pensieroso "Certo che mi sono divertita! Quando ci sei tu, non si può non divertirsi, Signor Tre-Anni-E-Non-Sentirli" "E' vero, devo ammettere che sono davvero simpatico" mi fece un sorriso da sbruffone "E modesto" aggiunsi io "Quanto te" rise "Ovviamente, ti ricordi a quando gli autografi e a quando le foto?" "Sì, mi pare solo il sabato in mattinata, mentre le foto..." "Solo il giovedì! Perché devo sempre ripeterti tutto?" chiesi fintamente infastidita "Mi perdoni, Signorina. Non succederà più" si scusò stringendomi ancora di più a sè, poi, entrambi, cominciammo a ridere. Ormai la nostra cabina era arrivata a un quarto di giro. Alcuni istanti di silenzio riempirono lo spazio che ci circondava. "Senti, Mia, io ti devo dire una cosa" quel silenzio così assordante, ma allo stesso tempo pacifico fu spezzato. "Non mi chiami mai per nome" feci un risolino isterico, aggrottai la fronte, poi mi voltai leggermente per dargli un'occhiata veloce. "Dimmi tutto" risposi tornando a guardare per un secondo il panorama che era separato da noi soltanto da un sottile strato di vetro. Le sue mani si sganciarono dalle mie e, stranita dalla situazione, fui costretta a girarmi nella sua direzione. Quegli occhi così belli e così profondi, che ormai avevo tatuato nell'anima e non sarebbero mai stati cancellati, incontrarono i miei. Altri pochi secondi di silenzio ci separarono. "Io non leggo ancora nella mente. Provvederò presto, ma, per ora..." dissi e lui, improvvisamente, sorrise. Un sorriso che, se avessi potuto, avrei abbracciato per l'eternità. "Ti ho solo messa alla prova" mi fece un occhiolino e io alzai gli occhi al cielo trattenendo una risata. "Io, in realtà, non avrei finito con i regali" continuò e, non sapendo cosa rispondere, rimasi zitta. "Ormai lo sai che mi hai fatta impazzire dal primo giorno, non è una novità. Sai che sei la mia migliore amica e che i momenti migliori della mia vita, probabilmente, li ho passati con te" fece una brevissima pausa "L'unico altro concorrente, in questo caso, è Chris. Ne abbiamo combinate delle belle noi due" piegai la testa di lato e, anche questa volta, trattenni una risata nonostante le mie labbra si fossero già incurvate verso l'alto. "Siamo quasi arrivati in cima" mi fece notare "Se potessi, ti regalerei l'universo intero con tutte quelle stelle che ami tanto. Lo farei perché ti meriti questo e altro, ma, soprattutto, perché non so in che altro modo farti comprendere materialmente quanto io ti ami" a quelle parole non riuscii a resistere e i miei occhi diventarono lucidi. "Se potessi, ti regalerei anche Parigi con tutte le sue luci per le quali ti sei innamorata e hai tirato su il naso con i tuoi bellissimi occhi stupiti che vorrei avere con me ogni momento della mia giornata" fece una pausa durante la quale feci fatica a prendere il respiro che Filippo mi aveva tolto. Nel frattempo raggiungemmo la vetta. Fece un passo verso di me, sollevò quelle mani che avrei voluto baciare per sempre, le posò sulle mie spalle e mi fece voltare verso il vetro. Mi riempii gli occhi di quella città che da quel momento sarebbe diventata nostra, poi, dopo aver sentito le braccia del mio ragazzo affondare sotto alle mie e spuntare davanti a me, abbassai lo sguardo. Una piccola scatolina color perla comparve nella sua mano destra. "Non sono molto bravo con le parole, ma, per ultima cosa, vorrei dirti che ti amo e vorrei che ciò che è qui dentro fosse un segno per dimostrartelo e ricordartelo anche quando ti faccio arrabbiare". Rimasi impietrita e, quasi sicuramente, non respirai per i seguenti trenta secondi di silenzio. "In realtà io avrei finito" si schiarì la voce e lo sentii sorridere. La mia mano tremolante si decise a prendere il piccolo cofanetto. Lo aprii e un bellissimo anello in oro bianco con tre piccoli brillanti in rilievo ne venne fuori. Mi voltai di scatto e saltai in braccio a Filippo che cercò di studiare la mia espressione. "Tu sei matto. Matto, matto, matto e io ti amo da morire". Una lacrima calda mi rigò la guancia finendo conseguentemente sulla sua. Le mie labbra cercarono le su come la bocca di un sommozzatore cerca la bocchetta dell'erogatore di ossigeno per poter continuare a respirare, per poter continuare a vivere. "Questo però me lo devi mettere tu" gli dissi agitata porgendogli l'anello che avrei conservato per tutta la vita. "Giusto" rispose grattandosi la fronte ed estraendolo dalla gommapiuma ricoperta di velluto nero che lo teneva stretto. "Ti amo" gli sussurrai all'orecchio dopo aver ammirato la mia mano ornata di quel pegno d'amore. Quella volta fu lui a baciarmi. "Io no" concluse mordendomi il labbro e ridacchiando.

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